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Il Corriere della Sera 25 ottobre 2016. La strategia sembra proprio quella che si intuiva: fare finta di nulla. Ignorare le critiche della Commissione europea sulla legge di Bilancio; e andare avanti con misure che per Bruxelles certificano che l’Italia non manterrà i patti sulla spesa pubblica.
La dialettica tra Matteo Renzi e Bruxelles sta assumendo i toni dello scontro. E sarebbe singolare non avvertire in quanto avviene un’eco delle preoccupazioni del premier sul referendum del 4 dicembre. Al netto dell’irritazione per l’incapacità dell’Ue di imporre agli altri Stati una quota di migranti, l’operazione rivela rischi vistosi.
In due mesi l’Europa è diventata, da interlocutrice privilegiata, avversaria dell’Italia. E quest’ultima sta prendendo una direzione dalla quale come minimo emergerà delegittimata nonostante il tentativo di riforme; al peggio, risucchiata in una spirale che la pone tra i Paesi non sotto osservazione ma in bilico. Ad acuire la preoccupazione è il sospetto che l’attacco renziano nasca con l’obiettivo di calamitare qualche voto euroscettico dal centrodestra. Di nuovo, la tentazione è di usare a fini interni le tensioni con l’Ue, contestando un probabile procedimento di infrazione.
«Se ci arriverà la letterina», ha dichiarato ieri il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, «faremo come hanno fatto altri Paesi: ovvero non faremo niente». Ma ignorare un avviso di sanzioni non basterà a evitarle. Anzi, iscriverà l’Italia nella lista delle nazioni inadempienti, candidandola al ruolo di capro espiatorio. C’è da chiedersi se, nonostante le riserve sulle politiche di Bruxelles, valga la pena scheggiare i ponti con istituzioni con le quali occorrerà fare i conti, prima e dopo il 4 dicembre. L’impressione, invece, è che nel governo italiano stia prevalendo una linea di rottura.
È come se, qualunque sia l’esito del referendum, si volesse scegliere l’Ue come bersaglio facile nella lotta tra il Sì e il No; e dopo, magari, in una campagna elettorale. Con queste premesse, però, non si troverà più in Italia un partito che possa definirsi filoeuropeo e non euroscettico. Finora Renzi, il suo governo e il Pd, insieme all’alleato del Nuovo centrodestra, erano stati visti come un baluardo contro il Movimento 5 Stelle, la Lega e quanti attaccano Bruxelles per ideologia o per ottenere facili consensi. E lo erano.
Il timore che anche Palazzo Chigi si stia inserendo nel filone populista minaccia di colpirne la credibilità quasi quanto le uscite di Beppe Grillo e di Matteo Salvini; ma col pericolo ulteriore che l’elettorato preferisca il populismo «originale» e senza responsabilità, rispetto alla «copia» governativa. Poi bisognerebbe spiegare come si è passati dall’ambizione di essere un Paese leader dell’Europa, a contestatore delle sue regole. Sarebbe paradossale se l’Ue pensasse che perfino una vittoria del Sì sarà destabilizzante.
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