Nella situazione attuale un Prefetto non può ignorare le disparità, le conflittualità, il disagio sociale [di Giuliana Perrotta]

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Pubblichiamo l’intervento della Prefetta di Cagliari tenuto nel corso dell’iniziativa “La violenza contemporanea nella Sardegna tra passato e futuro” che si è svolta nella Sala del Consiglio Comunale ad Orune, sabato 28 gennaio. (N.d.R).

Ho aderito volentieri all’invito della Presidente regionale del Fai a partecipare a questo incontro sulla violenza perché sono profondamente convinta dell’importanza anche di iniziative come questa per la diffusione della legalità e della cultura della non violenza. Scontata l’eccezione che qualcuno può sollevare a questa mia premessa: a  prima vista può sembra strano, inusuale, che un Prefetto intervenga su tali tematiche, perché il Prefetto è da molti ancora considerato come l’esponente di punta di una certa burocrazia, espressione del potere e del centralismo autoritario e conservatore, l’odiato oppressore delle autonomie locali.

Qualcuno potrebbe considerarla quasi come una invasione di campo. E’ vero il Prefetto appare, nell’immaginario collettivo, come una autorità terza, lontana, separata dalla vita quotidiana, che interviene per dirimere conflitti, quasi come un notaio, o in caso di calamità o  in caso di turbative dell’ordine e della sicurezza pubblica, o per contrastare le infiltrazioni mafiose nella P.A e nell’economia, e quant’altro rientri nel ruolo di responsabile generale del soccorso pubblico e soprattutto di garante dell’ordine e della sicurezza pubblica.  Un ruolo che secondo una immagine stereotipata evoca un’attività sostanzialmente repressiva. Ma questa riduzione semplicistica del ruolo dei Prefetti non era valida neanche per il passato, e a maggior ragione non è valida oggi.

In un editoriale del Corriere della Sera leggevo qualche tempo fa che di fronte ad una P.A. sempre più frammentata e articolata, di fronte all’elefantiasi di certi apparati locali, lassisti, spendaccioni e lontani dai bisogni dei cittadini, forse dovremmo rivalutare il senso perduto dello Stato, la pienezza dello Stato, non intesi, badate bene, come oppressione prevaricante in senso autoritario, ma come perno e riferimento della vita collettiva “uguale per tutti” dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, dal Friuli Venezia Giulia  alla Sardegna, diritti e doveri compresi.

Non sempre le leggi, infatti, malgrado il loro ruolo unificatore e regolatore, riescono a rispondere ai profondi mutamenti delle nostre società e con la crisi del concetto di comunità, la crisi delle ideologie e dei partiti e con la conseguente mancanza di punti di riferimento , tutto si dissolve in una sorta di liquidità e tutti vivono in un continuo processo di precarizzazione. Bauman che ha analizzato bene questa liquefazione, osserva come sia tipico  in questa situazione che prevalga il movimento dell’indignazione, cioè di quelli che sanno che cosa non vogliono ma non sanno cosa fare per realizzare una società più giusta, meno violenta ecc..

Ed in questa situazione io credo che i Prefetti possano svolgere un ruolo importante; prima di tutto per l’attività di coordinamento e di mediazione, che l’ordinamento attribuisce loro non solo per la gestione dei conflitti, ma come nuovo fattore delle mutate relazioni tra la legge, le istituzioni e i cittadini, in cui la  mediazione, come politica di prevenzione, serve a ricomporre il legame sociale e a responsabilizzare gli abitanti.

Ma  penso anche ad un Prefetto che possa essere per il centro la lente correttiva di un’ altrimenti comoda omologazione delle realtà territoriali, in quanto interfaccia istituzionale che non può ignorare il peso delle disparità, delle conflittualità, del disagio sociale, che può essere determinante e cruciale sia nel recepire le istanze provenienti dalla società civile sia nel raggiungere obiettivi condivisi importanti per la comunità locale.

Si tratterebbe di un’attività di volta in volta sussidiaria o complementare o di supporto per gli Enti Locali che non sempre riescono a dare le risposte necessarie ai bisogni del territorio, un’attività che non è altro che una esplicazione del ruolo del Prefetto come garante dell’ordine e della sicurezza pubblica.  Oggi quando parliamo di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica dobbiamo intenderla in una accezione diversa rispetto al passato, rispetto a quella c.d. poliziesca.

