La legge Bucalossi sul regime dei suoli [di Edoardo Salzano]

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Eddyburg. it 28 gennario 2017. In occasione del quarantesimo anniversario dall’approvazione della legge 10, pubblichiamo un estratto di Fondamenti di urbanistica che sintetizza i contenuti della legge e alcuni nodi irrisolti (m.b.)

Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 55 era stata approvata la “legge-tappo” del novembre 1968, che prorogava per cinque anni la validità delle previsioni degli strumenti urbanistici comportanti vincoli nei confronti dei diritti reali. I cinque anni trascorsero senza che fosse assunta alcuna concreta iniziativa e si fu così costretti, nell’ultimo giorno utile, ad approvare un’altra proroga biennale. Nel novembre 1975 ancora un rinvio di un anno. Questa volta è però accompagnato da un disegno di legge governativo di riforma del regime dei suoli che, finalmente, dopo un’ultima proroga di tre mesi, è approvato nel gennaio 1977. È la legge 28 gennaio 1977, n. 10, più nota come legge Bucalossi, dal nome del Ministro repubblicano per i lavori pubblici che ne fu l’autore.

Alla base della legge c’è la scelta nettamente a favore della separazione dello jus aedificandi dal diritto di proprietà. In verità, sullo “scorporo” del diritto di edificare dal diritto di proprietà la Dc non dà mai un’adesione convinta. L’intesa fra i partiti di governo si realizza soprattutto grazie all’impegno di Pietro Bucalossi che minaccia le dimissioni (e quindi la crisi di governo) in caso di mancata approvazione del disegno di legge.

Il principio della separazione viene però affermato in maniera ambigua, cosi da renderla accettabile al partito della proprietà, se è vero che qualche esponente della proprietà edilizia che aveva prima parlato “di una vera confisca (sic), giustificata dal troppo evidente inganno che la proprietà rimane nella titolarità dei proprietari”, dopo l’approvazione del consiglio dei ministri, afferma – peraltro con la medesima superficialità del primo giudizio – che “la legge non esprime più l’adozione di quel principio sovversivo[1].

Il disegno di legge Bucalossi è approvato dal Consiglio dei ministri il 29 novembre 1975 e presentato al Parlamento 1’11 dicembre. Gli elementi portanti della riforma sono l’istituto della concessione onerosa, il convenzionamento dell’edilizia abitativa, il programma di attuazione dei piani urbanistici e la normativa contro gli abusi.

Il regime di concessione onerosa ha come presupposto la riserva pubblica del diritto di edificare. L’ente pubblico assente la concessione di questo diritto al proprietario dell’area, ovvero a chi ne ha la legittima disponibilità, per l’edificazione di opere conformi agli strumenti urbanistici. La concessione non incide sulla proprietà – che resta privata – dell’immobile realizzato. L’onerosità della concessione è parziale, nel senso che il contributo di concessione non costituisce il corrispettivo dell’intero plusvalore dell’area. Il contributo è infatti formato da una quota del costo di costruzione, variabile dal cinque al venti per cento, e da una quota afferente agli oneri di urbanizzazione.

Il convenzionamento dell’edilizia abitativa dovrebbe essere uno dei punti qualificanti della legge. Esonerando l’edilizia convenzionata dagli oneri di concessione si possono favorire gli imprenditori disposti a concordare con il comune i prezzi di vendita ed i canoni di locazione degli alloggi da destinare alle categorie meno abbienti, e quindi esercitare consensualmente un controllo del mercato delle locazioni.

Il programma poliennale di attuazione degli strumenti urbanistici serve ad evitare una delle più macroscopiche distorsioni che hanno accompagnato la crescita delle città, e cioè la contemporanea diffusione dell’attività edilizia in tutte le direzioni possibili e senza alcuna correlazione con gli interventi volti alla realizzazione delle infrastrutture e attrezzature.

In tal modo i comuni sono stati costretti ad inseguire la disordinata diffusione delle iniziative private, sostenendo ingenti spese per la costruzione delle reti di urbanizzazione e per assicurare i minimi servizi (si pensi ai trasporti). Il programma poliennale di attuazione consente invece ai comuni di definire quali delle opere previste dal piano regolatore si possono realizzare in un determinato periodo, organizzando per tempo, ed in rapporto alle proprie disponibilità finanziarie, gli interventi pubblici necessari.

La nuova normativa contro l’abusivismo, fenomeno già allora in forte espansione, prevede, nei casi di maggior gravità, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera abusiva. La demolizione resta l’unica sanzione quando l’abuso contrasta con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali. Il fatto che l’acquisizione al patrimonio comunale non sia una facoltà ma un atto dovuto per il comune sembra il deterrente decisivo. Ma, come vedremo, l’abusivismo esploderà più violento di prima. Il dibattito in parlamento rinfocola i contrasti. Il disegno di legge è in parte migliorato. Non vengono invece chiariti i nodi relativi al regime di proprietà delle aree edificabili.

La mancata esplicitazione del principio della separazione costituisce un grave errore – anche politico – perché le riforme non si fanno con le riserve mentali (se c’è separazione, come c’è, non si vede per quale motivo non Si debba dirlo chiaramente), perché non ci può essere confusione su un principio che costituisce il presupposto del regime concessori (senza la separazione, infatti, la concessione si ridurrebbe ad un fatto meramente nominalistico), perché infine si potrebbe rischiare di incorrere in una nuova declaratoria di incostituzionalità (la logica della sentenza n. 55, è bene ricordarlo, è stata ribadita dalla Corte in una recente pronuncia)[2].

Facile profezia. Nel gennaio 1980, a tre anni dalla Bucalossi, la Corte costituzionale si pronuncerà ancora sulla incostituzionalità della legge urbanistica. [Con la sentenza n. 5/1980 la Corte affermò infatti che, nonostante la diversa denominazione data dal legislatore «il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà» -n.d.r.].
Note
[1] M. Martuscelli, nell’introduzione a: F. Bottino, V. Brunetti, Il nuovo regime dei suoli, Edizioni per le autonomie, Roma 1977, p. 20.
[2] Ivi, p 27.

 

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