Dipendenza da internet, social media, post verità e altro [di Maria Francesca Chiappe]
Pubblichiamo la trascrizione dell’introduzione all’intervista pubblica su dipendenza da internet, social media e post verità allo pschiatra, sociologo, scrittore, opinionista Paolo Crepet, avvenuta sabato 10 dicembre all’Auditorium di piazzetta Dettori, a Cagliari, nell’ambito del festival L.E.I. (NdR). Internet, la rete, gli smartphone. Il tema di questa sera è di grandissima attualità, ci riguarda tutti, noi qui in questo teatro e chiunque altro nel mondo, nei paesi più ricchi come in quelli che si stanno impoverendo. Tutti o quasi hanno uno strumento che continuiamo a chiamare telefonino e che non usiamo per telefonare, semmai chattiamo, navighiamo, condividiamo, inseriamo like, scattiamo foto (pranzi- cani-e-gatti), facciamo selfie, ci guardiamo e ci compiacciamo. Per sette ore al giorno, questa almeno è la media tra i giovani. Quando Barak Obama usò il blackberry per finanziare la prima campagna elettorale americana era una novità assoluta. Applauditissima. A distanza di otto anni siamo molto oltre, ci troviamo addirittura immersi nell’epoca della post verità, false notizie veicolate dai social dove, come ha di recente scritto Mattia Feltri su La Stampa, un numero sempre crescente di persone che non si fidano più di niente e nessuno sono molto ben disposte verso l’inverosimile e diffidenti verso il verosimile. E’ quello che è successo il 4 dicembre a urne aperte, ossia la polemica sulle matite copiative: è bastato che un cantante postasse su twitter il dubbio, anzi, la sua certezza, peraltro accompagnata dal titolo del suo nuovo disco, che ecco fioccare denunce nelle questure di mezza Italia. Eppure lo sappiamo tutti, pure i più giovani, che il tratto delle matite copiative non si cancella solo sulla carta particolare della scheda elettorale, ma è bastato che qualcuno lo dimenticasse o lo ignorasse perché una notizia palesemente falsa costringesse addirittura il Viminale a intervenire con un comunicato. E meno male che non siamo in America, dove la falsa informazione di una pizzeria trasformata centrale di un racket di pedofili legato a Hillary Clinton ha portato un uomo a imbracciare il fucile. Giornali come il New York Times o il Washington Post avevano dimostrato la totale infondatezza della notizia, eppure: niente, in rete tutto viaggia comunque e ci si crede pure. E a questo punto bisognerebbe pure capire il perché. Entriamo subito in argomento con Paolo Crepet, che non ha bisogno di presentazioni: psichiatra di fama internazionale, sociologo e scrittore. È stato membro del Consiglio Europeo della Federazione Mondiale della Salute Mentale. Dal 2013 fa parte del gruppo di lavoro G124 dell’Architetto Renzo Piano presso il Senato della Repubblica sulla riqualificazione delle periferie. Direttore scientifico della Scuola per genitori, autore di una serie innumerevole di libri di successo, opinionista televisivo. L’ultimo libro, edito da Mondadori, ha un titolo accattivante: “Baciami senza rete. Buone ragioni per sottrarsi alla seduzione digitale”. Ed è un volume che offre moltissimi spunti di riflessione su quella che l’autore definisce “la più stupefacente rivoluzione industriale. Quella digitale, che ha portato a una strabiliante e inattesa mutazione antropologica”. Il suo è un grido d’allarme che non si trasforma in una demonizzazione del mezzo, dei social, di internet, no. Anzi. Ci ricorda però che esiste un mondo oltre quello schermo di pochi centimetri e che vale la pena rivolgere lo sguardo anche verso l’alto. Magari servendosi del light phone che telefona e basta e resta in carica per un mese. |