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Ecco all’attenzione dei nostri lettori la Sentenza del Consiglio di Stato pubblicata il 15/03/2017 che ancora una volta stabilisce che Tuvixeddu non può essere il giardino archeologico o il cortile di un condomino. Gli deve essere riconosciuto tutto il valore paesaggistico che, malgrado le distruzioni, ancora conserva. La Sentenza qui di seguito conferma la bontà di quanto fu stabilito nel corso della XIII Legislatura da una Giunta regionale che ebbe il coraggio di assumersi la responsabilità di restituire valore identitario al paesaggio sardo ed alle sue componenti fondanti così come richiede la Costituzione all’art.9. Questa Sentenza ha tanto più valore oggi in quanto nuvole nere si addensano sul territorio della Sardegna con una Legge Urbanistica che si sospetta sia solo portatrice di milioni di metri cubi di cemento. (NdR).
101183/2017REG.PROV.COLL. N. 02820/2013 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2820 del 2013, proposto da:
Nuova Iniziative Coimpresa S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Marcello Vignolo, Massimo Massa, con domicilio eletto presso lo studio Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104;
contro Regione Autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandra Camba, Sandra Trincas, Federico Sorrentino, con domicilio eletto presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Sarda in Roma, via Lucullo 24; Dirigente del Servizio tutela paesaggistica della Regione autonoma della Sardegna; Prov. Cagliari e Carbonia-Iglesias; Soprintendenza per i beni architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed etnoantropologici per le province di Cagliari e Oristano; Comune di Cagliari non costituiti in giudizio;
Ministero per i beni e le attivita’ culturali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;nei confronti di Italia Nostra Onlus non costituita in giudizio;
per la riforma della sentenza del TAR Sardegna, sezione II 15 gennaio 2013 n°33, resa fra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso per l’annullamento della determinazione 1 febbraio 2012 n.464 della Regione Sardegna, di diniego del rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica per il completamento delle opere di urbanizzazione primaria nell’ambito del progetto di riqualificazione urbana e ambientale dei colli di Sant’Avendrace a Cagliari, degli atti 1 febbraio 2012 prot. n. 1919 e 10 giugno 2011 prot. n. 10511 della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Cagliari ed Oristano, di espressione del parere negativo e di preavviso dello stesso, dell’atto 1 settembre 2010 prot. n. 187591 del Comune di Cagliari, di trasmissione degli atti alla Regione, della nota 29 luglio 2011 n. 44941 e della relazione tecnica illustrativa della Regione Sardegna;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione autonoma della Sardegna e del Ministero per i beni e le attività culturali; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2017 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Vignolo e Sorrentino, e l’avvocato dello Stato Pio Marrone.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO. L’area dei colli di Sant’Avendrace, nel centro urbano di Cagliari, è un’area libera dall’approssimativa forma di trapezio, delimitata in senso orario da nord dalle vie Montello, Is Maglias, dei Punici e dal viale Sant’Avendrace.
L’area riveste importanza storica e culturale poiché comprende il colle Tuvixeddu, ove si trova la più grande necropoli punica tuttora esistente; nonostante ciò, nel secolo scorso fu utilizzata per realizzarvi una cava ed una cementeria, oggi inattive, collegate con il resto della città da una strada in trincea, nota anche ora come “canyon”, che operò uno sventramento del colle originario, suddiviso così in due colline distinte, ovvero la sua restante parte, affacciata sul viale Sant’Avendrace, e una collina nuova, detta Tuvumannu, affacciata invece sulla via Is Maglias (fatti da ritenere localmente notori).
Ciò posto, negli ultimi decenni, l’area in questione è stata al centro di interventi di due diversi tipi. Da un lato, per iniziativa pubblica, sono stati emanati provvedimenti di vincolo ampiamente inteso, volti alla sua salvaguardia. Dall’altro, per iniziativa privata, è stata progettata la sua trasformazione in un quartiere di abitazioni, in termini asseritamente rispettosi dei vincoli imposti, fra i quali assumono rilievo ai fini di causa i due di cui subito si dirà.
Per quanto qui interessa, infatti, il primo vincolo rilevante, che riguarda l’area nel suo complesso, viene imposto ai sensi dell’art. 2 della l. 29 giugno 1939 n.1497 in conformità alla deliberazione 16 ottobre 1997 della Commissione provinciale di tutela delle bellezze naturali di Cagliari (doc. 8 in primo grado ricorrente appellante, verbale in questione).
Parallelamente, alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, la ricorrente appellante intraprende i passi necessari per edificare l’area, elaborando una serie di progetti che sottopone successivamente all’esame dell’amministrazione.
In particolare, alla fine degli anni ’90, la ricorrente appellante arriva a predisporre un Piano integrato d’area – PIA denominato “CA17 Sistema dei colli”, che accanto alle costruzioni prevede un parco archeologico ed è corredato di un ulteriore elaborato, denominato “Progetto Norma”, comprendente tutte le prescrizioni per realizzare il progetto, ovvero in sintesi volumetrie, altezze, nonché tipologie costruttive, infrastrutture e servizi previsti (doc. 61 in primo grado ricorrente appellante, elaborato relativo).
Per il progetto composto dal PIA CA17 e dal Progetto Norma, la ricorrente appellante ottiene l’autorizzazione paesaggistica, richiesta a causa del vincolo imposto nel 1997, come da provvedimento 27 maggio 1999 prot. n.3015 dell’Assessorato regionale alla pubblica istruzione ed ai beni culturali (doc. 12 in primo grado ricorrente appellante).
