Cultura, conoscenza scientifica, cultura tecnica o assenza di cultura? [di Sergio Vacca]
Non ho intenzione di scrivere di epistemologia ma solo comprendere come la complessità possa venir banalizzata per far prevalere l’assenza di conoscenza scientifica e di cultura tecnica o, tout court, di cultura. L’esigenza mi deriva dalla lettura di un documento del 2011 del Consorzio di Bonifica della Nurra “Piano di gestione. Riutilizzo delle acque reflue depurate del Comune di Alghero” editato da un pull di tecnici del Consorzio, di Abbanoa, di ARPAS e della Provincia di Sassari e dall’iniziativa, sostenuta dalla Regione Sardegna, di riutilizzare, in tutto o in parte, i reflui di Alghero e di Sassari come acqua irrigua per i suoli irrigabili della Nurra. Per le conseguenze operative che ne discendono, quel documento necessita di essere analizzato a partire da una veloce revisione bibliografica. Premettendo che, da quando, a partire dagli anni ’50 e ‘60, iniziò in Sardegna la realizzazione dei sistemi acquedottistici urbani e di collettamento e trattamento delle acque reflue, si può disporre, potenzialmente, di una risorsa importante per diminuire i consumi di acque fresche per l’irrigazione, ma anche per diminuire l’impatto della restituzione dei reflui, comunque trattati, all’ambiente. Ma finiscono qui gli aspetti positivi. Se è vero che i reflui sono costituiti da acqua, le sostanze disciolte o in sospensione sono quelle che modificano fortemente la natura dell’effluente. Le acque che vengono trasferite agli impianti di depurazione attraverso le condotte fognarie contengono cataboliti, come residuo della demolizione dei nutrienti, ai quali si aggiungono sostanze organiche – spesso di sintesi, talvolta estremamente tossiche – ed inorganiche, prodotte da attività artigianali, commerciali, ma anche domestiche. Ma a risultare estremamente problematica è, soprattutto, la natura dei suoli. La letteratura scientifica internazionale sul riuso in funzione irrigua è ricchissima di dati circa gli effetti dei reflui sulla vegetazione; è, viceversa, poverissima quella relativa all’impatto sui suoli. Tuttavia, parte importante di questa letteratura è di origine sarda ed è relativa alle ricerche effettuate tra il 1995 ed il 2000 dall’Ente Autonomo del Flumendosa sul riutilizzo dei reflui del depuratore fognario di Cagliari Is Arenas, frutto del concorso di numerose Università e Centri di Ricerca italiani e stranieri. L’attenzione massima fu posta nel verificare gli effetti dei reflui su 5 categorie di suoli della Sardegna meridionale, evidenziando aspetti positivi, ma anche i pericoli che un uso non attento, soprattutto in assenza di “buone pratiche”, avrebbe determinato condizioni di degradazione, fino all’estremo della “desertificazione”. E’ appena il caso di ricordare che gli 8 milioni di metri cubi di reflui trattati nel depuratore “terzo stadio” di Is Arenas, immessi nel lago artificiale del Simbirizzi e avviati, nella siccitosa annata del 2002, all’irrigazione, salvarono la frutticoltura della Sardegna meridionale. Ecco una sintesi della bibliografia: COPPOLA A., SANTINI A., BOTTI P., VACCA S., 2003, Urban wastewater effects on water flow and solute transport in soils, Journal of Environmental Science and Healt, Vol A 38, N. 8, (1479-1488); COPPOLA A., SANTINI A., BOTTI P., VACCA S., COMEGNA V., SEVERINO G., 2004, Methodological approach to evaluating the response of soil hydrological behaviour to irrigation with treated municipal wastewater, Journal of Hydrology, 292, (114-134); CATCHWATER, ENV4-CT98-0790, 2001, Enhancement of Integrated Water Management Strategies with Water Reuse at Catchment Scale. Water Reuse Projects for Irrigation: Sardinian case study – Final Report, September 2001. Contributions from: Environment Institute, JRC Ispra, Herbert Muntau – Ente Autonomo del Flumendosa, Cagliari, Andrea Virdis, Paolo Botti. Altre esperienze sono state tentate; ma si sono rivelate fallimentari. Emblematica, quella del Consorzio della Nurra, avviata quattro anni fa. Le acque del depuratore fognario di S. Marco sono state immesse nella rete irrigua consortile, per essere, come da disposizione degli organi regionali e provinciali competenti, miscelate al 50% con le acque provenienti dall’invaso del Cuga. La prescrizione è stata curiosamente intesa come possibilità di inviare ad ore diverse sia il refluo tal quale, sia l’ acqua dell’invaso del Cuga. Risultato disastroso, con proteste degli agricoltori. L’uso dei reflui del depuratore di S. Marco, che dovrebbero essere trattati almeno al terzo stadio e, in prospettiva, di quelli del depuratore fognario di Sassari, andrebbe preceduto da una credibile sperimentazione sulla compatibilità tra reflui ed i suoli dei distretti dominati. Utilizzando un paradosso, l’uso irriguo di un refluo è una “pericolosa arma a doppio taglio”, ossia “risorsa, ma anche potente veleno”. Questo significa che nell’uso di questa importante risorsa non possono esserci scorciatoie. E’ perciò indispensabile che il riuso dei reflui sia sempre preceduto da una