Quanti giorni sono passati? [di Maria Francesca Chiappe]

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La Collina, 8 Ottobre 2016. Sono passati 49 giorni. Più quelli di forzato black out, a causa della malattia. Decine di giorni senza i suoi consigli, la sua chiave di lettura, i suoi commenti, i suoi rimproveri, le sue lodi, le sue notizie. E tanti altri ne passeranno con questo senso di vuoto.

Giorgio Pisano sapeva essere vicino al suo giornale anche da lontano: era sempre presente, sapeva tutto, leggeva tutto, commentava tutto. Non so se sia giusto dirlo ma, giusto per spiegare chi era: non stava bene, la voce un filo,  alla faccia di chi aveva creduto di poterglielo nascondere aveva saputo subito della morte di Mariano Delogu, ricoverato nello stesso ospedale. Il suo pensiero? “Chi deve scrivere di Delogu sul giornale”? Si preoccupava che ci fossero pezzi adeguati per un uomo che ha avuto un ruolo nella storia di Cagliari.

Mariano Delogu è morto il 27 luglio,  Giorgio il 20 agosto, neppure un mese dopo. E fino alla fine aveva in testa il giornale, il suo giornale, L’Unione Sarda. Per il quale nutriva una passione viscerale: si arrabbiava se vedeva un errore di battuta; si complimentava se leggeva un bell’articolo; telefonava se trovava una notizia; correva, letteralmente correva se gli si chiedeva di fare un pezzo. Un pezzo di cronaca, non un fondo o un’intervista a tutta pagina. L’aveva fatto di recente: era in corso un processo con un imputato molto conosciuto, oltre la cronaca dell’udienza c’era la necessità di fare un ritratto di quella persona.

Chi lo fa? Chi lo sa fare? Certo che se ci fosse Giorgio…” Ma Giorgio era in pensione. “Mah, io lo chiamo”. “E’ mezzogiorno e mezza, lascia perdere, dai”. “No: ci provo”.  All’una meno dieci Giorgio Pisano (che stava pregustando il pranzo) era al Palazzo di giustizia, nell’aula della prima sezione del tribunale. Alle cinque in punto aveva già spedito il pezzo.

Direte: i cronisti sono così. Non tutti. Non tutti corrono sul posto per vedere e toccare con mano, non tutti hanno la passione per il lavoro, non tutti hanno il suo talento, è vero, che però Giorgio coltivava divorando i giornali. Alle 9 del mattino aveva già letto tutto. Anche qui, direte: normale. Sì,  insomma. Eppure, si sa: a scrivere si impara leggendo.

Giorgio Pisano diceva: sono un cronista. Lo diceva in pubblico e in privato, lo aveva ribadito pure la sera in cui aveva ritirato il Premio Alziator per La verità imperfetta (aveva saputo a trasformare i verbali giudiziari in un bellissimo romanzo). Cronista. Lui, che è stato un grande inviato, che ha diretto l’Agenzia Unione, che è stato vice direttore de L’Unione Sarda, che ha fatto grandi scoop. Cronista. E non capiva i giornalisti che non vogliono essere cronisti per passare alla politica, alla cultura, ai commenti e a chissà altro, come se la cronaca fosse poca cosa. Quando invece la cronaca è l’ossatura del giornale: il cronista impara a trovare le notizie, a riconoscerle; il cronista ha un rapporto diretto con le persone e con i fatti.

E poi può pure essere di parte, come sapeva essere di parte Giorgio. Perché neanche la cronaca può essere mai oggettiva, risente sempre del filtro culturale di chi scrive, purchè, è questo il patto col lettore, il cronista sia sempre leale, onesto e corretto. Sempre.

Potevano piacere o non piacere i reportage di Giorgio, le sue interviste, le sue grandi o piccole storie, i suoi “noncisto” (una rubrica che inizialmente non voleva fare e poi invece se l’è sentita cucita addosso, perfetta per lui) ma erano sempre pezzi corretti che sapevano nel contempo offrire ai lettori una chiave di lettura. Da condividere o no. Questa era la sua forza: mai ecumenico, sempre divisivo. Sapeva accendere il dibattito attorno a quel che scriveva e, stando alla recente risposta che aveva dato sul giornale a un lettore che si lamentava per un suo pezzo, non è mai stato condannato per diffamazione.

E questo dato ha un preciso significato. Giorgio non era un falso modesto, era consapevole delle sue doti, sapeva benissimo di valere, eppure non ha mai scritto un pezzo in prima persona, come tanti oggi invece…. “Io-io” non era nelle sue corde.

Tutto il resto sì: poteva scrivere di qualsiasi cosa ed era disposto a tutto pur di pubblicare una notizia. Qualche mese fa aveva deciso che doveva assolutamente intervistare un donna ultraottantenne rinchiusa in carcere, la più vecchia detenuta d’Italia. Riteneva  fosse ingiusto (ecco, un esempio di  cronaca corretta e di parte) che una donna di quell’età, seppur giustamente condannata per reati gravissimi come il traffico di droga, restasse in cella. Era una sua battaglia. Quando ha saputo che era stata ricoverata aveva tentato di avvicinarla per le vie ufficiali:  il dap, la direzione del carcere. Ma niente. Allora aveva deciso: “mi compro un camice, mi fingo medico e vado in ospedale”.

