Grandi opere, quali opportunità e quali rischi [di Anna Donati]

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Eddyburg 11/01/2017. Davvero un appuntamento ricco di contenuti quello promosso di recente dalla Fondazione Basso e dalla Fondazione Culturale Banca Etica sul tema delle grandi opere, per ragionare non solo sugli aspetti ambientali, ma soprattutto sulla partecipazione dei cittadini, la vitalità dei territori, le regole del gioco deformate dalla Legge Obiettivo e dalle misure di semplificazione.

Regole che non aiutano a scegliere le opere utile alla rigenerazione delle città, alla tutela del paesaggio ed alla cura contro il dissesto idrogeologico, come ha sottolineato Nicoletta Dentico della Fondazione Basso, concludendo i lavori e proponendo che questo dialogo e questa rete prosegua e diventi sempre più serrata ed innovativa. Una rete di associazioni e comitati capace anche di progetto e di alternative concrete, come dimostrano le tante esperienze di impegno e partecipazione nei territori.

Un evento a cui ha collaborato Giulio Marcon, Deputato e Segretario della Commissione Bilancio, animatore della campagna Sbilanciamoci, che ha ricordato come sia Pierluigi Vigna nel 2001 ed oggi Raffaele Cantone hanno definito le regole della Legge obiettivo potenzialmente “criminogene” e di come la Legge di Bilancio 2017 sia ancora nel solco delle grandi opere invece che sulla manutenzione del territorio e di servizi ai cittadini/e.

Il nuovo codice appalti approvato ad aprile 2016 prevede il superamento della Legge Obiettivo ma il regime transitorio rischia di essere lungo ed incerto, per questo occorre vigilanza in Parlamento ed azioni sul territorio per raggiungere l’obiettivo. A questo si è aggiunto di recente un regolamento Madia di semplificazione che ripropone la logica della lista e l’accentramento delle decisioni a Palazzo Ghigi.

Ma in realtà è un clima generale e la visione intorno alle grandi opere che deve cambiare. Il binomio grande opera/grande evento è spesso evocato come una irrinunciabile opportunità per le comunità, un sogno di sviluppo capace di generare nuove energie, nuove potenzialità di convivenza. I fatti dimostrano che, in realtà, questo binomio solo occasionalmente produce utilità sociale, mentre si accompagna sovente a prassi autoritarie e poco rispettose delle comunità coinvolte, a forzature gestionali e amministrative, talora non disgiunte da profili di opacità se non di illegittimità e illiceità.

Molte indagini, anche penali, hanno evidenziato che i sistemi costruiti sui meccanismi della deroga, del commissariamento, delle privatizzazione, dell’eterna emergenza per mettere subito in cantiere opere faraoniche che violentano il territorio e arricchiscono i grandi operatori economici, producono un meccanismo perverso di rapporti tra politica, enti istituzionali e imprese. Questo agevola l’inserimento di operatori spregiudicati e refrattari all’osservanza della legalità e dei controlli.

La prospettiva della grande opera, presentata come realizzazione di un sogno collettivo, porta in dote una ben più prosaica realtà: una privatizzazione di programmazione e di decisioni apparentemente pubbliche, con spazio a concessionari, general contractors, progettisti-consulenti, i quali finiscono per dettare condizioni agli enti pubblici, stabilire in concreto tempi (e inevitabili contrattempi) dei lavori, autocertificare i costi. Un meccanismo dagli effetti deleteri per le comunità locali, talora coinvolte in esercizi formali di consultazione, più spesso strette nella morsa delle mitigazioni e con grave lesione per gli spazi della democrazia partecipata.

Al convegno si è ragionato su di un paradigma diverso, che serva davvero al nostro Paese, che coinvolga le Comunità locali come un processo educativo collegiale e come tutela dei diritti delle persone che vivono in un luogo, con una visione di tutela globale e capace di futuro. Estremamente interessante è stato l’Intervento di Franco Ippolito, Presidente del Tribunale Permanente dei Popoli (organismo promosso dalla Fondazione Basso) che ha seguito da vicino il caso delle grandi opere e della TAV in Valsusa, arrivando ad una sentenza di condanna l’8 novembre 2015. La forza di questo Tribunale indipendente deriva dalla capacità di denuncia e dalla forza della pubblica opinione, con un processo che segue tutte le regole e norme dei processi ordinari.

Prima d’ora il Tribunale Permanente per i diritti dei popoli si era occupato di grandi violazioni dei diritti fondamentali dei nativi in diversi paesi del mondo, ma quando ha ricevuto la denuncia del Controsservatorio Valsusa ha deciso di aprire una sessione su questo riscontrando violazioni anche in un paese democratico come l’Italia. La sentenza di condanna è motivata dal fatto che non è stato predisposto uno studio serio di impatto ambientale, non si è garantita una reale partecipazione alle popolazioni locali negando l’accesso a documenti, con dibattimenti fittizi e giustificativi, con la militarizzazione del dissenso nella valle, trasformandolo un problema di ordine pubblico. (Per saperne di più www.controsservatoriovalsusa.org).

Le raccomandazioni del Tribunale al Governo Italiano chiedono di aprire un confronto reale esteso a tutte le opzioni ed alternative, compresa l’opzione zero e nel frattempo sospendere i lavori del cantiere della Maddalena e l’occupazione militare della zona.

Roberto Cuda, giornalista economico ha analizzato con rigore il mito delproject financing, sempre invocato per realizzare l’opera senza contributo pubblico e quindi capace di una grande persuasione verso la politica e le sue regole, come è accaduto nel caso dell’autostrada Brebemi. Su questo caso clamoroso ha scritto anche un bel libro (Anatomia di una grande opera, la vera storia della Brebemi. Edizioni Ambiente 2015).

