Giuseppe Cavallera (1873 – 1952) e la nascita del socialismo in Sardegna [di Pietro Maurandi]

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La Relazione che pubblichiamo è stata letta nel corso del  Convegno su Giuseppe Cavallera tenutosi 28 settembre 2016 alla Camera del Lavoro di Cagliari. (NdR)

Giuseppe Cavallera ha radicato e diffuso il socialismo e il sindacalismo in Sardegna, ha ispirato e guidato i primi movimenti popolari nell’isola. Bisogna sfatare l’idea diffusa, che a volte si sente e si legge, che i primi movimenti popolari in Sardegna siano stati quelli ispirati dal sardismo, dopo la prima guerra mondiale. In realtà tali movimenti popolari risalgono a un quarto di secolo prima e al movimento socialista.  Il socialismo fu radicato in Sardegna alla fine dell’Ottocento ad opera di militanti giunti nell’isola con l’obiettivo di diffondervi le idee e le organizzazioni socialiste.

Giuseppe Cavallera fu uno di essi, la sua azione si impose rapidamente come la più efficace, duratura e profonda. Fu lui, giovanissimo, a dedicarsi e ad assolvere con decisione alla missione, come si diceva allora, di diffondere il socialismo nell’isola fra i lavoratori e di radicare fra essi una piena coscienza dei loro interessi di classe. Non che in Sardegna non ci fossero circoli socialisti, ma erano formati generalmente da borghesi massoni e anticlericali, senza rapporti con la classe operaia, anche perché ben poca ce n’era nell’isola. Circoli si trovavano a Cagliari, a Sassari, a Tempio con l’esponente riformista Claudio De Martis, che è probabilmente il più autentico rappresentante di quel tipo di socialisti.

Cavallera era nato a Villar San Costanzo in provincia di Cuneo il 2 gennaio 1873, da una famiglia di contadini in condizioni decorose. Il padre Bartolomeo svolgeva anche l’attività di carrettiere. Giuseppe era figlio unico; dopo aver aiutato il padre nel lavoro di carrettiere, si iscrive al ginnasio presso il seminario di Cuneo, sostenuto da una zia devotissima ed economicamente agiata. Al termine degli studi, si rifiuta di seguire la strada della vita ecclesiastica desiderata per lui dalla famiglia. Si avvicina invece al socialismo cuneese attraverso il suo esponente di spicco Salomone Colombo. La zia continua a sostenerlo e gli consente di iscriversi alla Facoltà di medicina dell’Università di Torino. In questo ambiente entra in contatto con il circolo socialista universitario, un socialismo “deamicisiano”, con personaggi come Oddino Morgari e Claudio Treves.

Si iscrive al Partito dei Lavoratori Italiani il primo maggio 1894 a 21 anni. Poi diventerà Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (1893) e infine Partito Socialista Italiano (1895). Sulla decisione di Cavallera di trasferirsi in Sardegna vi sono diverse versioni. Francesco Manconi, studioso sassarese che ha dedicato un libro e altri scritti all’attività di Cavallera in Sardegna, sostiene che intendeva sfuggire alla polizia piemontese che lo controllava da vicino in quanto attivista socialista.

Secondo il figlio Vindice si trattò di una decisione personale. Secondo altri fu inviato dal partito nazionale per rafforzare e diffondere il socialismo nell’isola. Secondo la testimonianza del suo amico Oddino Morgari, una volta gli disse “dappertutto in Italia ferve la propaganda socialista salvo che in Sardegna, ho pensato di andare a proseguire gli studi all’Università di Cagliari per vedere quello che si può fare anche laggiù”.

Solo una grande passione politica e civile può spingere un giovane con buone prospettive a trasferirsi da Torino – culla del socialismo e della classe operaia – in una terra emarginata e arretrata, dove la politica e la vita civile è nelle mani del notabilato, liberale quando va bene, reazionario in molte circostanze.

Fatto sta che Cavallera nel 1895 vince una borsa di studio della Facoltà di Medicina di Cagliari, dove si laurea nel 1897 con una tesi su La malaria e la sua profilassi. Un tema importante per la Sardegna, da sempre flagellata dalla malattia, di cui Cavallera continuerà a occuparsi per tutta la vita.  Il giovane piemontese (ha 22 anni) prende immediatamente contatto con i circoli socialisti esistenti in Sardegna e il 28 febbraio del 1898, su suo impulso, si svolge a Oristano il primo Congresso regionale socialista, con 15 rappresentanti. Presidente è il prof. Giuseppe Fasola di Terranova, Segretario Cesare Loi medico di Arbus. Cavallera viene eletto consigliere nazionale e segretario del Comitato regionale.