Munita di tale autorizzazione, la ricorrente appellante conclude poi il giorno 15 settembre 2000 un primo accordo di programma con la Regione, il Comune di Cagliari ed altri privati, proprietari di parte dei terreni, allo scopo di programmare l’attuazione del progetto complessivo e di coordinarla con le amministrazioni (doc. 9 in primo grado ricorrente appellante, accordo in questione); di seguito, il giorno 3 ottobre 2000, la stessa ricorrente appellante conclude un accordo di programma ulteriore, relativo alla specifica attuazione del PIA CA17 (doc. 14 in primo grado ricorrente appellante, accordo citato).
In base a tali accordi, la ricorrente appellante predispone anzitutto il progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione primaria previste, per le quali ottiene dapprima l’autorizzazione paesaggistica, sempre necessaria in base al vincolo del 1997, all’esito delle conferenze di servizi 17 maggio e 27 maggio 2002, poi l’approvazione del progetto esecutivo con deliberazione della Giunta comunale di Cagliari 20 febbraio 2003 n.91, e infine la concessione edilizia 20 gennaio 2006 n.56 (doc ti in primo grado 17-19 e 42 ricorrente appellante, verbali conferenza, delibera di Giunta e concessione).
Nel contempo, viene introdotto il secondo dei vincoli rilevanti, quello imposto dal Piano paesaggistico regionale – PPR, approvato con deliberazione della Giunta regionale 5 settembre 2006 n.36, che riguarda in sostanza la stessa area vincolata nel 1997 e nello specifico dispone, all’art. 49 delle norme tecniche di attuazione – NTA, in sintesi l’area sia in linea di principio inedificabile e che la sua regolamentazione definitiva sia rimessa ad un intesa fra Comune e Regione, la quale deve comunque prevedere fasce di tutela integrale e di tutela condizionata.
Su quest’ultimo vincolo, impugnato avanti il Giudice amministrativo, interviene in primo grado una pronuncia di annullamento, con sentenza TAR Sardegna 13 dicembre 2007 n.2241, riformata in appello da C.d.S. sez. VI 25 gennaio 2011 n.1366,
Come si vedrà, la concreta efficacia delle sentenze citate è controversa in causa, ed è rilevante ai fini del decidere; è comunque un fatto storico incontroverso che, nelle more del relativo contenzioso, la ricorrente appellante non completa l’esecuzione del proprio progetto.
Si arriva quindi al giorno 28 luglio 2010, data in cui la ricorrente appellante presenta al Comune di Cagliari un’istanza nella quale formula una richiesta principale e una richiesta subordinata (doc. 43 in primo grado ricorrente appellante, istanza).
In via principale, la ricorrente appellante, ad un dichiarato scopo precauzionale, richiede un’attestazione della “perdurante vigenza” della pregressa autorizzazione paesaggistica 27 maggio 2002, per una serie di ragioni che espone in dettaglio, e di cui si dirà nei limiti della loro rilevanza ai fini del decidere.
In via subordinata, la stessa ricorrente appellante, nel caso in cui si ritenga cessata la validità dell’autorizzazione pregressa, ne chiede una nuova, relativa alle medesime opere di urbanizzazione (per tutto ciò, si veda la motivazione della sentenza impugnata alle pp. 14-15).
A tale istanza, trasmessa dal Comune alla Regione, ritenuta competente a pronunciarsi, è stato risposto con un diniego, espresso negli atti di cui in epigrafe (doc. ti in primo grado ricorrente appellante da 1 a 6, determinazione regionale 464/2012, parere negativo della Soprintendenza, prediniego richiamato nella motivazione, nota di trasmissione alla Regione, nota regionale di accompagnamento alla relazione e relazione).
Con la sentenza di cui pure in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso presentato contro tali atti, ritenendo in estrema sintesi che l’efficacia dell’originaria autorizzazione paesaggistica più non sussistesse, che competente a pronunciarsi sull’istanza di nuovo rilascio fosse effettivamente la Regione, autrice dell’atto, e che il diniego fosse stato legittimamente pronunciato.
