Una nuova agenda politica per la Sardegna [di Alessandro Mongili]

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L’ondata di NO non si è abbattuta solamente sull’agGiunta Pigliaru, le cui vicende ormai hanno solo aspetti aneddotici e non politici, ma su tutti noi. Intorno alla vittoria dei NO si aggirano tanti Monsignori in cerca di rendite. Ma il NO non ne offre, così come neanche il Sì. Sono punti di processi che si intersecano, nulla di più.

Rispetto a questo passaggio storico, sono sorprendenti alcune posizioni provenienti da indipendentisti e da altri attori politici. Nel momento stesso in cui una maggioranza schiacciante dei Sardi respinge il renzismo e esso va in crisi in Italia, costoro non trovano di meglio che copiarlo e introdurlo anche da noi. Quando si dice la subalternità culturale!

Essi hanno indicato come futuro passaggio politico la modifica dello Statuto o la redazione di una nuova Legge statutaria, perfino attraverso un’Assemblea costituente, nel momento stesso in cui in tutto il mondo si cambiano anche gli assetti costituzionali a seguito di grandi processi di partecipazione, e a seguito comunque di cambiamenti politici che ancora qui non hanno avuto luogo.

In un momento, peraltro, in cui dal voto viene la richiesta che la politica metta fra parentesi le proposte di ingegneria politica e invece metta al centro i problemi delle vite normali, sature di problemi politici e in particolare di problemi creati dalla politica. Con politici così, è chiaro che il movimento per l’autodeterminazione della Sardegna, così popolare e diffuso, non può trovare sbocchi politici.

In sintesi, per dare uno sbocco alla valanga sarda del NO è necessario tradurlo in un’agenda politica nuova e diversa rispetto a quella post-blairiana di Renzi e Pigliaru che ancora domina. Non con proposte giuridico-statutarie, ma con risposte ai problemi della vita delle persone in Sardegna. Cioè, reddito, lavoro, mobilità, credito, lingua, beni comuni, beni culturali. Possibilmente senza passare dal Crenos e dalle sue tautologie, per cui basta un copia/incolla e il programma simil-confindustriale è pronto.

E’ chiaro che un’agenda simile costituisce l’ordito di un cammino di autodeterminazione della Sardegna, ma i suoi fili devono passare per le vite delle persone e per i loro problemi. Questo è facile, perché la nostra dipendenza coloniale non è certo un problema astratto, ma condiziona ogni nostra vita.

Una nuova agenda può essere elaborata da un leader, ma – visti i passaggi precedenti – è meglio che per una volta si facciano avanti le competenze, e non quelle in quota familiare, amicale o di pubblico plaudente. Magari attraverso un processo “dal basso”. Ci vuole infatti più attenzione alle competenze e meno alla comunicazione se l’obiettivo non è quello di conquistare le prime pagine, ma di cambiare la politica della Sardegna e dunque i rapporti di potere, di cacciare i tenutari della dipendenza e di sviluppare autogoverno, cioè una politica in linea con le nostre necessità elementari, per esempio bloccare l’esodo dei Sardi e sviluppare attività produttive.

E l’elaborazione di una nuova agenda è il passaggio più importante della creazione di una coalizione che al suo interno sia democratica e non più autoreferenziale o spiegabile attraverso il suo leader carismatico (che, se ci fosse, sarebbe una bella risorsa. Se ci fosse). Quei tempi stanno tramontando, e c’è bisogno di cose più serie, come un’organizzazione o una rete che in qualche modo assicuri diritti e partecipazione a tutti, senza ostacolare il processo decisionale, che in politica deve essere rapido. Il solito rebus, dunque.

Molte amiche e amici propongono le primarie aperte per una coalizione per l’autodeterminazione della Sardegna. L’intento è ottimo, perché contrasta la coazione monsignora a mettere il cappello e a intascare le rendite facendo deperire la tanca del NO, così come si è fatto con quella dell’indipendentismo. Purtroppo, le primarie si sono rivelate essere uno strumento divisivo e pericoloso, e hanno portato a selezionare mediocrità. Inoltre, non si capisce bene come la coalizione debba essere composta.

La Mesa natzionale (composta da SNI, FIU, Progres, SL), Muroni e Devias, i Rossomori, chi altro? Dal movimento per il NO è emerso un interesse sicuro per la difesa dello Statuto speciale in settori della sinistra. Perché questa parte di sinistra non può rientrare dunque in una coalizione per l’autodeterminazione o per l’autogoverno? E quali relazioni debbono esistere fra tutte queste parti?

Le candidature, come devono essere formate se le primarie non sono ritenute uno strumento utile? Saranno i vari capataz a riempire le liste o se ne potrà discutere? Si può pensare, in alternativa, a un meccanismo di presentazione trasparente e di discussione/selezione aperta delle candidature in gruppi composti da segmenti di società e di politica?

Credo che gli esponenti maggiori abbiano il dovere di chiarire di fronte ai sardi quello che vogliono in relazione a): all’agenda politica e alla sua formazione; b): al perimetro della coalizione per l’autodeterminazione c): ai meccanismi di formazione delle candidature e della leadership.

Spero che considerino con lucidità la memoria dei fallimenti precedenti e non lo imputino solamente alla cattiveria degli avversari e alla stupidità dei Sardi, ma anche a loro stessi. Personalmente, io credo che sarebbe da irresponsabili non formare una larga coalizione per l’autogoverno e l’autodeterminazione della Sardegna, che costruisca un’agenda politica e si dia meccanismi trasparenti per la designazione della leadership, dell’unica lista da presentarsi e dei candidati che la compongano, e che non deleghi tutto ai vari capataz, che dovrebbero fare non un passo indietro, ma un grande balzo verso le retroguardie.

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