Nel settembre dello stesso anno Cavallera va per la prima volta a Carloforte, per discutere con i socialisti locali del risultato del Congresso Regionale. A Carloforte non trova classe operaia in senso proprio, ma una sorta di surrogato di essa. Si tratta dei battellieri, che trasportano il minerale dalle spiagge dell’iglesiente a Carloforte, dove viene scaricato in appositi magazzini in attesa delle navi che lo porteranno sul continente europeo. A Carloforte infatti esiste l’unico porto, per meglio dire una rada riparata, oltre a quello di Cagliari, della Sardegna meridionale.

I battelli sono velieri di varia stazza: si va dalle 10 fino alle 50 e anche 60 tonnellate. Sono in parte armati dalle società concessionarie delle miniere, in parte di proprietà di padroncini locali. I battellieri hanno un regolare rapporto di lavoro, sono legati da contratto con le società minerarie, sono pagati a quintale di minerale trasportato, quindi a cottimo. Si tratta di un lavoro che ha bisogno di attenzione e di fatica, le barche non possono essere caricate più di tanto per non comprometterne la stabilità in navigazione, per cui è essenziale la riduzione dei tempi: di navigazione, di carico e di scarico del minerale.

I battelli salpano da Carloforte all’alba, spinti dal vento quando c’è oppure dai remi. In seguito verranno trainati da una barca a motore. Percorrono 6 miglia se devono raggiungere Portovesme, 12 per Funtanamare, 12 per Nebida o per Masua, 14 per Cala Domestica, 15 per Buggerru, 40 per Piscinas. Giunti a destinazione, i battellieri gettano dei tavoloni fra le barche e la spiaggia, lungo i quali, di corsa, caricano sui battelli il minerale che è stato ammassato sulla spiaggia con vagoncini ferroviari provenienti direttamente dalle miniere.

Il minerale è per lo più galena, minerale di piombo. In dialetto tabarkino si chiama galanza, perciò i battellieri si chiamano anche galanzè (galanzieri). Il trasporto avviene con ceste foderate, che vengono poggiate sulle spalle; quando sono piene pesano una cinquantina di chili, il momento per tirare respiro è quando, vuotata la cesta, devono correre a caricarne un’altra. Il marchio dei galanzieri – che li faceva riconoscere anche da vecchi – era una grossa callosità che cresceva fra il collo e la spalla, dove si appoggiavano le coffe piene di galena.

L’attività dei battellieri e dei minatori rende fiorenti due paesi: Buggerru, che fa parte del comune di Fluminimaggiore, e Carloforte. Sono dotati di attività e di servizi che sono assenti da tutti gli altri centri della zona, a parte la città di Iglesias: scuola, biblioteca, teatro e locale cinematografico, a Buggerru c’è anche un ospedale e c’è l’energia elettrica, che a Carloforte arriverà nel 1914.

Battelli e miniere sono le realtà che rendono floridi i due paesi, dove il lavoro è duro ma c’è per tutti e attrae, soprattutto a Buggerru, lavoratori da ogni parte della Sardegna e anche dal continente. Alla fine dell’Ottocento esistevano nel territorio di Buggerru 14 gallerie attive; venivano impiegati fino a 5000 lavoratori e si contavano più di 8000 abitanti. Lavoravano anche le donne, generalmente impiegate nella cernita del minerale e in parte nel trasporto, che avveniva con ceste tenute in equilibrio sulla testa, come le donne erano abituate a fare con le giare dell’acqua.

A Carloforte esistevano 250 bilancelle o paranzelle che occupavano un migliaio di battellieri. Si trattava di barche a vela latina, lunghe sui 10 metri, con un albero inclinato verso prua, molto veloci e versatili, già impiegate per la pesca del corallo e ora per il trasporto del minerale. In questa realtà vi era un buon livello di coscienza degli interessi e dei diritti di minatori e battellieri. Vi furono anche tentativi di lotte, ma l’assenza di organizzazione e di quadri dirigenti portava i tentativi al fallimento. Nel novembre del 1897 uno sciopero proclamato contro la società Malfidano era fallito, perché le famiglie degli scioperanti non potevano resistere che pochi giorni senza salario.  Buggerru veniva chiamata la piccola Parigi, perché la società concessionaria delle miniere Societè Anonyme des mines de Malfidano era francese, aveva sede legale a Parigi, i suoi dirigenti e tecnici a Buggerru erano generalmente francesi. Anche il proprietario del locale cinematografico, Georges Perrier era francese.