Contro tale sentenza, l’originaria ricorrente propone ora impugnazione, con appello contenente nove motivi, che ripropongono in parte i motivi già dedotti in primo grado e si riassumono così come segue:
– con il primo di essi, critica la sentenza impugnata per aver ritenuto cessata l’efficacia dell’originaria autorizzazione paesaggistica del 2002; sostiene in proposito che il provvedimento di diniego impugnato non avrebbe contenuto una motivazione sul punto, e che comunque l’efficacia si sarebbe dovuta ritenere sussistente;
– con il secondo motivo, ripropone il motivo di violazione dell’art. 46 comma 2 d. lgs. 27 dicembre 2002 n.327, e sostiene che la perdurante efficacia dell’autorizzazione originaria si sarebbe dovuta ritenere anche in base a questa norma, per cui l’autorizzazione paesaggistica rilasciata per opere di pubblica utilità, quali sarebbero quelle di suo interesse, è valida sino ad ultimazione dei lavori che siano incominciati nel quinquennio dal rilascio, come nella specie sarebbe avvenuto;
– con il terzo motivo, critica la sentenza impugnata per aver ritenuto che sulla propria istanza la competenza a pronunciarsi spettasse alla Regione, in asserita violazione della norma dell’art. 3 l.r. 12 agosto 1998 n.28, che ha delegato tali competenze ai Comuni;
– con il quarto complesso motivo, critica ancora la sentenza impugnata per aver ritenuto effettivamente sussistente sull’area in questione il vincolo paesaggistico allegato dall’amministrazione per motivare il diniego di rinnovo;
– con il quinto motivo, critica per altro verso la sentenza impugnata per aver ritenuto che il rinnovo, anche nel caso di sussistenza del vincolo, non potesse essere giustificato in base ad una norma diversa, l’art. 15 delle norme di attuazione- NTA al PPR;
– con il sesto motivo, ripropone il motivo di violazione dell’art. 8 della l.r. 25 novembre 2004 n.8, per cui “I Piani urbanistici comunali, approvati alla data di pubblicazione della deliberazione G.R. 10 agosto 2004 n.33/1 (Provvedimenti cautelari e d’urgenza per la salvaguardia e la tutela del paesaggio e dell’ambiente della Sardegna), conservano la loro validità ed efficacia in termini attuativi e di esecutività, purché non successivamente modificati”. A suo dire, sulla base di tale norma transitoria, approvata com’è noto come prodromica alla redazione del piano paesaggistico regionale, il rinnovo si sarebbe dovuto accordare;
– con il settimo motivo, ripropone il motivo in cui contesta la qualificazione giuridica, prospettata dalla Soprintendenza, dell’autorizzazione paesaggistica 3015/1999
– con l’ottavo motivo, ripropone il motivo di difetto di motivazione da parte della Soprintendenza, che non avrebbe esaminato le proprie osservazioni presentate dopo il prediniego;
– con il nono motivo, infine, ripropone la censura di eccesso di potere rivolta contro la motivazione del diniego di proroga
Nello stesso ricorso (atto, pp. 58-59) la ricorrente appellante propone, sotto l’intestazione “motivi di appello” e prima dei motivi espressamente qualificati come di diritto, anche un motivo in fatto, rubricato sotto “A”, in cui critica due affermazioni della sentenza di primo grado.
In particolare, critica la sentenza per aver affermato (p. 6 righe ottava e nona) che dopo l’intervento di due sentenze del Giudice amministrativo – ovvero, TAR Sardegna 8 febbraio 2008 n.127 e la decisione di conferma C.d.S. sez. VI 4 agosto 2008 n.3894, di cui si dirà- l’area fosse priva di vincoli di notevole interesse pubblico
Critica ancora la sentenza per aver ritenuto, a p. 7 secondo periodo, la natura di piano attuativo del citato Progetto Norma.
Hanno resistito l’amministrazione dello Stato, con atto 29 aprile 2013 e la Regione Sardegna, con memoria 11 luglio 2013, ed hanno chiesto che il ricorso sia respinto, difendendo la motivazione della sentenza appellata sui relativi punti. La Regione ha altresì proposto appello incidentale, riproponendo l’eccezione di inammissibilità del ricorso già formulata in primo grado In tal senso, ipotizzato che fonte del vincolo ostativo alla proroga dell’autorizzazione paesaggistica sia la decisione del C.d.S. 1396/2011 di cui si è detto, e posto che, come affermerebbe la ricorrente appellante, essa sia in contrasto con precedenti giudicati, la Regione afferma che la ricorrente appellante avrebbe dovuto impugnarla nel termine proponendo il relativo motivo di revocazione, e non avendolo fatto non potrebbe ricorrere in questa sede, perché vincolata dal giudicato relativo.
Da ultimo, con memorie 23 dicembre 2016 per la ricorrente appellante e per la Regione, e 24 dicembre 2016 per l’amministrazione dei Beni culturali, nonché con repliche 5 gennaio 2017 per la ricorrente appellante e per la Regione, le parti hanno ribadito le proprie asserite ragioni.
All’udienza del giorno 26 gennaio 2017, la Sezione ha infine trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
- Si prescinde dall’esame dell’eccezione preliminare riproposta nell’appello incidentale della Regione, come in premesse, perché l’appello principale è infondato nel merito, per le ragioni di seguito esposte.
- Va premesso per chiarezza che il motivo di impugnazione rubricato con la lettera A a p. 58 del ricorso, e qualificato, nei termini di cui in premesse, come motivo concernente il fatto, in realtà non è tale, nel senso che non riguarda il fatto, e nemmeno costituisce un motivo a sé stante.
- Come risulta a semplice lettura, esso contiene propriamente una critica non della ricostruzione del fatto storico operata dal Giudice di primo grado, ma piuttosto delle valutazioni in proposito espresse, ovvero delle affermazioni per cui i vincoli sull’area sarebbero venuti meno dopo una data pronuncia giurisprudenziale, e per cui il Progetto Norma avrebbe avuto un certo valore giuridico piuttosto che un altro, e tali questioni sono di diritto. Esse peraltro rappresentano un’illustrazione ulteriore di quelle più ampie oggetto, rispettivamente, del primo e del quarto motivo d’appello, e vanno trattate nell’ambito relativo.
- Ciò posto, si esamina anzitutto il terzo motivo, che assume priorità logica perché prospetta un vizio di competenza, il quale notoriamente assume carattere pregiudiziale rispetto ad ogni altro e, una volta accertato, ne preclude senz’altro la valutazione, come ritenuto fra le molte da C.d.S. sez. IV 12 dicembre 2006 n.7271. Nel caso concreto, però, il motivo è infondato e l’incompetenza non sussiste.
