Corso Vittorio Emanuele, ”meglio di prima”…..sperimentalmente [ Francesco Sechi e Luca Guala]

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Una delle più belle immagini che di recente il Corso Vittorio Emanuele ha mostrato  è stata quella dei bambini che sono tornati a giocare indisturbati a pallone; chissà da quando non si assisteva ad un fatto simile. Probabilmente tali eventi si manifesteranno raramente nel futuro perché, se ciò avvenisse con frequenza, non tarderanno ad arrivare le proteste per una situazione insostenibile per la quiete e la sicurezza della via. Non sia mai. Neanche al mare è più ammesso il “pallone” figuriamoci in una via centrale della città.

E tuttavia resta evidente quanto sia forte il desiderio di riappropriarsi di spazi all’aria aperta, oggi occupati dalle auto, e di trasformare questi in spazi sportivi oggi assenti o puro corollario di bar e ristoranti. Sì, perché i bambini sono andati a giocare a “pallone” non grazie all’intervento di riqualificazione stradale in sé, il “granito” e il “porfido”, ma semplicemente per il fatto che sono spariti i veicoli sia in sosta che in circolazione. Il resto è quasi irrilevante.

Ma, all’occhio dei più attenti, non sono sfuggiti alcuni particolari della via perlomeno singolari: la presenza dei marciapiedi in entrambi i lati e, su quello di destra, per chi guarda Piazza Yenne, addirittura di una fila di fioriere, opere ereditate dalla precedente configurazione del Corso Vittorio Emanuele, la cui funzione era quella di separare le correnti pedonali da quelle veicolari e dalla sosta.

Ma come mai ci sono ancora queste separazioni in una via “pedonale”? Semplicemente perché la via non è pedonale ma è “sperimentalmente” pedonale, fino al 15 ottobre del 2016. Tradotto: “vediamo gli effetti della pedonalizzazione e poi decidiamo se rendere la via definitivamente pedonale oppure se la dobbiamo riaprire al traffico anche come ZTL”.

Di per sé la cautela non è sbagliata, soprattutto per chi non ha specifiche conoscenze in materia di pianificazione dei trasporti. Il problema è che nel frattempo la via è stata oggetto di un importante intervento di manutenzione che ha riguardato sia i sottoservizi che la pavimentazione stradale e che, ad intervento concluso, non vedrà probabilmente tornare le ruspe e gli operai prima di 30 anni. Grosso modo dopo il 2050!

In sostanza si è scelto di realizzare un progetto di riqualificazione senza stabilire prima quale sarebbe dovuta essere la funzione della strada, perlomeno se sarà aperta o chiusa al traffico. La decisione non sarebbe stata ininfluente perché nel caso si fosse deciso di realizzare una via chiusa al traffico il progetto avrebbe assunto un’altra configurazione: niente marciapiedi o fioriere per separare i pedoni dai veicoli e magari una pavimentazione differente per materiali, colori e disegno. Quale che sarà la decisione finale sulla funzione della strada una cosa sarà certa: la via presenterà ancora una configurazione organizzata per il transito dei veicoli. Senza la chiarezza della funzione e la qualità urbanistica e paesaggistica che l’ottocentesca  Strada reale aveva.

Viviamo in un’epoca che eredita scelte del passato che hanno privilegiato la “fluidificazione” dei flussi veicolari attraverso opere stradali che non si sono minimamente occupate dell’impatto sulle vie attraversate, deturpandole, limitandone la vivibilità e l’accessibilità e spogliandole della propria condizione di “luogo”. Il tutto per soddisfare gli spostamenti motorizzati il più celermente possibile. Con l’intervento nel Corso siamo riusciti nell’intento di tenerci l’impatto della strada “carrabile” senza le auto. Quanche confusione sul concetto di mobiliotà regna dalle parti del palazzo municipale.

Questo nonostante già il Piano Urbano della Mobilità approvato nel 2009, ma discusso negli anni precedenti (2007-2008) all’interno dei tavoli tematici del Piano Strategico Comunale, ne avesse già identificato la funzione di strada ad uso pedonale. In tutti questi anni non si è avuta la forza di confermare una scelta strategica, la pedonalizzazione, e sulla base di questa scelta fare un intervento di riqualificazione “per una via pedonale” con l’intento, questa volta virtuoso, di realizzare una intervento di elevato valore urbanistico sfruttando tutte le potenzialità della via come “luogo urbano” per eccellenza e pronta ad affrontare gli scenari dei prossimi 30-50 anni, che saranno caratterizzati da un nuovo modo di concepire la mobilità e la vivibilità delle vie.

Questo purtroppo non è stato fatto anche per via di quella coltre nebbiosa sollevata dal concetto che “comunque anche così è meglio di prima” che impedisce di individuare le potenzialità dei luoghi, guardare verso il futuro liberandosi del fardello di un passato recente ormai insostenibile, e sviluppare progetti ambiziosi e duraturi per le vie preziose e uniche della città.

*Ingegneri trasportisti

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