Vespa, Sordi, Delrio e lo spirito del tempo [di Carlo Freccero]

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Il manifesto, 28 agosto 2016. Ho avuto un déjà-vu. Lo speciale di Rai1 sul terremoto ha preso nettamente le distanze dal copione consolidato di tv del dolore che, vampirescamente, cerca di estrarre audience dall’esibizione oscena della sofferenza dei morti, dei feriti, dei superstiti. Lo speciale era declinato in tutt’altra chiave.

Un Bruno Vespa, carico e vitale, dirigeva il dibattito alternando didattica ed ottimismo. Il succo di tutto era il terremoto come opportunità. Opportunità economica di ricostruzione, volano dell’economia, possibile incremento del Pil. Così come quella guerra che gli economisti raccomandano, in casi di crisi deflazionistica come l’attuale, come unica soluzione per la ripresa economica.

La disgrazia è, in sé, un’opportunità. Sempre. Perché, in una crisi di consumi dovuta alla svalutazione dei salari, sposta la produzione dal voluttuario al necessario. Dove c’è guerra o morti ci sono consumi coatti: armamenti, ricostruzione edilizia. Ma anche casse da morto, ospitalità e catering degli sfollati, edilizia pubblica.

Una per tutte. La scuola antisismica di Amatrice, la cui messa in sicurezza aveva già rappresentato risorse per l’edilizia è nuovamente crollata per creare, bontà sua, nuovi posti di lavoro. Ed infatti, anche l’interlocutore di Vespa, il ministro Delrio, sembrava consapevole di quanto un governo in crisi debba essere grato alle catastrofi che possono cancellare, in nome della solidarietà, il conflitto sociale e capovolgere, con lo sfruttamento delle industrie della morte, la morte dell’economia.

Tutto questo era un déjà-vu, perché mi ricordava il cinismo di una commedia all’italiana d’epoca, tutta costruita sul personaggio poliedrico di Alberto Sordi, «Finché c’è guerra c’è speranza» in cui, un trafficante d’armi, trae dalla guerra le sue opportunità. C’è però una differenza. Il film era la denuncia del cinismo di un singolo. Qui il ministro Delrio ha dato all’equazione terremoto = opportunità il suo imprinting istituzionale dichiarando: «Oggi l’Aquila è il più grande cantiere d’Europa». E a ben vendere, in un’Italia che ha da tempo privatizzato le sue industrie pesanti, l’unica industria statale produttiva è stata, negli anni scorsi, la Protezione Civile di Bertolaso.

Le reazioni alla trasmissione si possono dividere in due gruppi.

Da un lato lo sdegno della rete che ha bollato Vespa di sciacallaggio. Dall’altro la reazione misurata della stampa che, se non ha ignorato l’evento, si è domandata invece dove risieda lo scandalo. Vespa ha rivelato verità che qualsiasi economista potrebbe sottoscrivere. Anche Keynes. In una realtà economica ingessata da vincoli di bilancio sulla spesa pubblica, la spesa coatta che scaturisce dal terremoto, rappresenta comunque un’opportunità di lavoro.

Qual è la mia opinione in proposito? Non mi riconosco né nell’una, né nell’altra reazione. Vespa non è cinico, è cinico il sistema che la trasmissione ha portato alla luce. La riprova è la difesa d’ufficio della stampa nei confronti di Vespa in quanto dice la verità. La verità è sempre legata ad una visione del mondo, un’episteme, uno spirito del tempo. Rivelando le aspettative del potere in crisi, Vespa non è altro che il fanciullo che denuncia la nudità dell’imperatore, nella famosa favola. E lo fa strizzandogli l’occhio per dire «anch’io ho capito tutto».

Siamo di fronte all’ennesimo caso in cui l’opinione pubblica si spacca perché si muove sulla base di visioni del mondo diverse. La massa risponde ancora a quell’empatia che fa sì che ogni essere vivente, condivida con i suoi neuroni specchio le sofferenze del prossimo. Le élite rivelano invece uno spirito centrato sul bene supremo dell’economia.

Ci sono catastrofi che sacrificando il singolo, giovano alla comunità. Anche Bush, dopo l’11 settembre, ha parlato di opportunità. Ma sono queste le opportunità che vogliamo?

Da tempo abbiamo identificato la casta con chi spende e spande, con chi gira in auto blu e fa la cresta sui pranzi ufficiali. Il senso è che viviamo nel migliore dei mondi possibili e che, se questo mondo non funziona è per lo spreco e la corruzione. E se invece cominciassimo a pensare che un mondo che sacrifica i cittadini per il bene dell’economia, non è il migliore dei mondi possibili perché offende i principi primari di solidarietà e altruismo?

Foucault ci ha insegnato che il potere non è altro che l’applicazione di una forma di sapere. Ha sottoposto a critica il potere che gli era contemporaneo denunciando la biopolitica, la politica sociale, impegnata a mantenere la vita del cittadino ad ogni costo, come una forma di assoggettamento e controllo. Ma non è forse peggio un sapere che non privilegia la vita di fronte all’esigenze superiori dell’economia?  Vespa da portavoce del sistema ha il pregio di esprimere sempre lo spirito del tempo nella sua nuda realtà. Ed è in grado di farlo perché ha da tempo accantonato l’ipocrisia di chi vuol compiacere le masse.

Ma le masse hanno a loro volta la colpa di essersi adagiate sul pensiero unico. Di fronte ad eventi che squarciano la coltre di retorica di cui il pensiero unico si ammanta per sopravvivere, ci sono due possibili reazioni. O invochiamo censura e repressione nei confronti dell’oscenità del reale, per continuare a vivere con la testa conficcata nella sabbia. O decidiamo che questo non è il migliore dei mondi possibili e nemmeno l’unico mondo possibile, e cominciamo a pensare ad un’alternativa.

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