Tzvetan Todorov [di Oliviero Ponte Di Pino]
www.doppiozero.com 7/02/2017 Quella di Tzvetan Todorov è una biografia intellettuale di straordinaria ricchezza e fecondità. Basta una scelta dei titoli che ha pubblicato per testimoniare un percorso unico, per l’importanza e la varietà dei temi che ha affrontato nel corso dei decenni. Per i suoi primi allievi, Todorov era uno dei padri della semiotica, perché aveva contribuito alla diffusione del formalismo, che all’inizio degli anni Sessanta aveva portato con l’amica Julia Kristeva nella Parigi di Roland Barthes dalla Bulgaria, dov’era nato nel 1939 (I formalisti russi. Teoria della letteratura e del metodo critico, Einaudi, 1968).Per altri era lo studioso del simbolismo e di un genere considerato “basso” come la letteratura fantastica, che era stato tra i primi a esplorare (La letteratura fantastica, Garzanti, 1977, Teorie del simbolo, Garzanti, 1984). È stato poi il teorico dell’Altro, a partire da un testo capitale come La conquista dell’America. Il problema dell’altro (Einaudi, 1984). Le discussioni sul tema dell’incontro tra le culture partono da qui, e da titoli emblematici come Io e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana (Einaudi 1989) e Noi e gli altri (Einaudi, 1990). A partire dagli anni Novanta, la sua capacità analitica si è centrata sul rapporto tra la storia e l’etica, a partire dalla riflessione sulla resistenza al nazismo e sull’Olocausto, con saggi come Di fronte all’estremo (Garzanti, 1992). Poteva approfondire un episodio dimenticato della lotta al nazismo, come accade in Una tragedia vissuta (Garzanti, 1995). Oppure partiva dall’esperienza concreta di personalità come Vassilij Grossman, Margarete Buber-Neuman, David Rousset, Primo Levi, Romain Gary, i protagonisti di Memoria del male, tentazione del bene (Garzanti, 2001): la loro forza, prima che nel pensiero, stava per Todorov nell’esperienza terribile che lo aveva generato. Questa riflessione civile su un’epoca di orrori è stata sostenuta dalla costante attenzione ai valori dell’Illuminismo, testimoniata da titoli come Benjamin Constant. La passione democratica (Donzelli, 2003) e Lo spirito dell’illuminismo (Garzanti, 2007). È stata anche sorretta da uno struggente amore per il bello, teorizzata in un saggio come La bellezza salverà il mondo (Garzanti, 2010), dove Oscar Wilde, Rainer Maria Rilke e Marina Cvetaeva sono insieme eroi e vittime di questa battaglia; e dai saggi dedicati a maestri della pittura come Rembrandt o Goya, alla pittura dell’Illuminismo, o agli autoritratti, che inseguiva nei musei italiani alla ricerca delle sue forme aurorali, dal Corridoio Vasariano di Firenze al Collegio del Cambio di Perugia. Ma la bibliografia di Todorov non è solo un elenco di titoli più o meno interessanti, è il lascito di un maestro. Sui suoi testi si sono formati, generazione dopo generazione, studiosi e intellettuali di discipline molto lontane tra loro. Molti di loro lo conoscevano e lo conoscono solo per uno dei suoi molteplici interessi, e magari ignorano gli altri tasselli di una biografia intellettuale così stratificata. Quando gli si chiedeva del rapporto tra la prima fase, dedicata all’analisi delle forme, e la seconda, dove a prevalere erano i valori etici prima ancora dei contenuti, rispondeva con semplicità che si era un po’ stufato di quell’approccio in sostanza esteriore, e che non era per quello che si era appassionato alla letteratura e all’arte, ma per quello che gli dicevano i capolavori del passato. Tuttavia il rigore dell’analisi, affinato negli anni della formazione, è la chiave che gli ha poi permesso di scoprire quello che si muove dietro le forme simboliche e ideologiche. Si è mosso con la lucidità tagliente dello studioso che utilizza strumenti rigorosi e minuziosi, ma anche con un approccio dettato da una duplice consapevolezza: conosceva la dimensione tragica dell’esistenza, ma sapeva anche cogliere la straordinaria capacità empatica degli esseri umani, o almeno di alcuni di essi. Grazie a queste caratteristiche, Todorov è stato uno degli ultimi grandi intellettuali europei. Per la formazione e l’apertura cosmopolita. Per la sua profonda conoscenza, sperimentata in prima persona, del lato oscuro del Vecchio Continente. Per la sua capacità di guardarsi e di guardare la nostra realtà con gli occhi dell’Altro. Aveva la fede nella ragione, era convinto che la ragione potesse aiutarci anche – e forse prima di tutto – a districare i complessi nodi dell’etica, anche e soprattutto nei tempi più oscuri, nelle circostanze più estreme. Su questa base Todorov è spesso intervenuto, sia con i suoi libri sia con interviste e interventi giornalistici, su questioni di attualità civile prima ancora che politica: la crisi della democrazia, la vocazione e il destino dell’Europa, la globalizzazione e le migrazioni. In apparenza dietro le sue prese di posizione non c’era un sistema unitario, uno schema ideologico che potesse dare alle questioni complesse una risposta semplice ma sbagliata. Ogni volta, partiva dalla concretezza dell’esperienza umana, dal riconoscimento della dignità che è diritto di ognuno: la dignità che hanno cancellato i sistemi totalitari del Novecento, ma anche quella dignità che calpestano anche le indifferenze e gli egoismi delle moderne democrazie, quella dignità violentata dalle ipocrisie delle “democrature” che stanno infestando il pianeta. L’autorevolezza di Todorov aveva le sue radici proprio nella capacità di mettere ogni volta in relazione principi che possono suonare astratti con la realtà concreta degli individui. Diffidava, come Brecht, degli eroi, ovvero coloro che, insieme alla loro vita, sono pronti a sacrificare quella degli altri. Ma non pensava che la salvezza potesse arrivare da qualche agente esterno. Per lui la linea di condotta giusta poteva essere il frutto solo del giudizio morale di ciascuno di noi: dalla nostra capacità di misurare le forze in campo, dalla lucidità nel soppesare tanto le nostre convinzioni quanto il principio di responsabilità, ovvero le conseguenze dei nostri atti, non sulla base di collettività astratte o di un futuro altrettanto astratto, quanto sulla concretezza dell’Altro. Un aneddoto personale. In occasione di un breve soggiorno palermitano, per il Premio Mondello, ho accompagnato Todorov in un giro della città: voleva vedere le sculture abbaglianti dei Serpotta. Santa Cita, San Domenico, San Lorenzo. Poi volle andare al Giardino Garibaldi, per vedere il gigantesco Ficus columnaris, l’albero più grande d’Europa, piantato nel 1863 da Filippo Basile. I rami laterali, una volta raggiunta terra, mettono radici e diventano enormi colonne. Todorov si commosse, ancora più che di fronte allo splendore candido degli stucchi settecenteschi: per lui quell’albero era la metafora dell’emigrazione, rami che mettono radici altrove mantenendo il rapporto con la loro origine. *Oliviero Ponte Di Pino è stato suo editore in Garzanti.
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