- Per chiarezza, si riporta il testo della norma invocata dalla ricorrente appellante, ovvero l’art. 3 comma 1 lettera c) della l. r. 28/1998, di delega ai Comuni delle competenze in tema di tutela paesistica trasferite alla Regione: “Sono rilasciate dall’organo comunale competente per territorio, nel rispetto del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n.42… e successive modifiche ed integrazioni, le autorizzazioni paesaggistiche relative a: … c) gli interventi previsti negli strumenti di attuazione di cui all’articolo 21 della legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale), approvati ai sensi dell’articolo 9, comma 5…”
- Come s’è detto, la norma opera una delega di poteri che in origine spettano alla Regione. Coerente con la premessa è quindi l’art. 9, per cui “Le istanze riguardanti i provvedimenti relativi ad oggetti diversi da quelli delegati dall’art. 3 sono inviate dal comune al competente Ufficio tutela del paesaggio…” ovvero rimangono di competenza regionale, in coerenza con il principio generale per cui in presenza di una delega, per sua natura circoscritta a oggetti determinati, nei casi dubbi si ritorna alla competenza originaria del delegato.
- Nel caso di specie, l’istanza presentata dalla ricorrente appellante non era un’ordinaria istanza di rilascio di autorizzazione paesaggistica, ma, in base a quanto detto in premesse, riguardava un “oggetto diverso”, e quindi correttamente il Comune che la ricevette la trasmise all’Ufficio regionale che si è pronunciato nel merito.
- Il punto richiede una serie di precisazioni. Come ricordato in narrativa, già la lettera dell’istanza non si limitava a chiedere il rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica, che anzi è oggetto solo di una richiesta in via subordinata: in via principale, l’istanza chiedeva una “attestazione” di perdurante vigenza dell’autorizzazione già rilasciata, il che anche a prima vista è qualcosa di diverso.
- In generale, però, su una richiesta di quest’ultimo tipo isolatamente considerata non sarebbe possibile ottenere una pronuncia. L’amministrazione non è titolare di un potere di accertamento dell’attuale efficacia giuridica di un proprio precedente provvedimento, nella specie di un’autorizzazione. All’evidenza, infatti, si tratterebbe di un potere diverso da quello certificatorio, che, sempre in generale, riguarda fatti storici di cui l’amministrazione sia a conoscenza, e non situazioni giuridiche.
- Di conseguenza, il privato che si trovi di fronte ad un’obiettiva incertezza sull’attuale efficacia dell’autorizzazione di cui sia titolare, per fare chiarezza deve seguire il percorso indiretto nella specie intrapreso dalla ricorrente appellante e presentare una richiesta complessa: sul presupposto che una proroga dell’atto sia possibile, deve richiederla, affermando però che essa non sarebbe dovuta né necessaria, a fronte dell’efficacia dell’atto precedente.
- A fronte di un’istanza così concepita sono possibili due risposte. O un non luogo a provvedere, perché effettivamente il privato già dispone del bene della vita richiesto, ovvero di un’autorizzazione efficace. Oppure, una pronuncia positiva, ovvero come nella specie negativa, sull’istanza di proroga, la quale in ogni caso presuppone che l’originaria autorizzazione non sia più efficace. In tutti i casi però l’amministrazione si pronuncia non solo su un semplice rilascio, che sarebbe di competenza comunale, ma anche sulla questione pregiudiziale ulteriore, relativa all’autorizzazione precedente, e ciò porta alla competenza della Regione, relativa agli “oggetti diversi”.
- Ciò posto, vanno ora esaminati congiuntamente, in quanto connessi, il primo, il secondo motivo e il settimo motivo, che riguardano il contenuto implicito del diniego di rilascio di una nuova autorizzazione, ovvero la questione della perdurante efficacia dell’autorizzazione precedente. In altre parole, attraverso i motivi indicati, la ricorrente appellante assume che la risposta dell’amministrazione sarebbe dovuta essere un “non luogo a provvedere” nei termini spiegati, il che le avrebbe consentito, ovviamente, di eseguire i lavori di proprio interesse. I motivi in questione risultano però tutti infondati.
- Nei termini appena spiegati, il provvedimento regionale di diniego 464/2012 assume secondo logica sia un contenuto esplicito, ovvero il diniego dell’autorizzazione richiesta, sia un contenuto implicito, ovvero l’affermazione che una nuova autorizzazione è effettivamente necessaria, perché quella precedente ha perso efficacia.
- In proposito, si deve allora subito escludere che l’affermazione implicita sia immotivata, come sostiene la ricorrente appellante all’interno del primo motivo. Vale infatti quanto già affermato dal Giudice di primo grado (p. 33 § 2.4 della sentenza), ovvero che le valutazioni negative espresse sull’istanza sono “di tenore così radicale ed onnicomprensivo (si è ritenuto, in sostanza, che l’intera area vincolata sia allo stato quasi immodificabile…) da giustificare ampiamente (non solo la mancata proroga ma anche) l’attuale inefficacia dell’originaria autorizzazione”.
- Altro è chiedersi, così come in sostanza fa la ricorrente appellante nel residuo del primo motivo e negli altri due motivi, secondo e settimo, in esame, se tale motivazione sul punto sia corretta, e ad avviso del Collegio la risposta deve essere positiva.
- La ricorrente appellante, come si è detto in premesse, era titolare di due distinti atti costituenti a suo dire autorizzazioni paesaggistiche. Il primo, in ordine di tempo, è quello di cui al provvedimento dell’assessore 27 maggio 1999 prot. n.3015, rilasciato dichiaratamente ai sensi dell’art. 12 della l. 29 giugno 1939 n.1497, nonché dell’art. 6 del D.P.R. 22 maggio 1975 n.480, ovvero della norma di attuazione dello Statuto sardo, che trasferisce alla Regione autonoma le funzioni allora spettanti al Ministero dell’Istruzione.
