Per cambiare ci vuole anche un nuovo modello di società [di Giovanni Scano]
Ho letto sia quanto scrive Carlo Arthemalle che quanto scrive Umberto Cocco. Quella di Arthemalle mi pare una visione piuttosto catastrofista, scoraggiata e scoraggiante. Un po’ tipo après moi, le déluge, dovuto forse, al risultato del referendum, per lui che si è schierato dalla parte delle sedicenti riforme renziane. In esse, io non ho ritrovato nessuno spirito riformatore, ma nemmeno semplicemente riformista. Le sedicenti riforme istituzionali erano piuttosto pasticciate e largamente inadeguate rispetto alle problematiche cui si proponevano di dare soluzione. Se si volevano diminuire i costi della politica, come, anche, populisticamente, da parte del governo, è stato detto, forse bastava abolire, semplicemente, il Senato, ridurre il numero dei deputati ad una più ragionevole cifra tra i trecento e i quattrocento e ridurre i loro emolumenti a un compenso fisso mensile intorno ai tremila euro più rimborsi spesa rigorosamente documentati. Ma anche altre cosiddette riforme, come quella della scuola, sono da valutare alla stessa maniera. I cambiamenti sono troppo pochi e marginali. Non si tratta di cambiamenti strutturali. Il governo Renzi, purtroppo, non si è proposto di cambiare davvero l’Italia ma solo, nella migliore delle ipotesi, di gestirla un po’ meno peggio. Ma così facendo le problematiche di fondo vengono, più o meno ciclicamente, a ripresentarsi. Se la scuola la si vuole davvero cambiare (diamo per scontato, in meglio), bisogna agire a fondo e in maniera strutturale. La parte che ha più bisogno di essere modificata, è la scuola media, sia di primo che di secondo grado. Innanzitutto, bisogna diminuire di un anno la durata degli studi pre-universitari. Sia in Francia che nel Regno Unito è già così. Gli studenti italiani arrivano al diploma e quindi all’università e/o al lavoro, quale che sia l’età in cui vi arrivano, un anno dopo rispetto ai loro compagni d’oltralpe. Non serve a niente, inoltre, aumentare l’età dell’obbligo scolastico se si tratta di un prolungamento puro e semplice. Una ipotesi potrebbe essere quella di fare come in Francia, che è forse la nazione europea che più ci somiglia. Una scuola media di quattro anni, lì la chiamano collège, e una scuola superiore di tre anni che lì chiamano tutte lycée (littéraire, technique, professionnel). Lo scopo principale della scuola media sarebbe quello dell’orientamento; lo scopo principale della scuola superiore sarebbe non solo quello di poter accedere agli studi universitari, ma soprattutto quello di acquisire una preparazione professionale spendibile subito. L’obbligo scolastico potrebbe essere fissato alla fine della scuola media oppure alla fine della scuola superiore. Alla fine comunque di un ciclo di studi. Non come adesso al compimento del sedicesimo anno di età. Anche l’organizzazione didattica andrebbe profondamente cambiata. Ciascun insegnante dovrebbe avere la sua aula-laboratorio con tutto l’hardware e il software necessari e sarebbero gli alunni a recarsi quando in orario a seguire tali attività. Anche il curricolo di ciascun alunno dovrebbe diventare più flessibile. Dovrebbe essere costituito da un nucleo centrale di materie obbligatorie (tipo italiano, matematica, …), delle materie opzionali (tra le quali ciascun alunno possa optare appunto per l’una piuttosto che per l’altra, per esempio, per le lingue straniere, o francese, o tedesco, o spagnolo, …) e anche delle materie facoltative, sulla base dell’offerta formativa di ciascuna singola scuola, sul modello di com’è adesso l’insegnamento della religione cattolica: si può scegliere di usufruirne oppure no. Tale schema potrebbe essere applicato anche per la scuola superiore.Se l’Italia la vogliamo cambiare davvero, dobbiamo partire quindi dalle problematiche strutturali, non dai dettagli. Arthemalle dice: un nuovo modello di sviluppo. Ma non basta. Ci vuole anche un nuovo modello di società. Un nuovo modello di convivenza civile. E per fare questo la scuola deve assumere un ruolo centrale. Non basta modificare alcuni dettagli, mettere qualche soldo qua e là. In modo piuttosto pasticciato, anche questo. Basti pensare ai cinquecento euro per gli insegnanti. Ci vuole un progetto complessivo di cambiamento. E per questo io penso, nonostante tutto, al Partito Democratico, se vuole ancora adempiere alla funzione per cui è nato. |