Il peso specifico dei morti [di Giampaolo Cassitta]
Bisognerebbe chiedersi se i morti hanno pesi specifici diversi e, soprattutto, se le lacrime hanno raccordi fluviali sconosciuti. I nostri morti, quelli dell’ultima alluvione per intenderci, ce li portiamo dentro le nostre vite e ancora oggi continuiamo a camminare con la zavorra dei ricordi. Perché è giusto, perché è lecito, perché è accaduto davanti ai nostri occhi. Perché molti di noi avevano parenti, amici, conoscenti. Facevano parte, quei morti, del recinto del nostro ovile, dell’ombelico della nostra terra. Noi, per questo motivo, li abbiamo sentiti nostri e lo sentiremo per sempre. Bisognerebbe però ripensare alle cose e provare a cercare negli occhi degli altri il dolore che ci portiamo dentro le nostre tasche. Perché anche sette morti sono un terribile peso specifico. Quattordici occhi che non osservano più questo mondo, non si nutrono più di ossigeno, non sorridono, non abbracciano, non piangono. Poi, però, lentamente, quei morti, quei sette morti, camminano velocemente dalle voci principali delle news, cominciano a restringersi dentro i tagli bassi dei quotidiani e, tra qualche giorno, saranno solo un flebile ricordo. Anche per noi che conosciamo la pesantezza dei nostri morti. Il problema è legato essenzialmente alla conoscenza. Il “lontano” non ci riguarda, l’altrove è terra sconosciuta e se nelle Filippine ci sono duemila morti noi non riusciamo a soppesare quello strano peso specifico di quattromila occhi. Perché sono lontani e perché non hanno mai osservato la nostra terra. Ecco, quei sette morti bruciati, martoriati, consumati nella maniera più atroce e terribile sono cinesi. Quelli di Prato. Quasi invisibili, come sanno essere invisibili i cinesi. Con le loro stoffe, le tazze, quelle che noi chiamiamo ironicamente “cineserie”. E sappiamo che non è così. Però, quella acidità della sopravvivenza che a volte ci contraddistingue, quel cinismo stupido, quello scrollarci di spalle ci porta a dire: “Ecco, erano morti annunciate. Lavorano quindici ore al giorno, sono sfruttati, hanno rubato il lavoro ai nostri padri, alle nostre madri, ai nostri figli. Se la sono cercata. Non conoscono le basi elementari sulla sicurezza Ognuno pianga i propri morti”. E, mentre lo diciamo, controlliamo un messaggio da un iphone, leggiamo dall’ipad, compriamo un giocattolo da Chicco e vestiamo il nostro bambino da Premaman. Tutti prodotti “made in China”. I morti, probabilmente hanno un peso specifico diverso e nella bilancia delle lacrime conta sicuramente la vicinanza alle persone. Vero. Però quei sette morti, quei cinesi, ci sono davanti per dirci che anche loro hanno diritto ad una dignità, ad un “onore delle armi” che noi, non riusciamo a dare perché preferiamo girarci dall’altra parte. E ci dovremmo semplicemente vergognare.
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