Dildar, al lavoro nei cantieri del nuovo Kurdistan [di Federico Dessì]

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Dildar è un ragazzo giovane, il corpo snello e scattante, i capelli e la barba corti e scuri. È nato e cresciuto ad Aleppo, ma la sua famiglia è originaria di Amuda, una cittadina di frontiera nel nord-est della Siria, e appartiene alla minoranza curda.

 “Sono venuto qui per sfuggire al servizio militare obbligatorio,” racconta Dildar, “sono scappato dalla Siria e sono venuto qui, nel Kurdistan iracheno, più o meno nella primavera del 2012. Dei contrabbandieri che non conoscevo mi hanno fatto attraversare la frontiera di notte, senza documenti d’identità, senza niente. Ovviamente, si sono fatti pagare.”

Seduto in cerchio con i suoi colleghi attorno ad una tavola larga e bassa, Dildar addenta il suo panino e si gode la meritata pausa pranzo. Tra chiacchiere, scherzi e risate, l’atmosfera è rilassata e conviviale. Tutto intorno a loro, un’immensa struttura di cemento armato, con enormi pilastri e un’ampia cupola, li avvolge e li protegge dal calore del mezzogiorno. È un vasto cantiere ancora allo stato grezzo. Dildar e i suoi colleghi sono la squadra di operai addetti all’installazione dell’impianto di condizionamento e di refrigerazione.

“Questo edificio sarà un centro commerciale di quattro piani. Ci saranno dei negozi e dei centri per l’intrattenimento. Si trova in un quartiere pregiato di Erbil.”

Niente di sorprendente: Erbil, la capitale della regione autonoma del Kurdistan, è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni. I progetti immobiliari si susseguono uno dopo l’altro: nuovi quartieri vengono creati a tavolino e realizzati a tempi da record, e il numero di grandi alberghi, grattacieli e centri commerciali continua ad aumentare. Come tanti altri profughi siriani, Dildar ha trascorso i suoi primi mesi all’interno del campo di rifugiati di Domiz, vicino alla frontiera tra l’Irak e la Siria, ma si è poi spostato verso la capitale, attratto dalle maggiori opportunità di lavoro.

In questo modo si guadagna da vivere e, in generale, è soddisfatto dei risultati:

“Sono contento degli edifici che stiamo costruendo. Se un giorno il Kurdistan iracheno diventerà uno stato indipendente, lo considererò come la mia nazione. Quindi sono contento di contribuire alla sua costruzione. E se l’indipendenza non dovesse arrivare, mi accontenterò di aver posato una pietra qui in Kurdistan…”

Dildar infatti è molto attaccato alla sua identità curda. Il suo sogno è di poter vedere un giorno una grande nazione curda unificata e indipendente. Rispetto al conflitto siriano ha un punto di vista abbastanza bilanciato: non sostiene né il regime né l’opposizione, ma ritiene che ci sia un certo equilibrio tra i due campi e che sia difficile prevedere gli sviluppi futuri.

Gli chiediamo se preferisca parlare in lingua araba o in lingua curda e lui risponde:

“Parlare in arabo o in curdo, fa lo stesso. Ciò che conta è il messaggio da comunicare. Il mio messaggio per il mondo è: fino a quando deve continuare questa guerra?”.

 

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