adeguata sperimentazione. Per tornare al “Piano di gestione. Riutilizzo delle acque reflue depurate del Comune di Alghero”, un’attenta lettura porta a definirlo un “elenco non meditato” di cose che potrebbero essere realizzate, senza alcun riferimento alle reali problematiche che avrebbe la pretesa di trattare. Un esempio emblematico è certamente il capitolo 9, “Monitoraggio degli effetti del riutilizzo sui suoli e sulle colture”, che consta di ben 9 righe, dedicate a generici accordi con organismi regionali, che dovrebbero realizzare “attività di analisi, ricerca, sensibilizzazione e divulgazione sugli aspetti (effetti e risultati) connessi al riuso dei reflui in agricoltura, con particolare riferimento al caso del riuso irriguo dei reflui affinati nel depuratore di Alghero”. Insomma, il nulla! Documento, perciò, non utile rispetto agli obiettivi che si propone di raggiungere. Ma, il paradosso – soprattutto per quanto attiene agli aspetti relativi alla conoscenza dei caratteri ambientali che verrebbero coinvolti nell’ attività – emerge nel capitolo 7 “Delimitazione delle aree interessate da irrigazione con reflui depurati” ad incominciare da citazioni bibliografiche, di trattati di Pedologia generale o enciclopedie di Scienza del Suolo, genericamente richiamati ed incongruenti con l’obiettivo di descrivere gli ambienti nei quali si operrebbe. Qualche esempio: [(Fanning & Fanning, 1989) (Harpstead et al., 1988) (Finkl, [in Tan], 1982) (Tan, 1982) (Matsuzaka, 1977)]. Si tratta di manuali o di testi di riferimento a condizioni specifiche relative ad altre parti del globo. Scarsamente utili, perciò a trattare delle variazioni di caratteri, proprietà e qualità dei suoli che dovrebbero essere sottoposti ad irrigazione con acque reflue. Unica citazione bibliografica attinente sia pure non riferita all’utilizzo dei reflui in agricoltura, è “Carta della irrigabilità dei suoli della Sardegna”, in “I suoli delle aree irrigabili della Sardegna” ( F. Arangino, A. Aru, P. Baldaccini e S. Vacca), questa volta con relativo richiamo in bibliografia. Ma l’aspetto più preoccupante è il riferimento alle tassonomie dei suoli, non più in uso da decenni o a tassonomie in uso, come la Soil Taxonomy, (Keys to Soil Taxonomy, 12th edition, 2014), ma con errori palesi, peraltro ripetuti più volte da non poter essere più considerati refusi, di citazione degli Ordini, elementi apicali, e perciò fondamentali, del sistema di classificazione. Altrettanto – se non più – preoccupante è l’aspetto relativo alla mancanza di riferimenti ad una credibile linea guida di ricerca sulla compatibilità tra suoli e refluo. In particolare, con riferimento al documento redatto per conto della UE e sopra citato CATCHWATER, ENV4-CT98-0790, 2001:
A cui consegue:
Nell’esperienza descritta nel rapporto finale del Progetto comunitario CATCHWATER, fu scelto di operare su alcune colonne di suolo indisturbato, 5 colonne, corrispondenti a 5 tipologie di suoli caratterizzanti il comprensorio irriguo della Sardegna meridionale, oltre a 5 repliche. Tuttavia, esperienze successive hanno consentito di effettuare le verifiche di compatibilità in laboratorio ed in campo con minor dispendio di energie. Esperienze, peraltro, condotte dall’Università di Sassari anche in collaborazione con l’Università Birzeit in Palestina e verificate da un panell di esperti italiani, giordani, palestinesi ed israeliani all’interno della rete internazionale EXACT, per conto del Ministero degli Esteri italiano. Come si può agevolmente notare, alla base dell’esperienza, purtroppo unica dell’irrigazione in emergenza, nel 2002, dei frutteti del sud Sardegna con i reflui trattati nel depuratore terzo stadio, realizzato, dopo un’attività di ricerca applicata attraverso l’impianto pilota di Simbirizzi, in uscita dal depuratore secondo stadio di Is Arenas, c’è stata un’attività di studio di grandissima importanza metodologica. Fatta propria dall’Unione Europea col report CATCHWATER, Attività totalmente disconosciuta dalla Regione Sardegna e dai suoi organi tecnici e, ancora peggio, dalla Società che dovrebbe gestire sia il depuratore terzo stadio di Is Arenas, sia l’esperienza di riuso di Alghero e Sassari, ma che ignora tutta la cultura scientifica e tecnica che ha portato alla realizzazione dell’opera e che ha consentito di salvare la frutticoltura della Sardegna meridionale in una condizione di gravissima siccità. In conclusione, corre l’obbligo di ricoradre i maestri che hanno realizzato studi ed esperienze sul riuso dei reflui di altissimo valore metodologico, due dei quali sono scomparsi: Heinz Bernardt (Università di Acquisgrana) e Brunello Ceccanti (CNR di Pisa). Angelo Aru (Università di Cagliari), Paolo Baldaccini (Università di Sassari), Antonio Coppola (Università di Benevento), Alessandro Santini (Università di Napoli), Herbert Muntau (Centro Comune di Ricerca, Unione Europea, Ispra), Laura Volterra (Istituto Superiore di Sanità), Antonio Viola (Università di Cagliari), Graziana Masciandaro (CNR Pisa), Benedetto Meloni (Università di Cagliari).
|