Inutile tentare di fargli cambiare idea. Prima però aveva chiamato il capo servizio per sapere innanzitutto se avesse già deciso di mandare un redattore e poi perché avvisasse il direttore: aveva rispetto dei colleghi e delle gerarchie. Avrebbe potuto parlare direttamente col direttore invece aveva chiamato il capo settore. Non tutti lo fanno.

Insomma: l’aveva intervistata, in camice verde. E con lui c’era un giovane della Stampa col quale aveva diviso lo scoop. Quanti lo avrebbero fatto? L’ultimo selfie, anzi, l’unico selfie della sua vita, è quello in ospedale con Nicola Pinna, mascherina e camice, entrambi irriconoscibili. Missione compiuta. Era contentissimo e sperava che il suo pezzo contribuisse a tirarla fuori dal carcere.

C’è un seguito: nei giorni successivi, quando per strada lo ha fermato un signore (padre di due ragazzi uccisi dalla droga spacciata da quella donna), per raccontargli la sua rabbia davanti a quella intervista, Giorgio gli aveva spiegato le ragioni della cronaca ma poi, in separata sede, aveva confidato di capire quel genitore e di essersi sentito…un po’ così…

Umanità. E generosità: nei confronti dei colleghi, e degli altri. La Collina era la sua seconda casa, dopo L’Unione Sarda. Ci teneva tanto al punto da sognare che i due giornali andassero insieme in edicola. Era il suo pallino. E, chi lo conosceva lo sa, quando Giorgio aveva un’idea la doveva portare a compimento. Questa non gli è riuscita per cause indipendenti dalla sua volontà e allora vediamo se possiamo dar gambe noi alle sue idee.

Giorgio credeva in questo progetto, gli piaceva questo ambiente, aveva stima grande di don Ettore per il suo lavoro di recupero dei condannati e l’ospitalità offerta ai migranti. Le riunioni del trimestrale erano convocate qui, nella sala-biblioteca-redazione che questa sera sarà intitolata a lui: non era il direttore solo perché aveva deciso di no ma guidava lui, anche se sapeva accettare le critiche di chi lo affiancava.

Una volta, anzi due,  aveva pensato a una copertina eccentrica, che non era passata, come si dice in gergo, ma  aveva accettato le critiche, pur non condividendole. Insomma: era rimasto  della sua idea.  Altre volte andava invece fiero delle sue trovate, a iniziare dal Papa Che Guevara o Pigliaru vestito da arabo. Era molto divertito, Giorgio; don Ettore e la direttrice un po’ meno.

La Collina era il giornale,certo, ma anche gli incontri con persone come Gherardo Colombo o Vito Mancuso o la figlia di Aldo Moro. E i condannati che vivono qui o sostano per qualche giorno:  Giorgio si informava, c’è questo e c’è quello, voleva conoscere le storie. Era in servizio permanente effettivo.

Era anche uno psicanalista. Sì: era fissato con la psichiatria, non a caso il suo ultimo libro, “Uscita di sicurezza”, è un racconto di storie psichiatriche, vere. Sapeva tutto, conosceva tutti gli psichiatri di Cagliari, dei quali era collega ad honorem. Era sempre pronto a cogliere uno sguardo triste, una lacrima sul viso, a cercare la causa e indicare la via d’uscita. Scrivere è terapeutico, diceva.  Sì.

Essere colleghi per tanto tempo, sapersi diversi per formazione, approccio e idee, eppure scoprirsi amici negli ultimi tre anni. Pochi ma tanti. Amicizia vera, fatta di telefonate quotidiane, consigli spassionati, suggerimenti preziosi, incoraggiamenti indispensabili, mani tese.

E ora? E ora ci manca il confronto con Giorgio Pisano. In un periodo di cambiamenti importanti nel mondo dell’informazione che ci riguardano tutti. Inquietante l’articolo del Corriere della Sera sulla cosiddetta epoca della post verità, questa, in cui ognuno cerca e trova e legge solo il piccolo segmento di realtà che conferma le sue idee. E si convince che tutta la verità sia lì,quando invece gli sfugge pressoché interamente.

Epoca difficile, per i giornali, strangolati dalla troppa informazione che in quel modo si traduce in disinformazione, giornali accusati di falsità e faziosità mentre la verità sarebbe solo su facebook, dove corrono liberi insulto, minaccia e volgarità: a questo proposito sull’ultimo numero della Collina c’è un interessante articolo di Gherardo Colombo. Ecco, anche in questo momento confuso il giornalismo di Giorgio Pisano deve essere un faro. E’ il solo modo per salvarsi. Per salvarci.

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