M5S e i franchising della politica sarda [di Alessandro Mongili]
Sul suo blog Omar Onnis riflette sul successo del Movimento 5 Stelle in Sardegna, segnato dalla conquiste storiche dei Comuni di Carbonia e di Dorgali, che seguono quelle di Assemini e Porto Torres. Quasi tutti luoghi emblematici della Rinascita e della fase autonomistica fallita. Omar Onnis riprende un’argomentazione su cui concordo. Il M5S in Sardegna si presenta come un franchising politico, come i vari partiti “italiani“, con un’agenda politica tarata non sui nostri problem, ma in grado di affiliare gruppi locali. Nel caso specifico, l’agenda grillina sarda è un copia/incolla di quella italiana, e evita di affrontare i vari problemi che la Sardegna ha, fra cui la mobilità, lo sfascio produttivo, la povertà, la distruzione del nostro patrimonio linguistico e culturale, ecc. Si tratta di un approccio molto pericoloso per noi. Ad esempio, per quanto riguarda la nostra mobilità e i nostri collegamenti con l’area geografica in cui materialmente ci troviamo (il Mediterraneo Occidentale), questo ci porta a sviluppare mobilità solamente con i nostri vicini orientali, cioè con l’Italia, nella vecchia ottica coloniale dei “trasporti da e per la Sardegna“, e di accettare che la nostra politica della mobilità sia elaborata altrove, e in relazione a esigenze che sono diverse dalle nostre. Il problema non è più la nostra integrazione con la nostra area geografica, ma i collegamenti fra l’Italia e un suo lontano dominio “isolato”. Per questa ragione, ad esempio, salvare l’Alitalia sarà sempre più urgente che la nostra mobilità, sia che al governo ci sia il PD, FI, SEL o il M5S. E come per la mobilità, la stessa performance della nostra marginalità varrà per ogni altro tema. Questo perché assumiamo come centro della nostra agenda politica non noi stessi, ma l’Italia, un paese con esigenze diverse dalle nostre in molti ambiti e settori. I nostri problemi, per loro, sono e saranno sempre del tutto marginali. Naturalmente, non è che i vari franchising non si siano connessi con gli interessi locali. Si tratta però di interessi di natura particolaristica, corporativa o clientelare, che hanno costruito la tela della politica sarda, e che si fondano sull’idea che, “dato (e accettato) il quadro della subalternità, vediamo di guadagnarci qualcosa sul piano personale“. In questo senso è comprensibile il carattere prono agli interessi dominanti dei deputati sardi e di molte Giunte regionali, fra cui la presente e deludentissima agGiunta Pigliaru. Tuttavia, c’è un punto sul quale il M5S ci interroga, ed è diverso dall’agenda, dal programma e dagli slogan. Si tratta del suo modello organizzativo e del suo tentativo di riformare la rappresentanza. Per quanto criticabile su diversi punti, l’impianto organizzativo del M5S rappresenta un punto di cambiamento e di critica implicita al vecchio modo di fare politica. La sovranità degli attivisti, l’uno vale uno, l’integrazione del web fra gli attori, le procedure di scelta democratica e trasparente a ogni livello, l’assenza di inquinamento da parte di gruppi di corrotti o di alieni al proprio percorso politico (come nel PD), al di là di tanti incidenti di percorso e di molte incoerenze, rozzezze e criticità, hanno incontrato il favore degli elettori, o almeno hanno dialogato con le loro aspettative in modo credibile. Non casualmente, visto che i partiti tradizionali sono arroccati sulla difesa dei loro interessi corporativi e ormai sono solo arnesi oligarchici che sprizzano mediocrità da tutti i pori. Basta vedere la campagna elettorale di Zedda o la discussione sulla sconfitta elettorale all’interno del PD, in cui nulla che non riguardasse direttamente le oligarchie partitiche è stato preso in considerazione. In Sardegna, i tentativi di innovazione in politica sono rimasti alla larga da questo lavoro. In particolare, Progetto Sardegna e Sardegna Possibile hanno cercato di sviluppare un’agenda politica sarda, ma si sono avvitati proprio intorno ai loro due leader, Renato Soru e Michela Murgia. Due persone ugualmente straordinarie ma che si sono trovate schiacciate sul loro ruolo di leader e sul rapporto leader-discepoli. In questo hanno incontrato anche da parte dei semplici attivisti un sostegno, poiché si è pensato che la soluzione del problema della leadership e del suo carisma risolvesse quello dell’organizzazione. In entrambi i casi, ci siamo ritrovati con un pugno di mosche e oggi assistiamo all’ingrandirsi del fenomeno grillino in Sardegna, che ha, come ho detto, il problema inverso, di assenza di un’agenda politica sarda. Sull’altro versante, ci ritroviamo con una maggioranza necrotica al Comune di Cagliari e nell’agGiunta in Regione, due tristi fenomeni politici di estremo conservatorismo che probabilmente porteranno la sinistra storica a una meritata estinzione in Sardegna. Mentre in tutta Europa assistiamo ormai da anni allo sviluppo di forme organizzative che coniugano forme organizzative innovative e elaborazione di agende politiche non oligarchiche, l’ultimo il movimento parigino delle Nuit Debout (“Note Strantàrgia”), qui siamo ancora schiavi dei movimenti leaderistici con l’ossessione di mettere la propria bandiera su un’agenda politica sarda oppure di franchising politici, anche interessanti, ma privi di qualsiasi legame con la nostra vita e con i nostri bisogni, anche urgenti. |