A proposito di foreste e di “mantenimento dinamico” del paesaggio [di Mariano Cocco]
“Il Paesaggio non è un presepe, non si può rinchiudere negli spazi protetti di un museo, vive nella nostra epoca, esposto ai venti della storia mondiale.” Questa è già una buona considerazione ma va anche sottolineato, con più enfasi, che per tutelare il paesaggio è necessario mantenere le attività storiche del territorio che hanno concorso a crearlo. Ma nella pratica questo non sempre avviene perché, di fatto, si vorrebbe il paesaggio come qualcosa di statico e sempre uguale a se stesso, mentre ci troviamo spesso davanti a processi che ne cambiano l’aspetto in modo ciclico. Per fare un esempio: quale è il paesaggio dei campi di riso? Quello con la terra sommersa? Quella del riso in maturazione con le vasche vuote o dopo la mietitura? Davanti a questa evidenza della ciclicità con cui si manifesta l’aspetto di tale paesaggio agrario (e tanti altri) penso non ci sia nessuna difficoltà a comprendere ed accettare la sua dinamicità, perchè il mutamento avviene nell’arco di un anno ed è quindi facilmente osservabile, tanto da essere anche scontato. Ma ci sono dei casi dove cicli più lunghi fanno sfuggire questa evidenza, e quindi, malgrado si sostenga che il paesaggio non è un presepe, nella pratica si può finire per trattarlo come tale. Un eclatante esempio è quello del Bosco di Sant’Antonio, in Abruzzo, caratterizzato dagli alberi con la forma a candelabro, il quale è stato messo a rischio da una visione statica che pretendeva di proteggerlo come si fa con un monumento. Gli alberi a candelabro sono il risultato della capitozzatura eseguita dai pastori per secoli e la minaccia più grossa è stata proprio l’estrema tutela che ha vietato l’utilizzo storico del territorio e quindi il pascolo ed il taglio. Purtroppo gli alberi con il tempo cambiano forma e muoiono e così anche quelli a candelabro, che possono essere mantenuti solo con quei “maltrattamenti” che gli hanno originati. Richiamo quindi un caso meno evidente di questa contraddizione fra tutela del paesaggio e le azioni che la rendono concreta : a quanto pare il taglio del bosco ceduo per produrre legna viene considerato, percepito ed osteggiato, in quanto ritenuto negativo per il paesaggio. Eppure, è lo stesso caso della risaia, pur con cicli più lunghi, dove non si può scegliere e fissare la parte del ciclo che più ci soddisfa esteticamente. Come la risaia non può essere sempre coperta d’acqua, anche il bosco ceduo deve attraversare una parte del ciclo dove è necessario asportare gran parte della vegetazione per farne legna da ardere. Il taglio innescherà la rinnovazione e l’inizio di un nuovo ciclo. La conversione all’alto fusto e l’abbandono colturale, che vengono spesso considerati come la migliore soluzione di tutela, cancellano proprio le caratteristiche del ceduo e del paesaggio colturale e culturale che caratterizza vaste aree della Sardegna. Senza dubbio anche le fustaie hanno il loro fascino, ma il ceduo mediterraneo è senz’altro più ricco di cromatismi dovuti alla presenza del leccio in mescolanza con il corbezzolo, l’erica arborea ed altre specie, che tendono a sparire nella fase di stabilizzazione della fustaia di leccio rendendolo più uniforme. Le soluzioni tecniche per ridurre gli inconvenienti che l’intervento colturale può creare nei primi cinque anni dopo il taglio ci sono, più difficile è fare comprendere “che le risaie non sono sempre sommerse” e che il taglio colturale (la ceduazione), è nel contempo ed inscindibilmente produttivo, nonchè l’operazione di “manutenzione” fondamentale per il mantenimento dinamico di quel tipo forestale e quindi delle caratteristiche che questo conferisce al paesaggio. |
Connaturato al concetto di paesaggio vi è la dinamica dell’uso prevalente delle Terre; per cui il paesaggio risicolo ricomprende le diverse fasi della coltivazione. Il problema è, tuttavia, quello di considerare in una visione olistica tutte le componenti; si può – è vero – come nel caso citato definire un paesaggio attraverso quello che sembra essere l’elemento caratterizzante, la risaia, ma non possiamo dimenticare che, a definire il paesaggio vi è il suolo, la morfologia, il clima e l’azione dell’uomo. Per cui, se viene richiamata la dinamica della componente del paesaggio meno stabile, la biomassa vegetale, non possiamo assolutamente dimenticare la dinamica della componente più stabile, ossia il suolo. Detta in altri termini, se per la gestione del bosco si devono tagliare delle piante, non si dimentichi che, a seconda di come si operi, si innescano o si incrementano processi erosivi del suolo. E’ questo l’unico modo per gestire correttamente il paesaggio.
Anche quando si usa un approccio olistico non si può fare a meno di utilizzare i risultati della scienza analitica. Quindi, se non chiariamo gli aspetti inerenti i singoli argomentii l’approccio olistico sarà solo filosofia astratta e poco utile nelle applicazioni pratiche. Per ora lasciamo da parte tutte le altre considerazioni e poniamo un punto fermo, per comprendere se realmente si vuole conservare un paesaggio così come è, oppure se l’argomento della conservazione del paesaggio viene usato impropriamente e strumentalmente per ottenere qualcosa di diverso (per esempio un ipotetico paesaggio primordiale). Innanzitutto bisognerebbe rispondere alla domanda: si possono mantenere le caratteristiche del paesaggio agrario o forestale che attualmente conosciamo escludendo le attività che lo hanno caratterizzato? Se la risposta è si l’intento è autentico. Chiarito questo aspetto, per pianificare la gestione del paesaggio con un approccio “olistico” (termine oramai abusato), bisognerà tener conto di tanti altri fattori: ambientali (suolo, clima, ecc.), economici e sociali (richiesta di un determinato prodotto, la presenza di professionalità, ecc.). Invece, la negazione non può che portare all’adozione di nuove modalità di gestione in evidente contraddizione con l’intento di conservare il paesaggio odierno che, come sappiamo, è frutto dell’interazione dell’ambiente naturale con le attività antropiche. Riguardo l’aspetto gestionale, le strade a cui porta la negazione di questo legame sono due: il cambiamento dell’ordinamento colturale (della forma di governo per i boschi), fino all’estremo dell’esaltazione dell’abbandono colturale; ma è proprio questo che implica un sicuro mutamento del paesaggio. Soggettivamente e collettivamente può essere anche più apprezzato un paesaggio diverso da quello antropico-colturale, ma va ammesso che non si tratta più di conservazione del paesaggio, ma di conversione del paesaggio, anche se la scelta si rivelasse necessaria per motivi tecnico-pratici. Per raffigurare le cose in altro modo, un pittore non può negare che dovrà usare tecniche diverse a seconda che voglia realizzare un dipinto realista o impressionista, e anche che differenti tipi di colore (acquarello, olio ecc.) danno un diverso effetto cromatico.