Cavallera quindi prende contatto con questa realtà, di lavoratori consapevoli dei propri diritti e della propria capacità contrattuale. Una forte identità di interessi legava i battellieri ai minatori: se si fermavano i battellieri si dovevano fermare anche le miniere e se si fermavano i minatori dovevano per forza cessare anche le attività dei battellieri. Una identità di interessi che, se non si può ancora chiamare coscienza di classe, è certamente una realtà per sua natura suscettibile di accogliere le idee e le organizzazioni socialiste. A Carloforte Cavallera fonda la Lega di resistenza tra battellieri e stivatori.

A lui viene chiesto di dirigerla e gli viene assegnato uno stipendio. Così nel maggio del 1897 si trasferisce da Iglesias a Carloforte. La Lega incontra subito problemi a causa della legislazione allora vigente, viene sciolta d’autorità qualche mese dopo la sua costituzione. Cavallera, come farà sempre, non si lascia scoraggiare dalle difficoltà e dà una risposta pacata ma pragmatica ed efficace. La Lega viene trasformata in Società di previdenza e miglioramento battellieri e sotto la nuova denominazione continua a fare l’attività politica e sindacale di prima. Non solo, accanto ad essa viene costituita anche la Società di previdenza e miglioramento giornalieri. Questi ultimi erano lavoratori che venivano impiegati a chiamata, quando arrivavano in porto le navi da caricare. Viene costituita anche una Società di previdenza e miglioramento pescatori.

 Cavallera risiede a Carloforte e nel 1899 sposa una ragazza del paese, Anna Vassallo, che gli sarà compagna per tutta la vita (nelle lettere la chiamerà “adorata moglie”), lo sosterrà discretamente ma con determinazione nelle sue attività e nei momenti di difficoltà. Avranno sei figli, cinque maschi (Giuseppe, Germinal, Araldo, Vindice, Quinto) e una femmina (Serena); due moriranno in giovane età (Araldo e Serena), due nel 1943 faranno i partigiani (Giuseppe e Vindice). Cavallera e la fidanzata si sposano con rito civile dando scandalo alle famiglie di origine di entrambi, che tuttavia rapidamente si adeguano alla situazione.

Frattanto Cavallera convince la Lega a istituire un fondo cassa per sostenere le famiglie degli scioperanti. Diventa così possibile una forte azione di lotta, uno sciopero che inizia nel gennaio del 1900. Non tutti i lavoratori vi partecipano; una parte di essi, vicini agli ambienti della chiesa, non aderisce e diventa oggetto di manovre per essere utilizzata contro gli scioperanti. Si formano in tal modo due fazioni che diventeranno stabili: quella degli scioperanti, chiamati cappe nere e quella degli altri chiamati cappe bianche. Successivamente i secondi diventeranno democristiani, i primi socialcomunisti.

Lo sciopero comunque dura ben 118 giorni e si conclude con un accordo che migliora le condizioni di vita e di lavoro. E’ questo il primo importante risultato di Cavallera come sindacalista; l’accordo rappresenta infatti la conclusione di una trattativa e il primo riconoscimento dell’esistenza di una rappresentanza dei lavoratori. Questo successo fa del medico piemontese un leader riconosciuto del socialismo nell’iglesiente e noto in tutta la Sardegna.Lo stesso accade negli anni successivi. A partire dal 1904 si ottengono aumenti dei salari, riduzione dell’orario di lavoro, riduzione dei prezzi praticati dalle cantine.

Alle elezioni politiche del 1900, a Iglesias viene candidato il leader socialista Andrea Costa, che prende 183 voti contro 982 dell’avversario. Cavallera invece accetta una candidatura di bandiera a Cuneo contro Giolitti. Nella notte fra il 30 e il 31 agosto del 1900 Cavallera viene arrestato con 18 lavoratori, altri 28 vengono incriminati, con l’accusa di associazione a delinquere, truffa e appropriazione indebita, estorsione, danneggiamento, minacce e sommersione di navi, in riferimento al periodo dello sciopero dell’inizio dell’anno. L’accusa di danneggiamento e sommersione di navi deriva dal fatto che alcuni battelli erano stati affondati e altri gravemente danneggiati ad opera di ignoti.

Il processo si svolge fra luglio e agosto del 1901. Un processo clamoroso. Infatti le migliori testimonianze a favore di Cavallera provengono da testimoni dell’accusa: il maresciallo dei carabinieri Salvatore Podda dice che non ci sono mai state minacce ma solo un po’ di trambusto fra cappe bianche e cappe nere; il direttore della società Malfidano Ferrari afferma che Cavallera gli ha sempre fatto una buona impressione, che con lui ha concluso accordi, che lui e i suoi collaboratori erano tutti brava gente; il prefetto Bedendo afferma che Cavallera è un giovane pieno di entusiasmo e di fede, che più volte ha trattato con lui per comporre questioni sorte fra i battellieri e la società.

