Il revival del Grande Mare [di Mario Rino Me]

mappa mundi Ebstorf

http://www.limesonline.com/il-grande-gioco-rinasce-nel-mediterraneo/97193. Voltate le spalle a un secolo che il filosofo Isaiah Berlin aveva definito “il più terribile della storia dell’Occidente”, assistiamo, nella realtà rapidamente mutevole di questo tempo, a un momento  storico di transizione per la ridefinizione dei ruoli e delle gerarchie del potere nei nuovi equilibri geopolitici del XXI° secolo. Gli scenari del nuovo millennio confermano uno degli assunti del XX° secolo, secondo cui la sfida a una grande potenza non può che venire da un’altra che aspira allo stesso rango.

Peraltro, alle condizioni di tensione indotta nelle dinamiche internazionali da crisi e conflitti, si vengono ad aggiungere sfide di natura socio-ambientale. Intanto, tra i primi tre Grandi del pianeta per potere militare (USA da una parte, Cina e Russia dall’altra) si è resa palese una diversa visione del  mondo, nel senso che gli ultimi due sostengono una sorta di diritto di avvalersi nel relativo estero vicino di proprie sfere di influenza, ritenute invece superate dalle controparti occidentali. E non vi è dubbio che, anche questa diversità di vedute che sottende dispute territoriali, e, di conseguenza, situazioni di attrito, sia difficile da superare con l’attuale dialettica dai toni da Guerra Fredda.

Queste forme di imposizione di sistemi politici o di controllo,  furono sdoganate a Yalta, dove, nei successivi trattati, si crearono, come da consuetudine consolidatasi nel tempo, gli equilibri del Secondo Dopoguerra; per contro, con l’eccezione degli accordi di Dayton del 1995, gli assetti geopolitici emersi dalla fine della Guerra Fredda non sono stati oggetto di accordi internazionali. Mentre nel primo caso, si è  vissuta una condizione di equilibrio strategico che Raymond Aron  definiva “pace impossibile [ma] guerra improbabile”, nel secondo caso, invece, lo stato del mondo è caratterizzato dalle, purtroppo, consuete forti tensioni internazionali che si intrecciano con  una crisi del governamento mondiale.

Su scala mondiale, la risoluzione, sia pacifica che coercitiva, delle dispute appare un miraggio di fronte alla polarizzazione e frammentazione degli attori. Anche perché l’impianto delle Nazioni Unite, a similitudine della precedente Società delle Nazioni, si regge sulla totale fiducia riposta sulla forza morale  dell’Autorità Centrale Onusiana. Purtroppo, non dotandola di un potere coercitivo articolato su una propria forza militare, si é finito col  ripetere lo stesso errore del passato: il Consiglio di Sicurezza e il Segretario Generale, condizionati dalla volontà degli Stati, sono bloccati in “una paralisi globale”.

Alle difficoltà socio-politiche-economiche di un’Unione Europea che perde pezzi (Brexit) fanno riscontro sponde meridionali e orientali nei tormenti di guerre civili. Libia, Iraq e Siria hanno riacceso i riflettori sull’arco storico delle crisi, che scuote una vasta area dall’Africa Occidentale all’Asia Centrale, comprensiva del sottostante hinterland dal Golfo di Guinea fino al Corno d’Africa. Qui si è venuta a inserire una minaccia dichiarata, portata avanti da militanti del fanatismo politico per fini religiosi di un sedicente Stato, con epicentro mediorientale ma con diramazioni mondiali, che il sistema internazionale stenta a debellare.

Nel continente Europeo, si è venuto a determinare un arco di crisi che partendo dai Balcani attraversa l’Ucraina per saldarsi nel Caucaso con quello appena accennato. I Balcani pacificati lustri or sono dai vari interventi della NATO, confermano il detto di W. Churchillproducono più storia di quanta ne possono digerire”. Viviamo dunque, e, in base alle previsioni, vivremo, anni strategicamente e storicamente intensi, che denotano la fine di un ciclo. Di fatto, con le dinamiche internazionali successive alla crisi economico-finanziaria, si è venuto a determinare uno spostamento geopolitico verso l’Asia, dove ricompaiono gli eredi di quel mondo asiatico, che il lungo dominio Occidentale aveva messo in disparte dalla “Grande Storia”.

La Persia dei Safavidi, l’India dei Moghul,  la Cina dei Qing e l’impero Ottomano erano, delle potenze formidabili all’inizio del secolo XVIII°, quando nasceva l’impero russo. Nel frattempo aveva preso corpo una particolare fase di espansione delle potenze europee, sospinta dalle esigenze di accaparramento di risorse e mercati, nonché da una sorta di “missione civilizzatrice”: il mondo del colonialismo, popolato anche da avventurieri, mercanti spesso organizzati in Compagnie per affari (come quella delle Indie), che riuscivano spesso a  influenzare , se non proprio condizionare l’azione degli Stati madre. Oggi, una serie di eventi dà l’impressione di un ritorno all’indietro delle lancette  dell’orologio.

In effetti, l’impresa di Cristoforo Colombo non era nata all’insegna del “buscar el levante por el poniente? Successivamente, dopo la conquista portoghese dello stretto di Malacca, nel 1512-15 il cronista lusitano Tomé Pires scriveva “il signore che possiede lo stretto di Malacca può prendere Venezia per la collottola”.

I fatti gli diedero ragione: in Mediterraneo la Sublime Porta, era subentrata sin dal 1453 all’Impero Bizantino, e in una sorta di continuità storica, Maometto II e successori avevano preso anche il titolo di Kaiser i Rum (cesare romano). L’espansione della potenza ottomana verso la Siria, l’Egitto fino allo Yemen, consentì il controllo delle vie del traffico carovaniero e l’esercizio del monopolio sul proficuo commercio con le Indie e l’estremo Oriente.

