Perché studiare il latino e il greco? [di Antonio Gramsci]
[Quaderni del Carcere, 4 [XIII], 55]. Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale. La lingua latina o greca si impara secondo grammatica, un po’ meccanicamente: ma c’è molta esagerazione nell’accusa di meccanicità e aridità. Si ha che fare con dei ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza fisica, di concentrazione psichica in determinati oggetti. Uno studioso di trenta-quarant’anni sarebbe capace di stare a tavolino sedici ore filate, se da bambino non avesse «coattivamente», per «coercizione meccanica» assunto le abitudini psicofisiche conformi? Se si vogliono allevare anche degli studiosi, occorre incominciare da lì e occorre premere su tutti per avere quelle migliaia, o centinaia, o anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo, di cui ogni civiltà ha bisogno. Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare, ad analizzare un corpo storico che si può trattare come un cadavere ma che continuamente si ricompone in vita. Naturalmente io non credo che il latino e il greco abbiano delle qualità taumaturgiche intrinseche: dico che in un dato ambiente, in una data cultura, con una data tradizione, lo studio così graduato dava quei determinati effetti. Si può sostituire il latino e il greco e li si sostituirà utilmente, ma occorrerà sapere disporre didatticamente la nuova materia o la nuova serie di materie, in modo da ottenere risultati equivalenti di educazione generale dell’uomo, partendo dal ragazzetto fino all’età della scelta professionale. In questo periodo lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere disinteressato, cioè non avere scopi pratici immediati o troppo immediatamente mediati: deve essere formativo, anche se «istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete. Nella scuola moderna mi pare stia avvenendo un processo di progressiva degenerazione: la scuola di tipo professionale, cioè preoccupata di un immediato interesse pratico, prende il sopravvento sulla scuola “formativa” immediatamente disinteressata. La cosa più paradossale è che questo tipo di scuola appare e viene predicata come “democratica”, mentre invece essa è proprio destinata a perpetuare le differenze sociali. Il carattere sociale della scuola è dato dal fatto che ogni strato sociale ha un proprio tipo di scuola destinato a perpetuare in quello strato una determinata funzione tradizionale. Se si vuole spezzare questa trama, occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare-media) che conduca il giovane fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come uomo capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige. Il moltiplicarsi di tipi di scuole professionali tende dunque a eternare le differenze tradizionali, ma siccome, in esse, tende anche a creare nuove stratificazioni interne, ecco che nasce l’impressione della tendenza democratica. Ma la tendenza democratica, intrinsecamente, non può solo significare che un manovale diventi operaio qualificato, ma che ogni “cittadino” può diventare “governante” e che la società lo pone sia pure astrattamente nelle condizioni generali di poterlo diventare. Anche lo studio è un mestiere e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio anche nervoso-muscolare, oltre che intellettuale: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo e il dolore e la noia. La partecipazione di più larghe masse alla scuola media tende a rallentare la disciplina dello studio, a domandare facilitazioni. Molti pensano addirittura che la difficoltà sia artificiale, perchè sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale. È una quistione complessa. Certo il ragazzo di una famiglia tradizionalmente di intellettuali supera più facilmente il processo di adattamento psicofisico: egli già entrando la prima volta in classe ha parecchi punti di vantaggio sugli altri scolari, ha un’ambientazione già acquisita per le abitudini famigliari. Così il figlio di un operaio di città soffre meno entrando in fabbrica di un ragazzo di contadini o di un contadino già sviluppato per la vita dei campi. Ecco perchè molti del popolo pensano che nella difficoltà dello studio ci sia un trucco a loro danno; vedono il signore compiere con scioltezza e con apparente facilità il lavoro che ai loro figli costa lacrime e sangue, e pensano ci sia un trucco. In una nuova situazione politica, queste quistioni diventeranno asprissime e occorrerà resistere alla tendenza di rendere facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato. Se si vorrà creare un nuovo corpo di intellettuali, fino alle più alte cime, da uno strato sociale che tradizionalmente non ha sviluppato le attitudini psico-fisiche adeguate, si dovranno superare difficoltà inaudite. |
Queste considerazioni di Gramsci, aggiungerei del grande Antonio Gramsci, debbono essere lette come un faro dalle nostre generazioni: perchè da troppo tempo si è perso il vero senso dello studiare seriamente. Certo, il latino non è molto ‘simpatico’, ma fornisce le vere basi per poi arrivare a parlare un corretto italiano.