Insomma nel processo contro di lui non emerge certo la figura di un rivoluzionario ma di un riformista pragmatico, per il quale la lotta politica e sindacale è strumento per migliorare immediatamente le condizioni di vita e di lavoro. Vengono tutti assolti tranne Cavallera, che viene condannato a 7 mesi per eccitamento all’odio di classe, di cui 6 condonati per intervenuta amnistia. Una condanna mite per quei tempi, che infatti viene accolta dall’applauso del pubblico presente, soprattutto se si considera che il PM, pur affermando di non avere carte in mano per sostenere le accuse, aveva chiesto ben 5 anni.

Quindi la sentenza straccia le richieste del PM e Cavallera, in carcere da 11 mesi, deve essere liberato e viene accolto trionfalmente all’uscita dal carcere di Buoncammino e all’arrivo a Carloforte. In appello verrà assolto. Rientrato a Carloforte, Cavallera riprende la sua attività, con la stessa determinazione di prima, una testardaggine – si potrebbe dire – degna di un sardo. Fonda l’Associazione generale dei lavoratori, che rappresenta tutti i lavoratori e unisce le tre Leghe (battellieri, giornalieri e pescatori) in una specie di camera del lavoro.

Alla fine del 1902 Cavallera si occupa direttamente anche della situazione di Buggerru e dell’iglesiente. In questo periodo lascia Carloforte e si trasferisce a Iglesias per curare direttamente l’attività nel bacino minerario, che a inizio del secolo comprende fra i 12000 e i 15000 operai, occupati in una decina di miniere. Raggiunge le varie zone in bicicletta, si può immaginare con quali difficoltà date le strade e le biciclette di allora. Perciò chiede al partito socialista di bandire concorsi nazionali – allora si faceva così – per segretari di sezione della zona. A Buggerru il concorso viene vinto da Alcibiade Battelli, romagnolo, che diventa il collaboratore di Cavallera a Buggerru.

A Buggerru, Carloforte, Iglesias e in altri centri della zona vengono fondate le cooperative di consumo, per contrastare le cantine organizzate dalla proprietà delle miniere che, anche attraverso la vendita dei beni di consumo, sfruttavano i lavoratori. Nel 1903, il 13 luglio, si celebra a Iglesias il secondo Congresso Regionale socialista. Sempre in quel mese nasce la Federazione regionale dei minatori con sede a Iglesias, di cui Cavallera diventa segretario. Nasce anche la Federazione Provinciale Socialista di Cagliari. Ad agosto si tiene a Massa Marittima il congresso della Federazione Nazionale dei Minatori. Cavallera vi partecipa rappresentando 5 delle neonate Leghe sarde.

Nel 1904, alle elezioni politiche, Cavallera è nuovamente candidato a Dronero contro Giolitti, di nuovo una candidatura di bandiera; infatti Cavallera prende 101 voti contro i 2428 dell’avversario. Non sono certo queste sconfitte – del resto scontate – a far venir meno la sua attività politica. Frattanto a Buggerru arriva il nuovo direttore della società mineraria, l’ingegner Anchille Georgiades, che tutti chiamano il turco e che in realtà è un greco di Costantinopoli.

Il nuovo direttore è ricco e gli piace ostentare la sua ricchezza, negli abiti, nei consumi e nella sua automobile. E’ la prima automobile arrivata in Sardegna e per qualche tempo resterà anche l’unica. Si tratta di una Decauville 10 HP, la stessa marca francese dei vagoncini usati per il trasporto del minerale. L’automobile è nera e con i sedili in pelle; non ha la retromarcia, perciò, per girarla, viene costruita un’apposita piattaforma ruotante in legno, che diventa un altro modo per ostentare l’automobile.

I lavoratori non sono disturbati dall’ostentazione della ricchezza, alla quale sono abituati. Il problema è che Georgiades è convinto che per scavare il minerale dalle viscere della terra sia necessario semplicemente comandare. Non si rende conto che minatori e battellieri sono pronti alle più dure fatiche, ma non si lasciano semplicemente comandare, nemmeno dai capi squadra e dai capi barca. Vogliono invece capire quello che devono fare, difendere i loro diritti e conquistarne di nuovi.

Fatto sta che Georgiades nel 1904 decide che l’orario invernale, che fino ad allora entrava in vigore il primo ottobre, va anticipato al primo settembre. La differenza riguarda l’intervallo per il pranzo che d’estate è più lungo di un’ora, per la buona ragione che il caldo rende particolarmente faticoso il lavoro. Minatori e battellieri reagiscono immediatamente proclamando lo sciopero, anche perché Gerorgiades ha preso l’iniziativa unilateralmente, senza sentire il bisogno nemmeno di informare i rappresentanti dei lavoratori; in pratica significa il disconoscimento della rappresentanza di minatori e battellieri.