- L’art. 12 l. 1497/1939 dispone alla lettera che “L’approvazione dei piani regolatori o d’ampliamento dell’abitato deve essere impartita, quanto ai fini della presente legge, di concerto con il Ministro della educazione nazionale.” Il senso del richiamo alla norma, peraltro, si comprende in base all’art. 9 comma 5 della l.r. 28/1998, per cui “L’approvazione da parte dell’Assessore regionale della pubblica istruzione, prevista dall’art. 12 della legge n. 1497 del 1939, è necessaria anche per gli strumenti urbanistici previsti dall’art. 21 della legge regionale n. 45 del 1989.” A sua volta, l’art. 21 citato si riferisce a tutti gli “strumenti di attuazione del piano urbanistico comunale”, dai “piani particolareggiati” alle singole “concessioni e autorizzazioni edilizie”.
- Ciò posto, se si legge la motivazione del provvedimento (doc. 12 in primo grado ricorrente appellante, cit.), si ricava che esso si riferisce sia al PIA CA 17 sia al Progetto Norma, ed anzi considera le prescrizioni di quest’ultimo come “parte integrante” del provvedimento. Sotto questo profilo, pertanto, il rilievo svolto dalla ricorrente appellante non va condiviso: il Progetto Norma, quale che ne fosse il valore nell’intenzione di chi lo presentò all’amministrazione, è stato trattato da quest’ultima come parte integrante del PIA attuativo su cui si è provveduto.
- L’autorizzazione, meglio detto approvazione, di cui al provvedimento 3015/1999 è quindi relativa, senz’altro, ad un piano particolareggiato attuativo del piano urbanistico comunale, e come tale, così come osservato anche dal Giudice di primo grado, aveva la stessa efficacia decennale del piano approvato, in base alla regola generale di cui agli artt. 16 comma 5 e 17 comma 1 della l. 17 agosto 1942 n.1150: sul punto, si veda anche C.d.S. sez. IV 27 aprile 2015 n.2109. L’approvazione, quindi, veniva a scadere al massimo al 27 maggio 2009.
- Il secondo atto di cui la ricorrente appellante era titolare era l’autorizzazione paesaggistica relativa non al piano complessivo, ma alle sue opere di urbanizzazione, rilasciata all’esito della conferenza di servizi del 27 maggio 2002. Secondo logica, si tratta di un’autorizzazione relativa ad un singolo intervento, rilasciata ai sensi delle norme allora vigenti, ovvero dell’art. 151 del d.lgs. 29 ottobre 1999 n.490 e dell’art. 16 del R.D. 3 giugno 1940 n.1357, regolamento attuativo mantenuto in vigore con riferimento al d.lgs. 490/1999 dall’art. 161 comma 2 di esso.
- Ai sensi dell’art. 16 comma 4 del regolamento, “L’autorizzazione vale per un periodo di cinque anni, trascorso il quale, l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione”; di conseguenza, questa autorizzazione veniva a naturale scadenza il 27 maggio 2007.
- Solo per completezza, si ricorda che le norme citate, ora abrogate, sono state sostituite dall’art. 146 del d. lgs. 22 gennaio 2004 n.42, di contenuto identico. Pertanto, valgono anche per il caso di specie tutti i principi elaborati dalla giurisprudenza con riguardo a quest’ultima norma.
- Da quanto si è appena detto, discende che il giorno 28 luglio 2010, di presentazione della nuova istanza, secondo le norme comuni tutti i titoli paesaggistici in possesso della ricorrente appellante sarebbero stati scaduti; a rigore, quindi, non vi sarebbe stata autorizzazione alcuna di cui affermare la “perdurante vigenza”. Per sostenere il contrario, la ricorrente appellante ha invocato tre distinte argomentazioni, nessuna delle quali però, ad avviso del Collegio, è corretta: si condividono in proposito le conclusioni del Giudice di primo grado.
- Con la prima argomentazione, la ricorrente appellante ha sostenuto, nelle parole della sentenza impugnata, che l’autorizzazione paesaggistica del 2002 sarebbe tuttora efficace, “potendo mutuare da quella del 1999 la sua durata decennale”, ovvero, il che è lo stesso, che l’autorizzazione del 2002 sarebbe meramente confermativa del primo provvedimento, l’approvazione 3015/1999, come si sostiene a p. 63 diciassettesimo rigo dell’appello. Se così fosse, l’efficacia dell’autorizzazione sarebbe venuta a scadere naturalmente al 27 maggio 2012, ovvero dopo la presentazione dell’istanza.
- Tale assunto non è fondato. L’affermazione per cui un provvedimento potrebbe mutuare, ovvero prendere a prestito, il termine di efficacia da un altro è evidentemente solo descrittiva di un risultato. Si deve invece verificare, in base ad una sua corretta qualificazione, quale fosse l’efficacia propria, se quinquennale ovvero decennale, del provvedimento reso all’esito della conferenza di servizi 27 maggio 2002.
- La tesi della ricorrente appellante, correttamente interpretata, è nel senso che non si sarebbe trattato di un’autorizzazione relativa ad un singolo intervento, di durata come s’è visto quinquennale, ma di una approvazione analoga a quella espressa dal provvedimento 3105/1999, e a sostegno afferma che ciò si desumerebbe dal fatto che l’oggetto del primo provvedimento includerebbe il secondo, ovvero l’autorizzazione ad eseguire le opere di urbanizzazione.