Il che, combinandosi con il ri-orientamento dei traffici dei paesi sull’Atlantico verso le distese Oceaniche, consentì l’accesso senza intermediari ai beni e alle terre agognate. Ne conseguì la marginalizzazione del Mediterraneo: mentre La Superba reagì diventando la più importante piazza finanziaria fino al sorpasso da parte di  Amsterdam, per La Serenissima invece, passata l’euforia della vittoria a Lepanto del 1571, iniziò una lunga decadenza.

Oggi però gli eredi delle predette Nazioni asiatiche sono riemersi e si inseriscono nei vuoti  di potere lasciati dalla superpotenza in fase di riequilibrio, all’insegna dello slogan “America first”, che inizia a prendere forme di “isolazionismo” con limitata apertura verso l’aggregato dei paesi del vecchio Continente, sia come “pilastrino” dell’architrave Euro-Atlantica della NATO sia come soggetto autonomo, Unione Europea. Anche se dopo le prime mosse accidentate, quelle recenti a carattere riparatorio sulla Cina, Giappone, Israele e Iran, denotano una tendenza di correzione di rotta verso la continuità con la politica estera americana. Resta da vedere se sarà mantenuta nel corso della strutturazione delle direttrici politiche.

Anche l’Europa sta cambiando:  giunta oramai a un punto di non ritorno  di un processo portato avanti alla “festina lente” e scossa da  forti venti contrari, per sopravvivere, dibatte se sia il caso di cambiare gioco attraverso uno sviluppo a geometria variabile. Se e questo è un grande se, sarà così, nel quadro di una possibile Cooperazione Strutturata Permanente (PeSCo) in materia di Difesa, il sessantennale dei Trattati di Roma del marzo1957, potrebbe dare l’avvio alla realizzazione di qualcosa di simile alla agognate Forze Armate Europee.

La frantumazione da parte dell’ISIS dell’ingessatura liminaria Mediorientale con le sue linee arbitrarie del duo Sykes-Picot del 1916, e le nuove politiche di T. Erdogan nell’area turcofana, ci riportano indietro all’epoca ottomana in cui quello spazio,  non aveva che labili frontiere. Poi l’irruzione Russa in Siria, e, richiesta come mediatore, in Libia, ha impresso una svolta alla soluzione dei due conflitti. In questo nuovo quadro geopolitico, una trojka inedita, composta da Iran-Russia e Turchia, convocando le parti della guerra civile in Siria, ad Astana, ha inteso presentarsi come foro ristretto in sostegno all’azione delle NU.

Per la prima volta dal 2.do dopoguerra, l’Occidente è escluso dalla cabina di regia; ma il banco di prova del nuovo è uno dei più complessi del pianeta. Come scriveva un nostro politologo un secolo fa “tutto è fluido ed evanescente come il miraggio del deserto, la realtà di oggi, la menzogna di domani…i confini si spostano in un incessante ondeggiamento di tribù e capi in perpetua lotta di tendenze religiose e ambizioni territoriali”.

Tutto questo combinandosi con il revival cinese della Via della Seta, anche nella dimensione marittima, restituisce centralità e pertinenza al Grande Mare, che gli Europei del Nord, per contro, stentano a riconoscere, nonostante la gravità delle tensioni e delle guerre civili. Che postulano, di contro, attenzione e strategie/attività congiunte su varie dimensioni, a partire dal fenomeno strutturale della migrazione. Laddove la strategia, oltre a coniugare i fini con le risorse a disposizione, è anche definizione di priorità e di orizzonte temporale per realizzarle, per enucleare, in ristrettezza di risorse, l’importate dall’accessorio, le funzioni vitali dai rami secchi, nonché le opportunità da cogliere.

Nel grande spazio Trans-Mediterraneo, si viene dunque a configurare un potenziale scenario simile alla riedizione in chiave moderna di quel “grande gioco”, in cui, nella prima metà dell’800, la Russia Zarista e la Gran Bretagna si contesero i territori al confine dei rispettivi imperi.

Oggi la contesa verte sulla capacità di influenzare, con finalità non sempre disinteressate. Ma proprio nel “condomino” del Mare Nostrum i paesi rivieraschi dovranno ritrovare una conviventia, basata su un nuovo modo di relazionarsi e una condivisione tout azimut del nostro spazio.

Proprio con la rinascita della Via della Seta, il nostro Grande Mediterraneo potrebbe aggiungere alla raffigurazione braudeliana di “mille choses à la fois”,  anche quella di snodo logistico, a due vie e che potrebbe interessare la nostra Isola, per le numerose imprese che ne potranno cogliere le opportunità. Se nel 1976 l’allora CSCE stabilì a Helsinky che la sicurezza del Continente Europeo non poteva essere disgiunta da quella del Mediterraneo, oggi proprio in questo “antico crocevia” si gioca il futuro dell’Unione, nella configurazione che abbiamo sin qui conosciuto.

Antico, ma al contempo durevole, come possiamo dedurre dalle profonde radici, che il prof.  Joseph Maila, nel suo excursus più che millenario, sintetizza in quella che definirei la Summa Mediterranea: Straordinaria civiltà Mediterranea, che nel suo sviluppo ha dato man mano i riferimenti alla traiettoria dalla nostra cultura, facendoci depositari di una eredità in cui l’alfabeto fu fenicio, il concetto greco, il diritto romano, il monoteismo semita, l’ingegno punico, la munificenza bizantina, la scienza araba, la potenza ottomana, la coesistenza andalusa, la sensibilità italiana, l’avventura catalana, la libertà francese e l’eternità egiziana.”.

*Ammiraglio di Squadra (r)

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