Quel sogno insensato che l’alba accorda al desiderio: cronache dall’isola di Fidel senza Fidel [di Gabriele Calvisi]
La sera cala quando arrivo all’aeroporto. L’inaspettato buio, interrotto da tremule luci, mi accompagna fino a La Habana. Le strade, nascoste dalla notte, sono deserte. Il silenzio è ornato da sordi rumori di motori provenienti dal passato. La Habana é abitata incessantemente senza orari ed età nella rete fitta delle sue strade. E il mio viaggio è su quelle strade. Disegnano un melanconico e nobile teatro, come polverosi nastri e terrosi vani, trame di sontuosi palazzi coloniali in rovina, sventrati dall’incuria della povertà collettiva. Sono strade cha hanno una passione, si diramano negli androni oscuri, si inerpicano in scale indefinite, si affacciano alle finestre livide, senza infissi, come occhi vuoti. Si mostrano nelle pareti scrostate che conservano i colori dipinti da sguardi antichi. Tutto così povero, così reale, così abbandonato, cosi appassionato. Fetori indefiniti sorprendono l’ansia silenziosa che mi assale. L’alba è improvvisa e totale, colora i palazzi di intense ombre, estese lame di luce disegnano persone indaffarate. I rumori rimandano ai ricordi lontani accesi da scampanellii improvvisi. Si chiudono i portoni delle scuole dietro innocenti sorrisi, agghindati in divise linde. Abaneri e visitatori, si intrecciano come luci e ombre separate da origini e destini diversi. Affollano le strade, addensano i crocicchi, gesticolano parole e attese. Lentamente e stanchi si mostrano nelle botteghe, nelle strade coi carretti spinti a mano. Vagano in ingombri laboratori, nei mercati vuoti e nelle macellerie all’aria aperta. Fanno la fila nelle caffetterie protette da porte e finestre inferriate. Annebbiati nei bar già fumosi, già languidi dal rum e avidi di occasionali amori. Qualcuno si ferma in una chiesa silenziosa e vuota. Sostano nei palazzi avvolti nel legno fitto delle impalcature dove è fiorito l’abbandono dell’incompiuto. Scompaiono nei grandi viali aperti agli orizzonti della nostalgia, arredati al gusto della dipendenza spagnola, americana e sovietica. Si volgono al mare, fieri nelle vecchie auto ricostruite amorevolmente infinite volte. Vengono da lontano e si perdono in fondo alla strada, oltre la piazza, fino all’orizzonte che cambia e confonde con antica e lenta tenerezza. Cade improvviso il tramonto tinto d’arancio e invita la notte inabissandosi in violetti profondi. Vagano i loro sguardi malinconici e persi, felici e sfrontati. Strugge il sorriso irresistibile dei bambini, gli occhi affaticati degli anziani, l’eleganza semplice dei giovani, l’affanno del vivere. La triste tranquillità della mancanza di libertà. La campagna assolata di Vinales, con le misere case sparse, gli animali come mezzi del movimento e branchi di cani affamati e disperati, nascondono crudeli indifferenze che comprimo il petto di dolore. Quieta e felice è la luce a Trinidad mentre la notte si prepara per il desiderio. Geometrico e chiaro é lo sguardo a Cienfuegos. |