- In proposito, allora si osserva che sotto questo profilo è irrilevante la qualificazione -oggetto del settimo motivo, che quindi va respinto- del provvedimento 3105/1999, che rileva non già per la sua efficacia giuridica, ma come termine storico di paragone. In altre parole, la questione rilevante è il valore da assegnare al solo provvedimento 27 maggio 2002
- La tesi, così riformulata, non va condivisa. La durata decennale delle approvazioni del tipo di quella contenuta nel provvedimento 3105/1999 deriva dal loro oggetto particolare, ovvero sussiste quando esse riguardino, come in quel caso, un piano attuativo, per il quale valgono le già ricordate norme degli artt. 16 e 17 l. 1150/1942.
- All’evidenza diverso è l’oggetto dell’autorizzazione 27 maggio 2002: Essa riguarda le sole opere di urbanizzazione -che del piano attuativo sono una parte, e rappresentano quindi, nel suo contesto, un singolo intervento- ed ha pertanto efficacia quinquennale, ai sensi del ricordato art. 16 del regolamento.
- Neppure si può sostenere che una durata decennale deriverebbe dalla presunta natura “meramente confermativa” della seconda autorizzazione. In primo luogo, così ritenendo le si assegnerebbe un’efficacia di proroga dell’originaria approvazione, efficacia che è estranea al concetto di atto meramente confermativo.
- In secondo luogo, va ricordato che secondo la giurisprudenza, per tutte la sentenza 23 novembre 2011 n.6156 di questa Sezione l’autorizzazione paesaggistica relativa al piano nel suo complesso e quella relativa al singolo intervento, hanno ciascuna una funzione specifica, sì che la presenza della prima non vincola il rilascio della seconda, e quindi, a maggior ragione, non può comportarne una maggior efficacia temporale.
- Con la seconda argomentazione, la ricorrente appellante ha ancora sostenuto che, ferma la naturale durata di cinque anni dell’autorizzazione 27 maggio 2002, il termine stesso si sarebbe dovuto ritenere in qualche misura prorogato, per effetto del tempestivo inizio delle opere – che come fatto storico è incontestato.
- In proposito, si deve anzitutto ribadire quanto affermato dal Giudice di primo grado, ovvero che l’autorizzazione paesaggistica, allo scadere del quinquennio di sua durata perde automaticamente efficacia, senza che rilevino impedimenti di sorta, anche di carattere assoluto come la forza maggiore, ad ultimare le opere di cui si sia iniziata la realizzazione: così la costante giurisprudenza, e fra le sentenze della Sezione, per tutte 29 gennaio 2015 n.414 e 15 maggio 1984 n.254.
- Quanto sopra esaurisce i contenuti del primo motivo. La ricorrente appellante, nel secondo motivo, che costituisce la terza delle sue argomentazioni sul punto, ha poi per altro verso sostenuto che una proroga dell’autorizzazione paesaggistica 27 maggio 2002 si sarebbe prodotta per effetto dell’art. 46 comma 2 del d.lgs. 8 giugno 2001 n.327, per cui “Dal rilascio del provvedimento di autorizzazione paesistica e sino all’inizio dei lavori decorre il termine di validità di cinque anni previsto dall’articolo 16 del R.D. 3 giugno 1940 n.1357, dell’autorizzazione stessa. Qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio, l’autorizzazione si considera valida per tutta la durata degli stessi”.
- In proposito si osserva che la norma è dettata per opere pubbliche, o di interesse pubblico, unitariamente qualificabili come tali, e non per il caso di specie, che riguarda parti di un più ampio progetto di interesse privato, ancorché si tratti di parti che un interesse pubblico in senso ampio lo possono rivestire, come nel caso delle opere di urbanizzazione. Ritenendo diversamente, il termine di durata massima dell’autorizzazione paesaggistica si applicherebbe ben di rado, e sarebbe in sostanza eluso, perché sono molto frequenti i progetti di pacifico interesse privato che prevedono di eseguire anche opere di urbanizzazione, e che quindi, nella linea di pensiero che si critica, potrebbero avvantaggiarsi di un’autorizzazione di durata illimitata.
- Sempre seguendo l’ordine logico, si deve ora esaminare il quarto motivo, che riguarda il contenuto esplicito del diniego, motivato in estrema sintesi, come si è detto in premesse, con la sussistenza del vincolo di cui all’art. 49 delle NTA del PPR. Il motivo è incentrato sull’asserita insussistenza di questo vincolo, che sarebbe stato eliminato dal mondo del diritto per effetto delle sentenze del Giudice amministrativo di cui subito, ma risulta infondato.
- Nell’ordine la ricorrente cita a proprio favore anzitutto la sentenza del TAR Sardegna 2241/2007, che come si è detto in premesse ha annullato in primo grado il vincolo di cui si discute. Non nega che tale sentenza sia riformata in appello dalla sentenza 3 marzo 2011 n.1366 di questa Sezione, offre però della vicenda processuale una lettura propria, di segno opposto a quella del Giudice di primo grado. In proposito, vale quanto segue.
- La sentenza 1366/2011, come risulta a lettura del dispositivo, semplicemente “accoglie l’appello in epigrafe”. Quale fosse poi il contenuto dell’appello in questione” lo si legge in motivazione: “Con l’appello principale in epigrafe, proposto dalla Regione Sardegna, è stata chiesta la riforma della sentenza di primo grado limitatamente alla parte in cui ha accolto i motivi nn. 23, 24 e 25 (gli ultimi due contenuti nei primi motivi aggiunti) con i quali il Comune di Cagliari aveva dedotto il difetto d’istruttoria e di motivazione, oltre che l’illogicità delle previsioni del piano che avevano previsto, per il colle di Tuvixeddu-Tuvumannu, (per un’area di 50 ettari), dapprima, in sede di adozione del piano, che fosse classificata tra le “aree funerarie dal preistorico all’alto medioevo”, poi (in sede di approvazione) come rientrante tra le “aree caratterizzate da preesistenze con valenza storico culturale”, assoggettandola alla disciplina di cui all’art. 49 delle Norme Tecniche di Attuazione (di seguito: NTA) del piano stesso”.
