Scuola – Lavoro, aumenta la distanza [di Francesca Barbieri]
Il Sole 24 Ore. 16 gennaio 2017. Due record negativi che fanno un paradosso. Da un lato, siamo fanalino di coda in Europa per numero di laureati: solo il 25,3% degli italiani fra i 30 e i 34 anni, secondo Eurostat, ha un titolo accademico in tasca, rispetto alla media del 38 per cento. Dall’altro, i pochi che riescono a raggiungere il traguardo faticano a trovare un lavoro o lo ottengono non in linea con il proprio curriculum: appena il 53,9% è occupato a tre anni dal titolo (rispetto all’82% della Ue) e i laureati rappresentano la fetta maggiore dei giovani “overeducated”, quelli cioè troppo istruiti rispetto alle competenze necessarie per svolgere le mansioni assegnate. Dal report realizzato dal centro studi Datagiovani per Il Sole 24 Ore risulta che i “sovraistruiti”, almeno nei primi anni successivi al conseguimento del titolo, sono più di 400mila su una platea di 1,8 milioni di lavoratori, considerando 1,1 milioni di laureati tra i 25 e i 34 anni e 700mila diplomati tra i 20 e i 24. Tra i primi si riscontra la maggior diffusione della “overeducation”, con un lavoratore su quattro in questa condizione (per un totale di quasi 300mila giovani), mentre si scende abbondantemente al di sotto del 20% per i diplomati (117mila). Dai numeri emerge che il legame con la crisi economica è stretto: il tasso di disoccupazione è salito per i diplomati dal 17,9% del 2008 al 29,8% del 2016 e per i laureati dal 9,4% al 14,1 per cento. Per gli occupati l’iperqualificazione è passata dal 13,9% al 17,6% per i diplomati e dal 23,7 al 25,6% per i laureati: un fenomeno più frequente al Nord, dove si concentrano le maggiori chance di lavoro e dove dunque si hanno più possibilità di “adattarsi”, per scelta o necessità, a lavori non allineati al proprio bagaglio di conoscenza. E a livello di genere si registra una maggior quota di “overeducated” maschi tra i diplomati; situazione opposta tra i laureati, dove sono le donne che faticano di più a mettere a frutto i propri studi. Non tutti gli indirizzi poi “soffrono” con la stessa intensità del fenomeno: la maggiore eterogeneità si riscontra nelle lauree, dove tra il massimo del 42% di “overeducated” tra i laureati in discipline umanistiche e il minimo del 9% di ingegneri e architetti si passa per il 12% dei medici e il 32% di coloro che hanno conseguito un titolo terziario nel campo delle scienze sociali. Una quota leggermente più bassa degli “overeducated” laureati (22%, pari a 220mila lavoratori) risente inoltre di un disallineamento tra la posizione occupata e il percorso di studi (per esempio, l’archeologo che si occupa di vendite): anche in questo caso il gap maggiore si riscontra tra i laureati in materie umanistiche (46%), mentre per farmacisti, medici e infermieri l’abbinamento studi–lavoro è quasi perfetto (appena l’8% di mismatch). Il gap tra tipologia di laurea e professione svolta è poi certificato dal consorzio interuniversitario AlmaLaurea: secondo l’ultimo rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati, solo per il 38% la laurea è richiesta per il lavoro svolto, la metà dei giovani occupati a cinque anni dal conseguimento del titolo utilizza in misura ridotta o per nulla le conoscenze acquisite nel percorso di studi (con punte di oltre il 60% tra i laureati in materie umanistiche). «Paese paradossale il nostro – commenta Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea -, che soffre di una duplice e opposta patologia: di “undereducation” e al contempo di “overeducation”. Anche nei settori strategici di innovazione, internazionalizzazione e managerialità la percentuale di laureati è di poco superiore al 17%, rispetto alla media europea del 24,2%». Secondo Dionigi, sono tre gli attori in causa: «Le università, chiamate a formulare corsi parametrati sulla domanda e non sull’offerta e a innovare i corsi contaminando humanities e tecnologie secondo le specificità della cultura del Paese; le imprese, chiamate ad assumere e valorizzare i laureati; la politica, chiamata a favorire l’occupazione e a riconoscere il merito». |