Dolce e Gabbana e il rilancio di Napoli, una sfida riuscita? [di Maurizio Caserta e Aldo Premoli]
l’HuffPost .it 11/07/2016 La segregazione, sociale ed economica è ancora presente in tante città moderne. Perfino in quelle che hanno sperimentato da molto tempo il multiculturalismo. In alcuni casi quella segregazione diventa pure segregazione razziale. I danni della segregazione sono noti. Isolamento, ignoranza, sottosviluppo. Spesso anche violenza. Per attaccare e per difendersi. Non vi è dubbio invece che dalla contaminazione e dalla integrazione nascono vantaggi. Non tutte le comunità hanno ciò che serve per sopravvivere e prosperare. Possono essere prive di idee, cosi come possono non avere le risorse pratiche per vivere. Scambiare idee e merci risolve buona parte dei problemi. Perché in caso contrario chi è depredato tende a uscire dai propri confini solo per depredare o per difendersi dai predatori. In questo modo però si redistribuisce solo quello che c’è. O peggio, si distrugge quello che già esiste. Con lo scambio e la contaminazione si crea invece nuovo valore. Tutti possono avvantaggiarsi dalla contaminazione e dallo scambio. Ciò che occorre quindi è trovare buone ragioni perché chi vive in una comunità senta l’esigenza di visitare l’altra. Per esempio, si potrebbero aprire ristoranti alla moda o stellati in aree degradate della città. Creando le condizioni perché quei ristoranti siano visitabili in tutta sicurezza. E contemporaneamente portare i bambini dei quartieri degradati nelle scuole delle quartieri borghesi. Nel tempo le due comunità prima separate cominceranno a guardarsi con meno sospetto e aumenteranno le occasioni di scambio e di confronto. Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono due ottimi industriali. Sì sono anche stilisti di fama internazionale, ma il loro nome lo hanno dato a un’azienda che include tutti gli asset fondamentali del caso: la proprietà del marchio ma anche il controllo diretto dell’intera catena del valore, dalla creazione alla vendita. Domenico Dolce è nato a Polizzi Generosa in Sicilia, Stefano Gabbana a Milano, 54 anni fa. Sono una coppia nel lavoro come nella vita. Per il lavoro hanno una passione divorante, collezione dopo collezione vanno avanti da trent’anni senza cali di intensità. Con i media hanno rapporti complicati. Domenico e Stefano sono sempre stati poco attenti a valutare gli effetti di quel che dicono. Si sono esposti spesso senza la rete su temi (omosessualità, adozioni, familismo) dai quali tutti i loro colleghi stanno a distanza, blindati dai rispettivi uffici comunicazione attentissimi a non disturbare il business. Qualche volta hanno dovuto fare rapidamente marcia indietro o sfumare un po’ i toni, perché sanno comunque di essere più bravi come sarti che come opinion maker. C’è una cosa però sulla quale non hanno mai cambiato idea: il loro amore per il Sud. Non è un’immagine da cartolina quella che diffondono: è un modo, il loro, di percepire una realtà che portano nel cuore. E i media italiani lo scorso week end hanno registrato l’intento restituendo a Napoli il sorriso che gli è proprio. A Spaccanapoli Dolce e Gabbana hanno fatto sfilare la loro collezione di alta moda e da Napoli hanno preteso che per la cittadinanza onoraria a una delle loro muse preferite, Sofia Loren. Un po’ di spirito circense nelle presentazioni di moda, anche in quelle che si propongono come esclusive, elegantissime e seriose in realtà non manca mai. Un’ora o un giorno di festa, poi si smonta tutto e via. Negli stessi vicoli dove hanno sflilato modelli e modelle però Dolce e Gabbana hanno realizzato anche la loro ultima campagna fotografica. E qui le cose si fanno più complesse. Una campagna fotografica circola sul web come su magazine e quotidiani di tutto il mondo per almeno sei mesi. E allora la sfida diventa duplice. Ce ne è una di carattere sociologico e un’altra di carattere estetico. Questa doppia sfida Domenico e Stefano l’hanno accettata anche questa volta con quel briciolo di incoscienza che non manca mai in operazioni del genere. Ha senso fotografare capi di abbigliamento che saranno venduti a prezzi proibitivi per la maggioranza dei comuni mortali tra i bassi di una città che raggiunge il picco italiano della disoccupazione femminile? Il Sud tutto e Napoli in particolare vengono incessantemente ritratti come una sorta di Gomorraland. L’immagine è ormai cristallizzata. Sottosviluppo, degrado, criminalità organizzata: questa è la rappresentazione diffusa trasversalmente da media che fanno riferimento a formazioni politiche di destra, centro e sinistra senza soluzione di continuità. Gli scatti di Dolce e Gabbana rovesciano i termini della questione. Il Sud qui appare ospitale, energico e generoso: perché il sud è anche ospitale energico e generoso. Dolce e Gabbana hanno tirato a lucido un intero quartiere (ripulite le strade, sistemati gli arredi urbani eultimato l’intervento al campanile di San Gregorio Armeno). Cinquecento ospiti arrivati persino dal Brasile, dalla Cina e dal Giappone sono stati dislocati negli hotel più belli della città, centinaia di auto sono state messe a disposizione, è stata schierata un’imponente security la maggior parte scelta fra giovani di Napoli, e una bella spinta commerciale alla città per qualche giorno non è mancata. Le botteghe hanno risposto con presepi di ogni genere e tipo dedicati al duo e ai loro abiti. Sui muri dei vicoli la street artist Roxy in the Box ha completato il suo progetto Vascio Art affrescando dopo Monica Bellucci che porta fuori i sacchetti della raccolta differenziata e la modella nera Naomi Campbell che spaza la strada Domenico in felpa gialla e Stefano in canottiera nera seduti fuori dalla porta di un basso. Anche solo per questo l’operazione di Dolce e Gabbana non può che essere considerata meritoria. La moda però è anche un fenomeno estetico. Forse di superficie, forse più decorazione che arte, ma in ogni caso fa riferimento alla bellezza e a un qualche concetto di armonia. L’operazione dal punto di vista estetico è riuscita? Può una fotografia riuscire ad armonizzare elementi dissonanti come abiti lussuosi indossati da individui selezionati e ambienti carichi di storia passata e recente come via dei Tribunali o vicolo dei Maiorani? Domenico e Stefano per farlo hanno scelto di affidare le riprese a Franco Paggetti un reporter di guerra noto per i suoi reportage in Iraq, Afghanistan, Sudan, Libia e Kosovo. Un professionista stimatissimo che non ha timore di muoversi in spazi ristretti tra persone di cui non è possibile controllare gesti e reazioni, come invece normalmente avviene in studio fotografico. Il risultato è controverso, ma certamente interessante. E farà storcere la bocca ai puristi. Tanto a quelli dell’alta cultura che a quelli dell’alta moda |