- Per completezza, si ripete il contenuto dei motivi 23, 24 e 25, come riassunti dalla sentenza di primo grado, che li aveva invece accolti: “Deduce, il comune interessato, con i motivi 23, 24 e 25 (gli ultimi due aggiunti) difetto di istruttoria, difetto di motivazione e illogicità, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 143, comma 1, lett. b) e dell’art. 142, comma 1 lett. m) del d. lgs. 42/2004. Assume, parte ricorrente, in relazione al colle di Tuvixeddu, che il PPR avrebbe classificato l’intera estensione di circa 50 ettari interessata dagli Accordi di programma, come “aree funerarie dal preistorico all’alto medioevo”, mentre l’area avente tali caratteristiche sarebbe limitata ad un perimetro di circa 10 ettari. Ne deriverebbe l’obbligo di sottostare alle prescrizioni di salvaguardia di cui all’art. 48 e segg. anche per aree non aventi la natura di bene paesaggistico. Nei motivi aggiunti, il comune precisa che il bene paesaggistico perimetrato ex novo sarebbe stato definito come “Area caratterizzata da preesistenze con valenza storico culturale” all’interno della più vasta categoria delle “Aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale”. Intanto, sempre a detta dell’interessato, tale classificazione non esiste nell’elenco di cui all’art. 48 delle NTA, quindi, sembrerebbe, l’area in questione, collocabile nella definizione di cui al comma 1 lett. a.3 fra le “aree funerarie dal preistorico all’alto medioevo” (classificazione attribuita all’area nella prima versione del PPR adottato il 24 maggio 2006) e, in ogni caso, l ’area funeraria, presente sul colle, interessa solo circa 10 ettari ed era stata già rigorosamente tutelata e completamente inclusa nel parco archeologico e museale di circa 20 ettari, previsto dagli accordi di programma; la nuova classificazione attribuita rende tutta l’area in questione sottoposta all’acquisizione del nulla osta archeologico, anche per l’edificazione sulla parte in precedenza non interessata dal vincolo. Inoltre, conclude il ricorrente, ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. b), del codice Urbani, il piano paesaggistico si deve limitare a riprodurre, con processo meramente ricognitivo, le aree archeologiche già individuate (art. 142, comma 1 lett. m), senza potere indicarne delle nuove. L’amministrazione intimata invoca, a sostegno della delimitazione contestata, l’art. 143, comma 1, lett. i) del codice Urbani, secondo il quale la regione può autonomamente individuare e tipizzare immobili ed aree diversi da quelli indicati agli art. 136 e 142, da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione.”
- A lettura completa delle due sentenze, emerge che sostanzialmente l’unica questione decisa riguardante l’area di Tuvixeddu-Tuvumannu è proprio quella riassunta nei passi citati per intero, relativa al vincolo di cui all’art. 49 NTA. E’ pertanto corretto concludere che il vincolo in questione, imposto dall’atto amministrativo e annullato dal Giudice di primo grado, è stato ripristinato dalla decisione di secondo grado, che accogliendo l’appello ha eliminato dal mondo del diritto i capi della sentenza impugnata i quali il vincolo interessavano. L’esistenza del vincolo, pertanto, ne viene ribadita.
- Per completezza, si aggiunge che altre sentenze citate nella sentenza di primo grado e nell’atto di appello non hanno, come correttamente ritenuto dal TAR, rilevanza ai fini del decidere.
- La sentenza TAR Sardegna sez. II 26 gennaio 2009 n.84 ha un contenuto in parte estraneo all’oggetto di questo giudizio, in parte per esso ininfluente. Leggendo il dispositivo, infatti, si ricava che essa in parte accoglie il ricorso, e annulla una delle NTA del PPR, l’art. 15 comma 4, che riguarda materia estranea alla causa, per il resto dichiara il ricorso improcedibile, con decisione di contenuto meramente processuale, che in nulla influenza gli atti dell’amministrazione.
- Le sentenze TAR Sardegna sez. II 8 febbraio 2008 n.127 e C.d.S. sez. VI 4 agosto 2008 n.3894, che conferma il primo grado riguardano a loro volta una vicenda diversa, ovvero il tentativo, che non ebbe esito, della Regione di avviare il procedimento per imporre sull’area un vincolo ulteriore, diverso da quello per cui è causa.
- Da ultimo, sulle sentenze TAR Sardegna sez. II 18 febbraio 2009 nn. 541 e 542, di annullamento dei decreti della Soprintendenza i quali avevano annullato due autorizzazioni paesaggistiche sempre rilasciate alla ricorrente appellante, relative alla costruzione di immobili residenziali sempre nell’area di Tuvixeddu- Tuvumannu, hanno pronunciato in grado di appello le sentenze della Sezione 5 febbraio 2010 n.538 e 15 marzo 2010 n.1491
- La prima di esse, la 538/2010, nel dispositivo reca “definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto innanzi al TAR”. Ciò basta ad affermare che, all’esito del processo, nessun mutamento giuridico si è prodotto, nel senso che tutti gli atti dell’amministrazione impugnati si sono conservati inalterati. Nessun effetto quindi la vicenda processuale, quali che ne fossero i contenuti, ha avuto sugli atti dell’amministrazione.
