Ripartire dal malcontento [di Maria Francesca Chiappe]
La Collina Gennaio-Marzo2017- Editoriale. Non è la Brexit, non è Trump. Con la vittoria del no il populismo non c’entra. La grande partecipazione popolare al voto sul referendum costituzionale è il dato che fa la differenza con le due votazioni choc del 2016 nel mondo. Ed è proprio su questo che bisogna ragionare. Si diceva che una campagna elettorale lunghissima avrebbe allontanato ulteriormente gli elettori dalle urne. Invece è successo l’esatto contrario, pure in Sardegna, dove il no alla riforma in alcuni centri ha toccato punte dell’85 per cento, nonostante la massiccia presenza nell’Isola dei rappresentanti del governo e la firma del Patto per l’Isola e di quello per Cagliari con una ricca dotazione. Quelle percentuali dicono innanzitutto che nessun governo locale può intestarsi la vittoria di un voto che, se pure è stato tecnicamente in difesa della Costituzione vigente, è innegabilmente politico. Anche e soprattutto in Sardegna. Se è vero che i sondaggi dicono che il voto del 4 dicembre non ha spostato gli equilibri tra i partiti, è doveroso capire il perché di quel no che non può non essere un no alla gestione politica, dal governo centrale passando per la Regione fino al più piccolo Comune dell’Isola. Mai come questa volta il voto prende le distanze da partiti e amministrazioni. La crisi non solo economica ma anche e soprattutto sociale, acuita dal fenomeno migratorio scaricato sulle città e sulle popolazioni locali, se ne infischia dello storytelling su una crescita dello zero virgola che le famiglie non vedono: pensionati sempre più poveri che si scoprono i nuovi ricchi, adulti a rischio povertà, giovani senza futuro, mobilità sociale bloccata, anzi, in movimento verso il basso. E poi: gli attentatati alle amministrazioni locali, la corruzione diffusa nei Comuni piccoli e grandi (le recenti vicende di Quartu sono la conferma di un campanello d’allarme suonato forte con sindacopoli), il coinvolgimento di rappresentanti della classe dirigente perfino negli assalti ai portavalori in Ogliastra dove ancora non si sono, peraltro, fatti i conti con vicende, come quella della Barbagia Flores, dimenticata, forse non a caso, troppo in fretta. Aggrapparsi ai sondaggi e far finta che quel no non ci sia stato è l’errore più grande che si possa commettere. Non basta un rimpasto e bisogna pure stare attenti ai frettolosi trasformismi. Occorre invece ripartire dal malcontento, altrimenti sì, alle prossime elezioni, quelle vere, i populisti vinceranno a mani basse. Anche in Italia. Anche in Sardegna. |
Non c’entrano niente le amministrazioni locali con il prevalere del NO al referendum, mi permetta di dire Maria Francesca Chiappe. Certo non in Sardegna: hanno votato NO una grandissima parte di amministratori locali, di sindaci, di ex sindaci, me compreso. Li si sarebbe potuti intervistare, prima e dopo, e lo avrebbero detto.
Il bersaglio era quello grosso, era il governo, abbastanza inviso a molti amministratori che hanno avuto modo di conoscere di Renzi le promesse roboanti, e il finire tutto in nulla. Ricordo bene – perché già da allora qualcosa si ruppe, anche fra amministratori del Pd, anche fra coloro che avevano votato Renzi alle primarie – come finì con la lettera che il capo del governo appena insediato inviò ai sindaci chiedendo loro che esigenze avessero per le scuole del proprio territorio. Scrivetemi voi, poche righe per dire cosa serve, quanto occorre, vi risponderò, scrisse press’a poco.
Andò che non seguì nulla, proprio nulla, salvo il finanziamento in Sardegna di alcune ristrutturazioni e di progetti recuperati da vecchie graduatorie obsolete, si finanziarono nuove scuole in paesi che nel frattempo le avevano chiuse per carenza di alunni. Non se ne occuparono i giornali, di queste enormità, cara Maria Francesca. E ripeterono anche loro, anche i giornali sardi, le giaculatorie sulla “buona-scuola”, le “scuolebelle”, le “scuolesicure”.
