Anno 2016: il Senato del Regno d’Italia ha detto no [di Nicolò Migheli]
La notizia non è solo vergognosa è insultante. Il senato della Repubblica azzera il decreto – primo firmatario Giampiero Scanu del PD – sulla riabilitazione dei fucilati della I Guerra Mondiale 1915-18, votato all’unanimità dalla Camera dei Deputati il 24 maggio 2015 in occasione del centenario della dichiarazione di guerra all’Impero austro-ungarico. Un voto contrario trasversale che ha visto insieme Nicola La Torre del PD e Maurizio Gasparri. I motivi di tanto accanimento sono ignoti, però Gasparri dichiara che quel decreto è : “una riscrittura di orwelliana memoria” Come scrive Paolo Rumiz su La Repubblica di domenica 6 novembre. ”Vietato giudicare il sistema Cadorna. Vietato soprattutto che le scuole siano coinvolte nel riesame, e ciò si afferma per «insufficienza di basi culturali di un adolescente». Scuse a valanga, pur di non rileggere la storia”. L’Italia a differenza degli altri paesi coinvolti in quel conflitto terribile, non riconosce dignità ai fucilati, non permette di riaprire i processi, al fine di consentire la riabilitazione di quelle vittime. Si sa che il numero dei fucilati italiani fu, in proporzione ai richiamati, il più alto di quella guerra. Soldati che fuggirono davanti al nemico perché colpiti da stress da combattimento, che si rifiutarono di eseguire ordini assurdi, che semplicemente quegli ordini non li capirono perché espressi in italiano, lingua capita e parlata da una minoranza. Tutti accumunati con l’epiteto insultante di traditori della patria, indegni di comparire nell’Albo d’Oro e nei monumenti ai caduti. Ho l’età per aver conosciuto e parlato al lungo con i reduci di quella carneficina, uno di loro mi raccontò che dopo settimane di assalti la Brigata Sassari riuscì a conquistare le posizioni nemiche. Ebbe in premio una settimana di riposo in fondo valle. Dopo un paio di giorni Il reparto che la sostituì venne ricacciato indietro dagli austro-ungheresi. Il commando decise che bisognava riportare la Brigata in prima linea. Tra i soldati sardi scoppiò la rivolta, erano stanchi, avevano già avuto troppe vittime, l’idea di tornare subito al fronte li terrorizzava. In un attimo li raggiunsero i carabinieri e cominciarono ad allineare i soldati per la decimazione, Pedru e Paule ‘Irde di Sindia, nonno del calciatore Pietro Paolo Virdis, urlò: “Sardos ite semus faghìnde? Innòghe nos bòcchint a totus!” All’improvviso l’aria tesa di quel campo venne interrotta dagli scatti degli otturatori dei fucili dei sardi che caricavano i proiettili. I comandi vista la mala parata desistettero. La Brigata ebbe i giorni di riposo. Le ricerche storiche più accurate raccontano che specialmente dopo il primo anno di guerra, vista l’impossibilità di uno sfondamento rapido del fronte, il generale Cadorna diede ordini draconiani. I processi sommari, le fucilazioni, le esecuzioni di soldati da parte di ufficiali durante gli assalti, divennero numerose. Un atteggiamento che superava le necessità operative ma si nutriva di odio di classe contro quella carne da cannone composta prevalentemente da contadini e operai. Oggi il Senato della Repubblica impedisce di riconoscere quei sacrifici. Aldilà dei motivi specifici, è una costante italiana nella rivisitazione della propria storia. Ogni 4 di novembre, in ogni paese davanti agli scolari e le autorità, si ripete il rito retorico della commemorazione dei caduti per la patria, non una parola sui quei poveri fucilati. Si vive nel mito di Italiani brava gente, nessuno che racconti a quei ragazzi, ma anche agli adulti, della colonizzazione in Africa, le stragi in Libia ed Etiopia commesse dalle truppe italiane, i campi di sterminio in Slovena durante la II GM, e i crimini di guerra in Grecia e Yugoslavia. Tutto viene taciuto, nascosto, quasi che la storia di quelle turpitudini intacchi l’evanescente identità italiana. Il no del Senato, quale che siano le ragioni, manda un segnale sinistro per il futuro. I tempi sono difficili, i soldati italiani sono già impegnati in guerra- smettiamola con l’ipocrisia delle missioni di pace – non è escluso che i conflitti in atto si allarghino. Non è questo il momento di ridiscutere fatti di cento anni fa, ancora carne viva per i discendenti di quelle vittime; potrebbe essere destabilizzante, non solo della narrazione eroica, ma in una prospettiva di guerra generalizzata. Per ogni sincero democratico essere cittadino italiano pacificato di questi tempi è diventato difficile, per un sardo appena consapevole della sua storia e della geografia, impossibile. |
E nde la devimus fintzas finire de li nàrrere “Grande Guerra” ca custu agetivu “grande” postu a in antis de gherra cheret espressare una cualidade elevada, nòbile de un’eventu chi est istadu unu degòlliu, un’istragu, unu masellu.
Condivido totalmente, caro Nicolò Migheli, e mi permetto di inoltrare un consiglio di lettura per il senatore sardo Giampiero Scanu. P er capire il dramma della guerra e delle ragioni del rifiuto degli ordini impartiti ai soldati destinati a morire è utile la lettura del racconto La paura di Federico De Roberto. Quando lo leggevo ai miei alunni di terza media una scossa emotiva, che io mi sforzavo di trattenere, penetrava nello stato d’animo della classe. Era totale il dominio del silenzio, dell’attenzione per il racconto della vicenda e poi la voglia di discussione motivata sul valore del coraggio e sulla necessita del rifiuto di un ordine impartito solo per testimoniare l’esecuzione delle direttive degli alti ufficiali con gli esiti drammatici della carneficina. Nei documenti storici c ‘è abbondanza di storie di questi massacri, ancora vivi nella memoria collettiva e nei monumenti presenti in tutti i comuni della Sardegna.
Vittorio Sella