- La seconda sentenza, la 1491/2010, dispone soltanto “accoglie il ricorso”, ma l’esito finale è lo stesso di cui s’è detto sopra. Esaminando la motivazione, si rileva infatti che: “va … accolto il gravame con conseguente annullamento della sentenza impugnata”, che era di accoglimento del ricorso. Anche in questo caso, quindi, la vicenda processuale lascia intatti gli atti dell’amministrazione.
- Di seguito, vanno esaminati i motivi quinto e sesto, i quali presuppongono la giuridica esistenza del vincolo di cui all’art. 49 NTA, ma sostengono che esso non rileverebbe per il caso in esame, perché superato da disposizioni prevalenti. In quanto sottendono la stessa logica, essi vanno esaminati congiuntamente e risultano entrambi infondati.
- Come si è detto, i motivi in questione sostengono che la norma vincolistica dell’art. 49 NTA, contenuta come detto in premesse in un piano paesaggistico, non si applicherebbe perché derogata da altre norme, identificate nell’art. 15 comma 3 delle stesse NTA di piano, su cui è incentrato il quinto motivo, ovvero nell’art. 8 della l.r. 8/2004.
- La prima norma dispone che “Per i Comuni dotati di PUC approvato” ai sensi della legge regionale in materia “nelle medesime zone C, D, F e G possono essere realizzati gli interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi purché approvati e con convenzione efficace alla data di adozione del Piano Paesaggistico Regionale”. La seconda norma dispone, come ricordato in premesse, l’ultrattività rispetto alle disposizioni di salvaguardia dei piani urbanistici comunali già approvati prima della loro entrata in vigore. Nell’uno come nell’altro caso, ne seguirebbe che il vincolo in questione non si applicherebbe, perché le opere per cui è causa si inseriscono, pacificamente, in un piano attuativo preesistente.
- Sulla questione, in termini di principio, è intervenuta di recente la Corte costituzionale, con la sentenza 29 gennaio 2016 n.11, recepita altresì da questa Sezione nella sentenza 24 febbraio 2017 n.889. La Corte ha premesso, ricordando la propria costante giurisprudenza sul punto, che ai sensi dell’art. 117 comma 2 lettera s) della Costituzione la tutela del paesaggio costituisce “un ambito riservato alla potestà legislativa esclusiva statale”.
- Di conseguenza, ha affermato che la tutela in concreto prevista dallo Stato rappresenta un “limite inderogabile” per ogni disciplina che le regioni e le province autonome intendano introdurre nelle materie di competenza, e in particolare nell’urbanistica e nell’edilizia, che sono parti del “governo del territorio” previsto dall’art. 117 comma 3.
- In tale specifico ambito, sempre secondo la Corte, la disciplina di tutela è contenuta nell’art. 145 del d. lgs. 42/2004, che dispone quanto al “coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri tipi di pianificazione”, assume quindi il valore di norma costituzionale interposta, e in concreto prevede un principio di prevalenza della pianificazione paesaggistica sulle altre “non alterabile ad opera della legislazione regionale”.
- Applicando il suddetto principio al caso di specie, ne segue allora che un’interpretazione costituzionalmente orientata sia dell’art. 15 comma 3 delle NTA, sia dell’art. 8 della l.r. 8/2004 deve far salva l’applicabilità del vincolo di cui all’art. 49 NTA, che della pianificazione paesaggistica rappresenta il concreto risultato. Si conferma quindi quanto già affermato in tal senso dal Giudice di primo grado.
- Da ultimo, si esaminano i residui motivi ottavo e nono, che presuppongono sia l’esistenza sia l’efficacia del vincolo di cui all’art. 49 NTA alla fattispecie, ma sostengono che su di esso l’amministrazione avrebbe nondimeno deciso in modo errato. Anche questi motivi sono infondati.
- Quanto all’ottavo motivo, si ricorda quanto afferma costante giurisprudenza, per tutte C.d.S. 10 febbraio 2014 n.682, ovvero che l’amministrazione non è tenuta ad un’analitica confutazione delle osservazioni del privato, ma soltanto a darne conto in modo sintetico. Nella specie, delle osservazioni ha dato conto la nota 1 febbraio 2012 della Soprintendenza, richiamata nel provvedimento finale (doc. 3 in primo grado ricorrente appellante), limitandosi ad affermare che esse non modificavano il parere precedentemente espresso. Si tratta allora di vedere se ciò sia congruo, ovvero se effettivamente il parere precedente contenesse una motivazione insormontabile.
- La questione, prospettata nel nono ed ultimo motivo, va risolta in senso sfavorevole alla ricorrente appellante. Il parere negativo della Soprintendenza (doc. 2 ricorrente in primo grado), richiamato a sua volta nel provvedimento di diniego, si fonda in sintesi estrema su un rilievo in effetti non superabile, ovvero il sopravvenire del vincolo più volte citato, che ha bloccato, come esattamente ritenuto anche dal Giudice di primo grado, la trasformazione urbanistica dell’area, e risulta incompatibile con il progetto a suo tempo approvato, che anche a semplice esame del piano attuativo (doc. 61 in primo grado ricorrente appellante) la trasformerebbe in modo radicale in un quartiere urbano.
- La particolarità e complessità delle questioni trattate è giusto motivo per compensare le spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n.2820/2013 R.G.), lo respinge. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
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finalmente un giudice a Berlino!