Il 4 settembre del 1904 Cavallera si trova a Buggerru nella palazzina della direzione a trattare con Georgiades, Battelli è rimasto nel piazzale fra i minatori e i battellieri in agitazione. Mentre sta trattando con Cavallera, e quando la trattativa sembra prossima alla conclusione, Georgiades proditoriamente chiede l’intervento di due compagnie di soldati. Questi ultimi sono certamente i meno adatti a fronteggiare lavoratori in lotta e sicuramente esasperati dall’atteggiamento della direzione. Fatto sta che all’arrivo dei soldati la situazione si fa ancora più tesa; soldati e crumiri da una parte e scioperanti dall’altra si fronteggiano nervosamente. A un certo momento i soldati raccolgono legname e si mettono a riparare i capannoni dove i lavoratori normalmente entrano nella miniera e che nessuno ha mai fatto riparare per loro.

In questa situazione dal gruppo degli scioperanti vola qualche sasso verso i soldati, i quali immediatamente perdono la testa e rispondono con una carica di fucileria. Dopo il fuggi fuggi generale, restano sul campo 15 lavoratori, 11 erano feriti non gravemente, 2 erano morti, un terzo morì in ospedale, un quarto morì dopo un mese per le ferite riportate. E’ l’eccidio di Buggerru, che provoca la reazione indignata della sinistra italiana, viene proclamato il primo sciopero generale nazionale. Sebastiano Satta, poeta barbaricino di fede socialista, dedica una ode Ai morti di Buggerru, piena di passione e di speranza, perché conclude “l’aurora è vicina”. Una poesia viene da lui scritta anche in occasione della morte della madre di Cavallera.

Anche la tragedia del 1904 non scalfisce la determinazione di Cavallera. Al contrario, è per lui stimolo a continuare nella sua opera fra i lavoratori. Il periodo fra il 1903 e il 1904 – scriverà nel 1945 – è stato “il più laborioso della mia travagliatissima esistenza”.  Nel dicembre del 1904 Cavallera da Iglesias si trasferisce nuovamente a Carloforte con la famiglia e si occupa di nuovo della gestione della Lega dei pescatori e dell’Associazione generale dei lavoratori.

Nel giugno del 1906, alle elezioni comunali, vincono i socialisti e a luglio Cavallera viene eletto Sindaco, primo sindaco socialista di Carloforte. Il suo programma e i suoi atti da Sindaco sono poco noti a causa di un incendio che nel 1955 ha distrutto gran parte dell’archivio comunale. Si sa che la sua amministrazione ha provveduto al risanamento di un terreno paludoso presso lo stagno, dove poi sorse l’attuale piazza Pegli; al miglioramento della sistemazione delle fognature e al restauro della chiesa parrocchiale.

Nel giugno del 1908 Cavallera si dimette da Sindaco, per ragioni che sono rimaste ignote. E’ possibile che siano sorti problemi fra i socialisti del paese, ma si può anche pensare che abbia prevalso quella che in fondo è la sua idea della politica, che il miglior modo di operare sia quello di stare in mezzo ai lavoratori e di aiutarli e sostenerli nelle loro attività. Infatti, resta in consiglio comunale ma si dedica essenzialmente alla gestione della cooperativa pescatori, perché quello è per lui il modo di fare politica. Intanto sorgono problemi fra lui e Battelli, che lascia la Sardegna per rientrare in Romagna.

Verso il 1908 Cavallera porta a termine un’operazione che da molti viene intesa come una sua attività imprenditoriale collaterale. Si tratta dell’acquisto di una aragostiera con fondi faticosamente raccolti da lui e dalla Cooperativa dei pescatori. Cavallera si reca personalmente a Ponza a trattare l’acquisto della goletta, che si chiamerà Annetta C., dal nome della moglie Anna.

In una trattoria, Cavallera si incontra con il venditore e gli presenta 25000 lire in contanti e una cambiale da 5000 lire. Ma il venditore non accetta la cambiale e l’offerta sta per sfumare, quando un vicino di tavolo, seguita la scena, offre la sua garanzia per la cambiale, che viene accettata dal venditore che conosce il garante come affidabile. Concluso l’acquisto, il garante si presenta a Cavallera spiegando di essere un armatore di naviglio da pesca, di aver sentito parlare dell’opera svolta da Cavallera a Carloforte e di voler seguire anche lui gli stessi metodi.