Non si poteva più riprendere, “il Bomba”, agli occhi di persone un minimo serie: niente è peggio della sparata senza ritorno, né verifiche né scuse, che ne alimenta altre, in una escalation che alla fine è risultata insopportabile a un sacco di gente, altroché populisti.
Abbiamo avuto un capo del governo populista, questa è la verità. Alla fine anche anti-europeo in un periodo nel quale nessun altro che Angela Merkel, presa a bersaglio da questo chiacchierone, si staglia nel Vecchio Continente, ferma sui valori, seria, anti-retorica, come sta dimostrando in questo ore dopo l’attentato di Berlino.
Non ce li metterei per un sacco di altre ragioni, gli amministratori, fra il ceto politico dal quale anche il NO al referendum ha voluto segnare una distanza, una critica, e ormai il fastidio, l’ostilità, che conosciamo da anni sotto forma di antipolitica.
Non c’è in Sardegna questo fenomeno, non nella rete dei piccoli comuni, credo nemmeno a Cagliari, a Sassari, non c’è a Nuoro. Non perché gli amministratori sono bravi, competenti, o stanno al livello dei grandi valori, nella lungimiranza del progettare. Anzi: forse perché sono semplicemente “dei nostri”, conosciuti ciascuno nella loro dimensione personale, familiare, al bar, non a carico di stipendi pubblici della politica, salvo nelle medie città.
La Sindacopoli evocata da Maria Francesca Chiappe, non si sa bene ancora cos’è, francamente. Sembra un grande pasticcio dove si confondono forse qualche interesse consistente di studi professionali con la premura dei sindaci, l’ansia di accelerare qualche pratica, lo stare vicini alle persone, alle cose, al paese che – non so se ce ne siamo accorti – ha prodotto una distanza immensa fra inchieste della magistratura e le comunità locali, i sospetti e le ipotesi della prima e i giudizi delle seconde. (E non sembra un gran successo dell’idea di giustizia).
Infine, non c’entrano niente gli attentati agli amministratori, e la criminalità grande o piccola che da decenni più i giornali che gli studiosi cercano di far diventare in Sardegna qualcosa di diverso da quel che sono: grande criminalità, mafia e camorra le cui parole non si avrebbe il coraggio di pronunciare, intrecci con la politica, i pastori trafficanti di droghe, gli amministratori locali nel tunnel della corruzione.
Se ci fossero, questi fenomeni, e alcuni ci sono, non è che le inchieste autonome dei giornali ce li indichino: quali ambienti, quali banche, quali circuiti massonici, e che riferimenti politici ad alto livello e magari intermedio, nella Regione o negli enti, essi abbiano.
Così si resta alla superficie delle cose, alle suggestioni, alimentate da qualche frase, da qualche titolo, interscambiabili fra articoli dei giornali e inchieste della magistratura.
Mi scuserà Maria Francesca Chiappe se ho preso alcuni passaggi soltanto del suo articolo per confutarli. Su altri sono d’accordo, per esempio che non basta un rimpasto nella giunta regionale per rimediare alla difficile situazione della Sardegna e dei sardi. Ma anche qui, perché i giornali non ci dicono cosa non va, qual è il malessere nostro, dove si nasconde o si manifesta, in quali aree geografiche, sociali. Magari sarebbe stato il caso di scrivere che la Sardegna era la regione con la più alta percentuale di NO nei titoli del lunedì 5 dicembre. Invece non c’era nella prima pagina dell’Unione Sarda né della Nuova Sardegna. Qualche anno fa i comitati di redazione dei due quotidiani avrebbero almeno minacciato uno sciopero, per una così scarsa considerazione dell’autonomia, del giornalismo e, banalmente, della notizia….