Le difficili scommesse [di Giampaolo Cassitta]

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Dal carcere prima o poi si esce. Lo dico sempre – e non solo ai detenuti – ma a me stesso, come cittadino che dovrà misurarsi, prima o poi, con chi la soglia del carcere un giorno la dovrà varcare per essere restituito al mondo libero. Poi ci sono gli imprevisti e lo strumento del permesso premio è uno di questi. Nel bene e nel male. Il permesso rappresenta una bombola d’ossigeno in un universo senza nessuna forza di gravità, in un luogo dove il procurarsi la maschera e poter respirare di quell’aria è assolutamente comprensibile e umano ed è, tra l’altro, sicuramente vitale.

Concedere un permesso premio e contribuire affinché un detenuto, un uomo, possa varcare, almeno per un attimo, le soglie del carcere è un’operazione indubbiamente complessa e giuridicamente difficile da spiegare. Infatti, non è questo il punto. Però quel permesso salutato da tutti come aria sana, come metodo per destabilizzare l’ansia, per tranquillizzare gli animi in un luogo a volte invivibile, quel permesso salutato da tutti come soluzione vicina all’inclusione dei detenuti, ad un piccolo passo verso la libertà, diventa astioso dileggio, sfida tra fazioni politiche, estenuante discussione, quando dal permesso un detenuto non rientra in carcere. Tecnicamente è un’evasione ma ha risposte variegate e tutte difficili da analizzare.

Tutti si chiedono come mai un uomo ha tradito la fiducia di altri uomini, come se fosse il primo e l’unico a farlo (da Adamo ed Eva in poi la storia è piena di esempi) nessuno si chiede, per esempio, come può un uomo uscire dalla gabbia e rientravi spontaneamente. Perché questo è il primo paradosso: ci vuole davvero coraggio a rientrare in carcere dopo aver ottenuto un permesso premio. I detenuti lo fanno quasi tutti. Solo il due per cento non rientra e, nella quasi totalità dei casi viene ripreso dopo qualche giorno. I reati commessi da detenuti in permesso premio o da quelli evasi da permesso sono pressoché inesistenti. La gente, però, chiede risposte a domande difficili e, soprattutto chiede venga additato alla pubblica piazza il colpevole: sia esso il Magistrato di Sorveglianza, il Direttore del carcere, gli educatori, gli assistenti sociali, gli psicologi, la polizia penitenziaria.

Questi sono gli attori in scena e questi, ognuno per la loro parte, ha contribuito e contribuisce ad alimentare l’istituto del permesso premio. Nessuno di loro è però colpevole. Perché tutti si muovono all’interno di regole ben precise che consentono la concessione dei permessi premio. Un detenuto, se mantiene una regolare condotta, se partecipa alle varie attività dell’Istituto, se si incammina all’interno di una strada responsabile, dove il suo mettersi in gioco, il suo sforzo di rimediare, di riparare il danno è tangibile, può uscire dal carcere per qualche giorno ottenendo il permesso premio. D’altronde è una legge naturale quella di mettere alla prova. Tutte le organizzazioni sociali, anche le più tribali, per rafforzare la fiducia, costruiscono delle prove, dei passaggi, delle regole cui tutti quelli che si riconoscono in quella società accettano.

E’ un processo culturale rischioso, impervio, a volte proibitivo, ma è appagante. Scommettere sulle persone. Lo stesso Gesù Cristo scommise su Giuda e sbagliò, segno che gli uomini sono davvero animali complessi con una lettura difficile per gli altri uomini. Personalmente ho scommesso su molti uomini. Molti non mi hanno tradito, altri lo hanno fatto e altri, sicuramente, lo faranno ancora. Non è questo il punto. Ho visto gli occhi dei detenuti che rientrano dal permesso premio gonfi di tristezza perché sapevano di doversi misurare ancora con il carcere. Lo hanno fatto per vincere soprattutto su loro stessi. Hanno dimostrato, con il loro rientro un grande coraggio.

Ho visto anche gli occhi dei detenuti evasi dal permesso premio ritornare dopo qualche settimana o qualche mese. Erano gonfi di rabbia sorda perché avevano perduto, avevano scommesso, ma non erano riusciti a comprendere la pochezza del loro stupido gesto. Chi evade perde sempre, chi rientra da un permesso premio però chiede più attenzione per il suo futuro. Sta pagando le cambiali degli errori, quel detenuto. Sta rispettando e merita rispetto. Non deve correre il rischio che quando si riapre la porta del carcere definitivamente nessuno voglia più scommettere su di lui.

Chi evade è ricaduto nell’errore. E’ assolutamente necessario farglielo notare ed è questo che dovremmo fare. Tentare di capire il perché abbia compiuto un gesto in fondo eclatante ma inutile, un gesto che ci porta a rivedere la sua storia, a ricostruire meglio, a focalizzare laddove c’erano ombre dimenticate e, nel tempo, riprovare a scommettere. Perché lo dice la nostra Costituzione e perché gli uomini forti e liberi, in una società strutturata possono benissimo concedere un’altra opportunità e comprendere gli errori.

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