L’affare dell’aragostiera non è affatto un’attività imprenditoriale collaterale, perché Cavallera è convinto che l’attività politica non consista solo nell’organizzazione politica e sindacale, nella rivendicazione, nelle lotte e nell’amministrazione locale, tutte cose a cui, nel corso della sua vita, si dedica con passione. Ma è convinto che la politica si debba svolgere prima di tutto con iniziative che direttamente incidono sull’attività economica e sull’opera quotidiana dei lavoratoti. A questo serve l’aragostiera: a consentire ai pescatori di far arrivare le aragoste sui mercati di consumo e a liberarsi della mediazione dei grossisti.

Nel settembre del 1908 si tiene a Sassari il terzo congresso socialista sardo. Cavallera lo presiede, è allineato con l’ala cosiddetta intransigente nazionale, che è la maggioranza nel partito, ma senza una vera e propria adesione a qualcuno degli schieramenti interni. Lui è costituzionalmente un riformista, ma ha un atteggiamento sempre pragmatico e piuttosto distaccato dalle lotte fra le correnti. In quel periodo, mentre il partito nazionale incontra notevoli problemi, quello sardo è in una fase di espansione e di crescita.

Nel 1909 Cavallera è candidato alle elezioni politiche a Dronero e a Iglesias. In Piemonte prende 26 voti contro i 2405 di Giolitti. A Iglesias prende 522 voti, mentre gli avversari Castoldi e Sanna Randaccio ne prendono rispettivamente 1138 e 949. In quelle elezioni Cavallera e Antioco Mura ad Alghero sono gli unici candidati socialisti in Sardegna. Cavallera, che si aspettava molto di più, esce da quella prova elettorale piuttosto deluso e freddo nei confronti del partito sardo.

Nel 1910, con una decisione apparentemente improvvisa, parte con l’Annetta C. e con tutta la famiglia si trasferisce a Genova, con grande sorpresa dei suoi compagni di partito. E’ possibile che siano sorti contrasti e difficoltà con i socialisti di Carloforte, tanto da indurlo ad abbandonare il paese dove non tornerà più a risiedere, ma i suoi rapporti con le Leghe dell’isola restano inalterati. A Genova collabora con il giornale socialista Il Lavoro, con sezioni di partito e con cooperative. Frattanto nel 1912 Battelli torna a Buggerru a riprendervi l’attività politica e mantiene intensi rapporti con Cavallera.

Nel marzo del 1912 viene indetto il I congresso operaio sardo, che coinvolge tutto il mondo del lavoro: leghe, cooperative e società di mutuo soccorso. Ma il congresso si rivelerà un fallimento e metterà in luce divisioni e fragilità delle diverse componenti del socialismo sardo. Nel 1913 a marzo affonda misteriosamente l’Annetta C., partita da Marsiglia e sorpresa da una tempesta improvvisa, cola a picco con tutto l’equipaggio. Cavallera avrebbe dovuto essere a bordo, ma era arrivato in ritardo, quando la nave era già partita. L’affondamento della nave provoca problemi economici seri alla famiglia, che dall’attività della goletta traeva il suo sostentamento. Problemi che vengono sopportati e superati grazie alla determinazione della moglie Anna.

Nello stesso anno, in vista delle elezioni politiche, gli viene proposto di candidarsi in Sardegna, non in modo unanime ma con le divisioni solite che attraversano il partito nell’isola. Così i socialisti di Buggerru sono per la candidatura di Battelli, mentre quelli di Carloforte e di Iglesias sono per Cavallera.

Questa volta non è più una candidatura di bandiera, perché il suffragio elettorale nel frattempo è stato allargato, ora possono votare tutti i maschi maggiori di 30 anni e i maggiori di 21 anni che abbiano prestato il servizio militare o che abbiano frequentato il corso di studi obbligatorio. In Sardegna gli elettori passano da 42000 del 1909 a 178000 del 1913. Nel collegio di Iglesias gli elettori passano da 3486 del 1909 a 19616 nel 1913.

Cavallera resta a lungo incerto se accettare la candidatura, il suo continua ad essere un ruolo di collante fra le diverse anime del partito e vuole evitare di approfondire le incrinature e le rotture. Poi Battelli rinuncia a candidarsi, il rapporto fra i due, che si era abbastanza logorato, si ricompone e Battelli stesso si impegna nella campagna elettorale per Cavallera, che viene candidato anche a Novi Ligure.

Mentre in Piemonte viene sconfitto da un esponente giolittiano, nel collegio di Iglesias al ballottaggio Cavallera prevale sul candidato avversario Sanna Randaccio con 7424 voti contro 4951. Il figlio di Sanna Randaccio, in Senato partecipando nel 1952 al cordoglio per la morte di Cavallera ricorderà le parole di suo padre: “Cavallera, che aveva vinto, era un uomo veramente degno di rispetto.

