Facciamo una mostra. Dopodomani [di Flaminio Gualdoni]
Il Giornale dell’Arte.com. Non basta che le mostre le facciano solo i soliti dodici nomi-che-tutti-sanno, e che le mettano su un tanto al chilo, senza star lì troppo a badare alla qualità. L’ultima tendenza è che pretendono anche di farle in quattro e quattr’otto, o come altrimenti si dice, cotte e mangiate. Per fortuna non è prevista l’opzione «da asporto»: dicono che le assicurazioni non gradirebbero. In queste settimane è tutto un susseguirsi di comunicati stampa annuncianti una mostra che si inaugurerà di lì a pochi giorni. Uno li legge, e immagina di essersi perso gli avvisi precedenti. E invece no. Son proprio le prime comunicazioni ufficiali, che vengono emesse a ridosso dell’apertura. Ma come, in questo mestiere alcuni tempi sono incomprimibili. Se vuoi che il catalogo esca per l’inaugurazione, l’editore o il tipografo deve lavorarci a partire da un anticipo necessario, che le evoluzioni recenti della tecnologia hanno sì scalfito, ma non possono annullare. Se vuoi che i mensili e i settimanali, i cui processi di lavorazione sono ben diversi da quelli dei quotidiani, possano uscire con notizia e immagini, devi muoverti per tempo. A meno che… A meno che dei suddetti mensili e settimanali non te ne importi nulla, perché la promozione dell’evento la concentri direttamente sulla pubblicità ed esondando di botto su web e quotidiani. La comunicazione «pensata» di una mostra non ha più senso di esistere: essendo, appunto, pensata, è palesemente fuori target. Un po’ come cercarsi le recensioni. Chi perde ancora tempo a leggerle? Meglio sparare un po’ di fuochi d’artificio, se si può una notiziola pruriginosa, e valachevaibene. L’ufficio stampa non deve pianificare la comunicazione dell’evento, deve agire come un megafono istantaneo del nomone di cui si fa la mostra. E non è un caso che sempre più spesso sia specializzato piuttosto in pr, e passi con leggiadria da una mostra a una sfilata di moda a un evento charity per vip, che son più o meno la stessa roba. Dunque, assumilo giusto poco prima dell’inaugurazione (così lo puoi anche prendere un po’ per la gola sul compenso) e costringilo a far tutto in pochi giorni. Vedrai che l’ubbia di raccontarsela con il critico e il caporedattore, di profilare la comunicazione a seconda dei destinatari, eccetera, gli passa di colpo. Ma forse tutto questo è frutto di una delle mie ormai numerose paranoie da anziano («se fa minga inscì sto mestè»), e la spiegazione è più semplice. In una riunione operativa in cui son lì tutti a strologare di 4 P marketing mix e a farsi dei pipponi sugli stakeholder, uno si alza e dice: «Cazzarola, ma l’ufficio stampa non l’abbiamo ancora chiamato?», e gli altri restano lì a bocca aperta, interdetti. *Il Giornale dell’Arte numero 347, novembre 2014
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