Forse non è “simpatico” ma è splendido e vale la pena fare tanta fatica per studiarlo! 🙂 non solo per imparare l’italiano ma per abituarsi a PENSARE, perché ha una logica che INCHIODA! Grazie!
Ammirazione pura. Siamo nani sulle evanescenti spalle di giganti.
Attuale, attualissimo. Non sai possono aggiungere parole ad una così attenta lezione di politica sociale! Pietromaria gentile
E pensare che il grande Gramsci non immaginava lontanamente la “BUONA SCUOLA” di RENZI MATTOE di Firenze………………
Quanta sapienza in queste righe. Ciò che stupisce è che già a quei tempi si ponesse questa problematica, e le osservazioni del nostro grande conterraneo, così opportunamente richiamate, andrebbero scolpite all’ingresso di tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Grazie a chi ha postato questa illuminante citazione. Mi pare che sia sempre più difficile oggi trovare persone del mondo della cultura che sappiano esprimere in modo chiaro concetti fondamnetali, senza cambiare idea il giorno dopo. Ben venga chiunque che anche in epoche diverse ha scritto qualcosa di illuminante che ci aiuta ad affrontare le difficoltà in cui ci dibattiamo. “Siamo nani sulle spalle dei giganti”…
Viviamo in un mondo in cui la fa da padrone la finanza, quindi non c’è il tempo materiale per dedicarsi a queste lingue cosiddette morte. Purtroppo non si comprende il valore universale di queste lingue e di queste culture che hanno influenzato e continuano a influenzare, senza che ce ne accorgiamo, il mondo contemporaneo. Se si pensa che ancora oggi il latino è presente in tanti dialetti, come quello barese. Crà = domani (cras in latino); pscrà = dopodomani (post cras in latino); dia terz = il giorno dopo di dopodomani (dies tertia in latino); ecc ecc. Il povero Gramsci non aveva previsto tutto questo decadimento di cultura e di valori. Tocca a noi l’arduo compito di proposta classica nel mondo attuale.
Ciò che colpisce in queste riflessioni gramsciane è la loro attualità
Sono perfettamente d’accordo. Il latino, soprattutto, serve a costruire ragionamenti logici e ben strutturati. Consiglio anche il libro di Nicola Gardini “Viva il latino” che spiega molto bene l’importanza della cultura umanistica. E il greco aggiunge armonia e fantasia.
Ivana Vaccaroni
È una bella sorpresa ritrovare Gramsci nel sito internet di una scuola italiana! Tradizionalmente mai amatissimo, al prezzo ( e che prezzo!) di defilare dalla scuola uno degli intellettuali più importanti e decisivi della modernità – ed invece oggi molto studiato nel mondo anglosassone di qua e di là dall’oceano, nonché in altri continenti –, leggerne la citazione proposta odora immediatamente, come vedo notato, di “gigante” su spalle nane.
E però, se citazione deve essere, occorrerebbe saperne anche trarre conseguenze serie e in nulla retoriche ed oleografiche: ciò, sia chiaro, non vale per questa o quella scuola, ma per la fase confusa e critica che oggi attraversa l’intero sistema scolastico italiano: dalla proliferazione mercantile dell’istruzione professionale e tecnica, elevata fino al microspecialismo più spinto e antiformativo, alla disseminazione degli studi liceali degna di un “rococò” primo-settecentesco. L’acutezza gramsciana nel disegnare linee di tendenza negative oggi ampiamente realizzate lascia di stucco: gli scritti gramsciani dal carcere sulla scuola risalgono ai primi anni ’30, in tempi di crisi interna al fascismo della riforma gentiliana, tant’è vero che a Bottai verrà affidato il compito dei necessari correttivi. Non si intende, tuttavia, il pensiero di Gramsci se non si precisa che egli riteneva inevitabile la perdita di centralità assoluta del nucleo umanistico degli studi nella formazione scolastica, con un pizzico di comprensibile nostalgia e con grande preoccupazione che non se ne trovassero altri altrettanto forti. In una lettera al figlio gli indicava l’uomo leonardesco come paradigma moderno della formazione, di un Leonardo “omo sanza lettere” corretto, tuttavia, dalla persistenza degli studi umanistici entro una rinnovata loro collocazione culturale.