Dopo essere stato il primo sindacalista, nel 1913 Cavallera diventa così il primo deputato socialista della Sardegna. Una circostanza che rappresenta il riconoscimento dell’opera instancabile da lui svolta per i lavoratori sardi. Il seme gettato da Cavallera e dagli altri socialisti nell’iglesiente non va perduto e gli effetti non si limitano al successo alle elezioni politiche del 1913. Nel 1914 le liste socialiste vincono a Iglesias (Angelo Corsi diventa sindaco), Domusnovas, Fluminimaggiore, Portoscuso, Calasetta, Carloforte. Nel 1920 anche ad Arbus, Guspini, Villamassargia

In Parlamento l’approccio alla politica di Cavallera deve essere necessariamente modificato. Non si tratta più di stare in mezzo ai lavoratori e di lavorare con loro, ma di svolgere un compito di rappresentanza, che egli naturalmente svolge, ma sempre legando strettamente la sua azione in Parlamento all’opera svolta in mezzo ai lavoratori. Il suo primo discorso in aula riguarda le condizioni di arretratezza e di abbandono della Sardegna, non si registrano importanti interventi o proposte di portata generale ma frequenti interventi su questioni relative alla Sardegna. Con l’isola mantiene un rapporto costante. Sono frequenti i suoi viaggi in Sardegna.

Tutto ciò che riguarda la Sardegna è trascurato, e quelle popolazioni sono lasciate a se stesse, e vanno avanti come possono” afferma in un discorso del 20/12/1913. Nella stessa occasione denuncia con puntualità le condizioni dell’isola: i morti di malaria, che in Italia sono meno di 10 su 1000 abitanti, in Sardegna sono 73,2. Del resto, la malaria sarà sconfitta in Sardegna solo nel 1950. L’analfabetismo, che in Italia riguarda il 30% della popolazione, in Sardegna raggiunge il 55%. Parla poi della condizione delle strade, della scarsità di irrigazioni e della piaga dell’usura, che riguarda privati e banche, con tassi d’interesse del 10/12%, dichiara di conoscere anche casi di usura con tassi del 7/8% al mese.

I salari dei minatori in Italia vanno a 3/6 lire al giorno, in Sardegna a 2,65 e sono diminuiti dal 1880 al 1907. Queste condizioni ricadono pesantemente sulle condizioni delle persone: “ho visto molte volte questo fenomeno: che il minatore arriva nella miniera calzato e vestito discretamente, e dopo 6 mesi od un anno di lavoro se ne va lacero, spoglio, malato, senza un soldo in tasca, e lasciando anche dei debiti” (19.12.1913 p. 607). Tutto ciò secondo Cavallera spiega perché in Sardegna si verifichino due fenomeni apparentemente contradditori, cioè contemporaneamente scarsità di popolazione ed emigrazione.

Il suo socialismo è stato definito talvolta sentimentale e deamicisiano. Mi sembra che la definizione non colga nel segno. La sua caratteristica sta piuttosto nel concepire la politica come stare ben all’interno dei problemi dei lavoratori e nell’operare con loro per risolverli e per migliorare le condizioni di vita e di lavoro.  Allo scoppio della guerra, non sfrutta il privilegio di parlamentare per non parteciparvi, ma parte volontario e lavora come capitano medico nell’ospedale di Verona. Nel 1919 è candidato nuovamente a Cuneo. Il suffragio elettorale è ora esteso a tutti i maggiori di 21 anni, di fatto al 94% della popolazione maschile. Cavallera viene eletto con 10355 preferenze e supera il candidato giolittiano Marcello Soleri.

Nonostante che sia stato eletto in Piemonte, rimane sempre saldo il suo legame politico e umano con la Sardegna, frequenti sono in Parlamento i suoi interventi sulla Sardegna e i suoi viaggi nell’isola. In quell’anno viene incaricato dalla Federazione Sarda Minatori di rappresentarli nelle trattative col il Ministro Ferraris. L’accordo viene concluso a fine 1919, ma suscita alcune critiche.

Nel 1921 Cavallera partecipa al congresso di Livorno del partito socialista, non si conoscono le posizioni da lui assunte, a conferma del consueto distacco dalle lotte interne al partito. Comunque rimane nel partito socialista.   All’avvento del fascismo subisce azioni intimidatorie e minacce dagli squadristi. Durante il regime viene sorvegliato costantemente e non svolge attività politica.

Durante il fascismo come medico vince la condotta di Anticoli Corrado, nell’alto Lazio, che esercita fra il 1937 e il 1938. Dopo la guerra, il governo Bonomi nell’ottobre del 1944 lo nomina commissario straordinario dell’ONMI, ente fondato dal fascismo, con il compito di riorganizzarlo, attività cui si dedica e che porta avanti con impegno, fino al novembre del 1947.

