Francesco Pigliaru, un estraneo alla guida della Regione [di Vito Biolchini]

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Nemmeno nei loro sogni più rosei i militanti del No avevano immaginato una notte così bella, così esaltante, così carica di speranza: invece è arrivata. La riforma costituzionale del Governo Renzi è stata rigettata in un modo deciso, senza ombre, grazie ad una partecipazione al voto straordinaria.

In tanti ora si intesteranno la vittoria ma una affermazione del genere ha per me il volto del presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia, che con grande coraggio e lungimiranza ha difeso la Costituzione da una inverosimile riforma e che a 93 anni si è sobbarcato il peso di un massacrante tour per le città italiane, subendo vergognosi attacchi strumentali da parte di politica e giornali. Grazie presidente, se da questa battaglia l’Anpi esce più forte e più credibile il merito è soprattutto tuo.

Poi c’è la Sardegna. Come mai una regione in cui la Lega non esiste e il Movimento Cinquestelle non è presente in Consiglio regionale, dove il maggiore gruppo editoriale ha fatto una campagna spudorata per il Sì (oscurando le iniziative per il No e ignorando, ad esempio, la visita di Smuraglia a Cagliari e le altre iniziative del Comitato per il No, mentre ha srotolato i tappeti rossi all’ormai ex presidente del Consiglio Renzi), come mai in Sardegna il No ha stravinto in questo modo?

Io penso che i sardi abbiano capito chiaramente che la riforma Renzi avrebbe significato non solo la sostanziale fine dell’esperienza dell’Autonomia ma anche dell’idea stessa di specialità della nostra terra. Se avesse vinto il Sì, la Sardegna sarebbe stata stritolata da un potere centrale che negli ultimi anni ha mortificato l’isola in tanti, troppi modi.

Settantatré sardi su cento lo hanno capito e tra questi non c’è il presidente della Regione Pigliaru. Se c’è qualcuno che da questo voto ha subito uno smacco maggiore anche rispetto a quello di Renzi c’è proprio il nostro presidente, che non può neanche dimettersi ma soltanto convivere fino alla fine della legislatura (purtroppo ancora lunga) con questo risultato che certifica con esattezza la sua statura politica.

Le ultime settimane di campagna referendaria, costellata dalle visite di schiere di ministri che hanno promesso di tutto pur di raccattare due voti in una regione economicamente in ginocchio, è stata mortificante per l’istituzione regionale, umiliata da rappresentanti che hanno pensato di attaccare l’asino dove chiedeva il padrone: senza rendersi conto che gli asini erano loro.

Proclamato anticipatamente senatore dall’ex presidente del Consiglio, Pigliaru si immaginava una carriera politica che non si merita e che non farà. I sardi lo hanno sconfessato in maniera chiara ed evidente. Così come non farà il senatore il sindaco di Cagliari Massimo Zedda, patetico nel suo intento trasformistico di assicurarsi una carriera politica fine a se stessa, senza alcuna idealità se non quella dell’esercizio del potere a tutti i costi.

Pigliaru, Zedda, Soru e tutto il Pd sardo, insieme ad un sistema dell’informazione servile, escono a pezzi da questo referendum: non solo sconfitti ma profondamente delegittimati, incapaci di interpretare i bisogni dei sardi, la loro idealità, la loro idea di futuro.

Se in Italia il fronte del No è variegato e non costituisce in alcun modo uno schieramento elettorale coeso, in Sardegna il referendum apre invece scenari nuovi. Le forze dell’autodeterminazione devono trovare il coraggio di unirsi e di collaborare ad un progetto comune. Ci vogliono lungimiranza, generosità e sangue freddo: senza leaderismi e senza primedonne: non sarà semplice.

Ma adesso godiamoci questa vittoria. Orgogliosi di avere fatto ognuno di noi la propria parte.

 

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