Illuminanti, come si può leggere, le notazioni gramsciane che riguardano, serietà, fatica, lavoro, impegno, rigore, elogio della formazione disinteressata e non immediatamente pratica, nonché sulle differenze di classe oggi non certo sopite, ed anzi modernamente in grado di riguadagnar terreno.
Il contrario esatto della scuola come da circa vent’anni a questa parte , nel mutuo cambiar di segno governativo, ma non culturale, si è venuta riformando nel nostro paese, all’insegna del mercantilismo, della competizione fra scuole, della proliferazione di offerte formative e di pratiche didattiche sovente di incontrollata efficacia, sotto la bandiera comoda ma spesso molto lisa nella confezione del suo tessuto concreto delle parole magiche “innovazione”, “sperimentazione” ecc. ecc.
Il “pensiero magico” era un altro degli avversari contro cui Gramsci intendeva combattere e contro il quale rivendicava la grande, imprescindibile, funzione della scuola, regno invece della formazione seria di un “pensiero critico”.
Ecco: oggi la scuola ha ancora la stessa medesima funzione, se non vuole essere (e Gramsci vi accenna anche nelle righe citate) cinghia di trasmissione del puro esistente e delle sue modernissime “magie”…
Sta tutta qui ancora la vera, seria, importante ricerca di una scuola moderna, almeno per chi la scuola la ama davvero. E Gramsci, allora, ci può far ancora molta, lunga compagnia.
Luca Zorzenon
Ho studiato latino per otto anni, greco per cinque. Ho imparato molto dal greco, molto meno dal latino. Forse il greco era insegnato meglio. Di sicuro, non c’era un Cicerone da insegnare a scimmiottare.
…..se si vorrå creare un nuovo corpo di intellettuali…..e questo il punto.
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Grazie per chi ha postato questo brano, grazie. Ma provo smarrimento se penso ad oggi, alla cultura degli sms, alla diffusa superficialità dei selfies, alla crassa ignoranza che permea non solo i giovani, ma sopratutto la generazione dei sessantanovini, bravi nel distruggere ciò che era ormai antistorico, ma fallimentari nella ricostruzione.
Condivido in pieno! Chiedo a tutti di far conoscere il mio indirizzo email ( rcnico@tin.it) tramite il quale posso far avere gratis un libretto di 19 pagine da regalare ai ragazzi delle medie ed anche a quelli del liceo scientifico che non hanno il latino.
Studiare matematica stessi risultati e maggiore utilità poi per imparare a parlare meglio leggere leggere leggere e se proprio una lingua dev essere perché non il cinese
Studiare il tedesco conoscendo il latino (ai miei tempi il latino cominciavamo a studiarlo in 2 media), è di gran lunga più facile. Nella mia formazione professionale (Fisioterapista), latino e greco sono stati per me dei vantaggi incredibili, giacché le due lingue classiche non vengono più insegnate in tutti i licei teutonici. Per le facoltà di medicina, viene richiesto un esamino nel “kleines Latinum”. Il livello è “De bello gallico” di Cesare.
la citazione è preceduta dalle parentesi quadre in è scritto “quaderni dal carcere.4,55” . Evidentemente chi ha scritto l’articolo non ha molta dimestichezza con gli scritti gramsciani, altrimenti avrebbe saputo che i “quaderni (non sono) dal carcere ma DEL CARCERE” confondendo grossolanamente con le LETTERE, quelle sì, DAL CARCERE.