Brexit: uno shock generazionale [di Alessandro Columbu]
Brexit mi ha accolto ieri mattina come un secchio di acqua gelata sulla schiena. A grande sorpresa la Gran Bretagna è uscita dall’Unione Europea, bocciando di fatto il più grande esperimento di integrazione politica, economia e sociale di sempre nel Vecchio Continente e che oggi affronta la sfida più complicata dalla sua fondazione. Da sardo che vive e lavora in Scozia, posso considerarmi solo in parte fortunato a vivere nella nazione che più di tutte nel Regno ha sostenuto la membership britannica dell’Unione, ma la cui volontà è stata sovrastata da un rinnovato desiderio di isolamento nel resto del paese, rappresentato dal numero impressionante di voti inglesi e gallesi per l’uscita. Nelle conversazioni con amici e familiari in queste ore ho notato una difficoltà oggettiva da parte degli interlocutori a capire il grado di turbamento e di pressione che tale decisione ha portato, come se la mia preoccupazione fosse in qualche modo esagerata. Ma l’inquietudine che Brexit porta nella vita di tanti altri sardi ed europei della mia generazione che vivono nel Regno Unito oggi è dovuta non solo alla natura epocale dell’evento, ma soprattutto alla sua natura reazionaria, nazionalista e isolazionista. Si tratta di uno shock generazionale. Siamo la generazione che viaggia low cost in tutto il continente senza il passaporto, che in molti casi non conosce il significato della parola “visto“, che trova il cambio di moneta tra euro e sterlina una curiosità esotica. Siamo la generazione dell’Erasmus che considera l’inglese la lingua franca del continente, e che si ritrova oggi a fare i conti con una decisione inaspettata e inquietante da parte di un paese che in tanti ammira(va)no per la sua natura aperta, inclusiva, multiculturale e democratica. Shock generazionale che peraltro ha investito come un treno in corsa tantissimi giovani britannici, cresciuti come noi con l’Erasmus, con Ryanair e inconsapevoli di un passato di visti, frontiere e passaporti nemmeno troppo lontano nel tempo, che ci eravamo lasciati alle spalle proprio grazie alla tanto criticata Unione. Secondo YouGov il 75% dei votanti sotto i 25 anni infatti ha votato Remain, per l’integrazione, il multiculturalismo e la libera circolazione, per i valori con i quali la nostra generazione è cresciuta e si è formata una visione del mondo e dell’interazione tra popoli. Forse per lo stato di shock nel quale ancora mi trovo ho l’impressione che tra le sensazioni più imbarazzanti che oggi tanti europei in Regno Unito provano c’è quella di sentirsi rifiutati, percepiti quasi come parassiti in una società alla quale contribuiamo nei settori più disparati, dall’educazione all’intrattenimento, dalla ristorazione all’alta finanza. È l’irritante sorpresa di sentirsi fuori posto da un giorno all’altro, perché è emerso un sentimento di risentimento da parte di una percentuale molto significativa della popolazione locale nei nostri confronti, nei confronti degli europei che vivono in queste isole. Nella fastidiosa sensazione sopraccennata c’è una lezione da imparare per me e per tanti altri britannici, europei ed occidentali, perché si tratta di un’esperienza alla quale milioni di cittadini extracomunitari che vivono in Gran Bretagna e in Europa sono tristemente abituati da decenni. Non dovrebbe essere necessario provare quella sensazione sulla propria pelle per rendersi conto che i diritti dei quali godiamo come cittadini dei paesi tanto criticati e vituperati da una certa retorica populista, sono conquiste inestimabili. I principi democratici di pluralità, di inclusività e di accoglienza, insieme alla la libera circolazione di beni e persone sul quale l’Unione Europea si fonda sono la spina dorsale delle istituzioni politiche più prospere del pianeta, e dovrebbero essere al centro degli sforzi politici della nostra generazione. Quello che accadrà nel più specifico contesto scozzese è molto incerto, ma nondimeno interessante nel contesto degli equilibri dell’Unione. Il primo ministro Sturgeon, capo del Partito Nazionale Scozzese, ha ribadito con forza la natura inaccettabile di un voto che trascina di fatto la Scozia fuori dall’Unione Europea contro la sua volontà. Le differenze di orientamento politico e culturale tra la Scozia e il resto del Regno Unito, che avevano animato la battaglia scozzese per l’indipendenza nel 2014, riemergono in maniera clamorosa osservando i dati della consultazione di ieri. Una maggioranza schiacciante del 62% di persone che vivono in Scozia non è mai stata così distante politicamente dai suoi vicini di casa inglesi che con altrettante preferenze hanno deciso di andare nella direzione opposta. Uno strano pessimismo di fondo mi porta a pensare che anche nell’eventualità di un’altra consultazione per l’indipendenza, la maggioranza silenziosa e decisiva, la poco allettante prospettiva di un lungo processo di “ritorno” in Europa e la crisi finanziaria faranno naufragare ancora il sogno di Nicola e dei giovani scozzesi. *Nato e cresciuto a Ollolai è dottorando e insegnante di lingua araba all’Università di Edimburgo, in Scozia.
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