La Brebemi era uno dei pochi casi su cui è stata effettuata una gara per la scelta del concessionario, che si doveva pagare completamente con le tariffe per l’investimento da 1,6 miliardi di euro. Ma non è andata cosi: ha ottenuto 300 milioni di contributo pubblico, una proroga di sei anni della durata della concessione, ed un valore di subentro che pagherà lo Stato alla scadenza della concessione pari a 1,250 miliardi.

In pratica l’hanno pagata interamente tutti i cittadini e non gli utenti come era stato promesso. In questo caso si dimostra che l’opera serve solo a chi la costruisce, aumenta i debiti dello Stato e non serve a risolvere i problemi di mobilità. Altri tre casi “negativi” di grandi opere sono stati poi presentati al convegno. Il primo è la storia infinita del Ponte sullo Stretto con Stefano Lenzi del WWF Italia, che ha descritto l’iter trentennale di progetti bocciati e risorti, le intricate vicende giudiziarie ed i ribassi d’asta, i contratti sottoscritti senza un progetto definitivo approvato e la minaccia sempre agitata delle penali, in realtà di molto inferiori, in caso non si realizzi l’opera. Con l’auspicio che la promessa di realizzare il Ponte dell’ex Presidente del Consiglio Renzi sia tramontata con le sue dimissioni.

Il secondo caso è l’autostrada della Maremma esposto da Edoardo Zanchini, vicepresidente Legambiente, un progetto nato negli anni 70, che si insiste nel voler realizzare ancora oggi, con la bocciatura di diversi tracciati, mentre l’alternativa è semplice: adeguare e mettere in sicurezza la Strada Statale Aurelia in quei 30/40 km ancora pericolosi. Proprio in queste settimane è in corso una nuova procedura di Valutazione di Impatto Ambientale sul tracciato autostradale Grosseto Capalbio e le associazioni sono di nuovo sul piede di guerra contro un progetto che sottrae una infrastruttura di uso quotidiano e gratuito come la SS Aurelia trasformandola in autostrada a pedaggio.

Il terzo è stato presentato da Cesare Vacchelli che a nome dei Comitati No Tibre e No Mantova Cremona è intervenuto su due progetti autostradali che incombono nel quadrante Parma, Verona, Mantova e Cremona. Ha descritto la storia ventennale di impegno dei comitati locali che con rigore hanno dimostrato l’inutilità dell’opera, il suo impatto ambientale, la crescita dell’inquinamento e del traffico, i legami perversi del progetto con la concessione autostradale privata del gruppo Gavio, i ricorsi in sede europea ed i ripensamenti in corso.

Adesso si insiste nel voler realizzare 13 km di opera con un primo lotto del tutto inutile, ma evidentemente necessario per tenere in piedi la proroga della concessione a suo tempo autorizzata. In alternativa servirebbe il potenziamento del Tibre ferroviario. Ed ha rappresentato con il suo intervento una storia esemplare di impegno, rigore, competenza e resilienza di una comunità locale.

Anche il mondo della politica è intervenuto nel dibattito. Loredana de Petris, senatrice di Sinistra Italiana ha sottolineato il suo impegno contro le grande opere e la difficoltà anche a sinistra di cambiare strategia e strada. Il Ministro Delrio sta facendo un tentativo reale di superamento della legge obiettivo, ma gli interessi, i progetti in corsa, il peso delle concessionarie e dei costruttori, si fanno sentire rallentando le scelte nella giusta direzione. Se poi a questo si aggiunge che Luca Lotti i è diventato di recente con il nuovo Governo Gentiloni, sottosegretario con delega al Cipe e quindi sulle grandi opere, c’è ragione di preoccuparsi davvero.

Monica Frassoni copresidente del gruppo verde europeo ha raccontato tutte le iniziative di impegno contro le grandi opere che anche in sede europea con le reti TeN-T hanno preso piede come filosofia, tra cui la TAV Torino-Lione, l’Autostrada della Maremma, la Valdastico. E di come le regole europee e le direttive impongano Valutazioni Ambientali Strategiche, niente proroga delle concessioni autostradali, informazione e partecipazione dei cittadini: criteri spesso disattesi in Italia ma che diventano sempre oggetto di trattativa tra Bruxelles ed il Governo Italiano per trovare compromessi e deroghe in nome della realpolitik e della necessità di far ripartire gli investimenti e l’economia. Anche in Europa serve mobilitazione ed azioni per far pesare i punti di vista differenti e le alternative concrete e realizzabili.

Infine un appassionato intervento di Tomaso Montanari, storico dell’arte, animatore della battaglia contro lo Sblocca Italia, ha messo in relazione il successo del no al referendum con la battaglia contro le grandi opere, perché democrazia e territori possano davvero contare nelle scelte e che riguardano le regole del gioco del nostro paese. Non solo ambiente quindi, ma una idea di futuro dove coinvolgere l’immaginario, offrire una visione, usare linguaggi nuovi è essenziale per cambiare le cose ed avere ascolto tra i cittadini. Insomma fare cultura nel Belpaese per fermare la barbarie.

Ad aprile 2017 il Ministro Delrio dovrà presentare il primo Documento di Programmazione Pluriennale dove indicare le opere prioritarie da realizzare ed entro fine 2017 l’aggiornamento del Piano generale dei Trasporti e della Logistica con la strategia per la mobilità e di trasporti. Si tratta di due documenti che faranno comprendere davvero se il superamento della Legge Obiettivo e della logica delle grandi opere da promessa sia trasformata in realtà o se invece interessi di parte e regime transitorio esteso avranno la meglio. Serve molta vigilanza, coordinamento, azioni comuni, competenze, partecipazione – anche in sede UE – per capire se stiamo andando davvero verso opere “utili, snelle e condivise”.

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