Nel 1946 é candidato all’Assemblea Costituente per il Partito Socialista di Unità Proletaria, – così si chiamava il partito socialista -ma non viene eletto.   I socialisti e i comunisti dell’iglesiente non hanno certo dimenticato l’opera da lui svolta in quel territorio fra l’Ottocento e il Novecento, la sua guida nelle lotte per l’emancipazione dei lavoratori e per il radicamento del movimento socialista in Sardegna. Alle elezioni del 1948 lo candidano per il Fronte Popolare nel collegio di Iglesias e viene eletto senatore.

Come nelle altre legislature, anche nell’ultima il Parlamento non è il suo mondo. Il socialismo e la politica, che per lui sono la stessa cosa, si fanno in mezzo ai lavoratori, migliorando anche poco ma giorno per giorno, mese per mese, lotta per lotta, le loro condizioni di vita e di lavoro. “Ridurre Carlo Marx – ha scritto – in pane, pasta, formaggio e salacche … Date il pane più a buon prezzo, fate risparmiare qualche lira del suo salario sull’acquisto dei beni di prima necessità, abituate l’operaio a considerare la Cooperativa come una proprietà … e voi avrete preparato l’operaio ad interessarsi veramente ai bisogni della sua classe.”

Solo la malattia lo costringe, negli ultimi anni, a stare lontano dall’ambiente che era il suo, quello del mondo del lavoro. Al congresso del popolo sardo, che si svolge a Cagliari nel 1950, promosso da Laconi e Lussu, invia un messaggio di saluto rammaricandosi che le sue condizioni di salute non gli consentano di essere presente.   Cavallera, da tempo malato, muore a Roma il 22 giugno del 1952 a 79 anni. Secondo il suo desiderio, viene sepolto nel cimitero di Carloforte.

A Carloforte a lui è dedicato il cine teatro costruito fra il 1920 e il 1922 come casa del proletariato, con la partecipazione volontaria di gran parte della popolazione e la sottoscrizione di quote della cooperativa. Denominata anch’essa Casa del Proletariato, la cooperativa all’atto della fondazione nel 1922 è presieduta da Cavallera, ed è formata da 60 uomini e 2 donne. In quel luogo vi erano  le sedi delle Leghe e dell’Associazione dei lavoratori.

Al Senato, Cavallera viene commemorato da Emilio Lussu, suo compagno di partito, che ne mette in rilievo la particolare attività politica. “Più che capo politico – afferma – Cavallera è stato un apostolo” e ancora “è stato un missionario che ha dedicato tutta la vita al riscatto umano”. La giustapposizione fra “capo politico” e “missionario” forse non centra del tutto l’attività politica di Cavallera, per il quale la politica è essa stessa missione e il capo politico è missionario per sua natura, lo è in quanto la sua opera si svolge come attività di lotta e di riscatto dei lavoratori e in mezzo ai lavoratori.

Nella commemorazione alla Camera, per il PCI Renzo Laconi chiede di intervenire “come sardo, – dice – come uno che riconosce il debito che la sua regione ha verso Cavallera”. Mette in rilievo il rapporto particolare che si è creato fra Cavallera, i battellieri di Carloforte e i minatori dell’iglesiente: “credo che nessuno lo ricordi e lo pianga come lo ricordano e lo piangono in questo momento i battellieri di Carloforte, che hanno combattuto con lui cinquant’anni or sono, e i minatori dell’iglesiente,  che lo hanno avuto come guida per un così lungo periodo … che in lui hanno sempre visto l’uomo profondamente legato agli interessi e ai diritti delle masse socialiste, l’uomo che sapeva battersi per un’idea, l’uomo che non aveva mai smentito l’attaccamento a quell’idea che fin da giovane lo aveva condotto sulla via della lotta.”

Mi pare questo il miglior epitaffio per un uomo che ha fatto della lotta per migliorare le condizioni dei lavoratori, l’impegno della sua vita e la ragione stessa della sua esistenza.

 

 

 

One Comment

  1. STEFANO SALIS Buggerru

    Devo riconoscere che l’articolo è molto interessante e l’ho letto tutto d’un fiato con vero piacere. Però voglio fare una precisazione riguardo ai morti dell’eccidio di Buggerru. Essi furono tre e non quattro come si afferma nell’articolo. Montixi, Littera e Pittau questi erano i loro nomi; il Pilloni seppur ferito gravemente alla regione occipitale da una pallottola ed a una coscia da un colpo di baionetta non morì un mese dopo; tant’è che la corte d’Appello di Cagliari lo condannò a 4 mesi e 10 giorni di reclusione il giorno 30 giugno 1905. Mi risulta anche che il Pilloni si sposò per la seconda volta nel 1907 a Fluminimaggiore.

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