Pensiamo alle problematiche legate alla percezione di insicurezza della popolazione, e allo sviluppo di politiche legate alla sicurezza in cui accanto al tradizionale modello di “ordine e sicurezza pubblica” che possiamo definire negativo, contenuto nel TULPS, basato sull’assenza di violazioni delle norme, vi è un modello positivo basato sulla tutela dei diritti, sulla costruzione di opportunità, sulla promozione dello sviluppo.

Nel 2006  si è svolto un Forum europeo a Saragozza sulla sicurezza urbana  ed è stato sottoscritto un manifesto che al punto 1° sancisce che  “La sicurezza è un bene comune essenziale, indissociabile da altri beni comuni, quali l’inclusione sociale, il diritto al lavoro, alla salute, all’educazione e alla cultura. Occorre rifiutare qualsiasi strategia che punti ad utilizzare la paura, ricorrendo invece ad interventi atti a favorire una cittadinanza attiva, la consapevolezza dell’appartenenza al territorio urbano e lo sviluppo della vita collettiva” e si  auspica “ l’attuazione di politiche globali integrate ed efficaci, non semplicemente destinate a combattere gli effetti della criminalità, ma anche le sue cause profonde, quali l’esclusione sociale, le discriminazioni in materia di diritti e le disuguaglianze economiche, la carenza di spazi culturali.”

Insomma è ormai universalmente accettato che  la sicurezza pubblica non si tutela solo con la repressione e che le turbative all’ordine pubblico non si prevengono solo schierando polizia e  carabinieri. Quella deve essere l’ultima possibilità, l’estrema risorsa, quando sono state battute fino in fondo tutte le altre strade. Per questo favorire lo sviluppo di una comunità, contribuire perché un territorio trovi la sua strada per migliorare le proprie condizioni economiche , sociali, culturali, intercettare i bisogni della comunità che se troppo a lungo ignorati o sottovalutati possono innescare la miccia del risentimento sociale, della protesta e delle possibili turbative all’ordine e alla sicurezza pubblica, anche questo vuol dire tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica.

Credo che di tutto ciò, in questo particolare momento storico, anche i Prefetti debbano farsi carico.   Chiudo questa digressione, ma era necessario per chiarire il senso di una presenza e di un impegno che non è espressione di questa o quella competenza bensì di quel ruolo generalista che costituisce l’essenza più profonda ed originale della funzione prefettizia e del ruolo del prefetto del terzo millennio  che ha subito una profonda trasformazione rispetto alla figura austera e autoritaria di napoleonica memoria.Una trasformazione originata dal profondo mutamento del contesto normativo, ma anche dal cambiamento della mentalità e dell’approccio personale.

Oggi siamo qui, in questo comune dell’entroterra sardo a parlare di violenza, nelle sue innumerevoli sfaccettature, che vanno dalle intimidazioni nei confronti dei pubblici amministratori, alla violenza sessuale e di genere, alla violenza razzista, fino alla violenza  insensata e brutale che non ha apparentemente alcuna connotazione.

I relatori che seguiranno dopo di me si soffermeranno sui vari aspetti della violenza, e su cosa sia possibile fare ne possiamo parlare nel dibattito che mi auguro seguirà. Nel concludere però vorrei lanciare una provocazione, guardandoci intorno dovremmo chiederci come mai la nostra generazione che è poi quella dei figli dei fiori, dei grandi movimenti pacifisti, femministi, ecologisti che sono scaturiti dai quel grande fermento politico- culturale che ha interessato gli anni 60/70 del secolo scorso, non sia riuscita a realizzare una società con meno violenza.

Penso che forse dovremmo riflettere di più sulle nostre responsabilità e sui nostri fallimenti. Per molti il maggiore sviluppo, la diffusione del benessere, l’istruzione  avrebbero dovuto migliorare la nostra società. Non è stato così……e restiamo senza parole quando leggiamo di fatti tremendi che ci sembrano inspiegabili: come l’omicidio premeditato dei genitori di un amico da parte del ragazzino della porta accanto, o l’omicidio freddo e ragionato della moglie che vuole lasciarlo da parte del ricco e colto professionista. Cosa fare allora?

Le istituzioni possono fare di più, la politica può fare di più e soprattutto ognuno di noi può fare di più se solo: “……affrontiamo i conflitti in maniera costruttiva e non violenta, scegliamo la solidarietà sempre e con tutti ….costruiamo la pace ogni giorno con piccoli gesti, ci impegniamo a diventare persone che bandiscono dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura del bene comune….purchè siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali.”

Non sono parole mie ma quelle di Papa Francesco per la celebrazione della I giornata mondiale per la Pace.

 

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