Ecologisti in rivolta “Cancellate il decreto che asfalta il paesaggio” [di Francesco Erbani]

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la Repubblica, 29 aprile 2017. Cambieranno le norme che regolano la valutazione d’impatto ambientale delle Grandi opere, ma non solo di quelle grandi: linee ferroviarie, autostrade, ponti e anche gasdotti come il Tap.

In meglio? In peggio? In meglio, secondo il ministero dell’Ambiente, che ha preparato un decreto legislativo sostenendo di dover recepire una direttiva europea e preoccupato soprattutto di semplificare le procedure. In peggio, secondo il fronte ambientalista, che denuncia un ritorno alle opacità e alle pratiche fallimentari della Legge Obiettivo (2001, uno dei trofei del governo Berlusconi). In gioco ci sono opere infrastrutturali, da una parte, territori, paesaggi e comunità di cittadini, dall’altra.

Venti associazioni imputano al ministro Gian Luca Galletti d’aver voluto un provvedimento, gradito alle imprese di costruzioni, che, fra le altre cose, stabilisce possa essere esaminato dalla Commissione Valutazione d’impatto ambientale già il progetto di fattibilità di un tunnel o di un’autostrada, cioè un progetto molto preliminare e non quello definitivo.

La Via dovrebbe stabilire se un’opera arreca danni basandosi sulle linee generali e non sui dettagli di un intervento, dove si annidano molti rischi. Il ministero ribatte di voler sbloccare lavori per 21 miliardi, incastrati nelle procedure di valutazione ambientale. Procedure che durerebbero un anno per verificare l’assoggettabilità di un progetto alla Via e tre per la valutazione.

Questo in media, ma si può anche arrivare a sei anni. Replica Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente (che con Italia Nostra, Wwf, Fai e altre sigle si oppone al provvedimento): «I ritardi non dipendono dalla Via, ma da progetti in molti casi mal fatti». Sui tempi lunghi si è pronunciato il Nucleo di valutazione del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, addebitandoli solo in parte alla Via.

La preoccupazione del ministero è di fornire tempi certi ai proponenti di lavori, pubblici o privati. Ma qui la questione si aggroviglia. Secondo gli ambientalisti, dando il via libera a un progetto preliminare si avvia un cantiere che può incappare in inciampi che, questi sì, rallentano i tempi generando varianti che fanno schizzare i costi.

Questo insegnano molte vicende del passato, in particolare dopo la Legge Obiettivo (dal 2001 al 2016, calcola il Wwf, i costi delle infrastrutture sono lievitati da 125 a 375 miliardi), vicende che hanno dato luogo a inchieste giudiziarie, ai rilievi dell’Anac e hanno indotto il governo ad approvare nel 2016 un Codice degli appalti che supera la Legge Obiettivo. Inoltre una Via così concepita, insistono gli ambientalisti, riduce le informazioni ai cittadini e la loro partecipazione alle decisioni.

Secondo il Wwf, «ci sono voluti anni perché nella Via ci fosse un confronto vero sulle opere. Ora si torna indietro». Il ministero insiste sulla necessità di attuare una direttiva europea, pena una procedura d’infrazione. L’argomento non convince Maria Rosa Vittadini, che la Commissione Via ha diretto in passato: «L’Europa chiede una Via che contempli anche la biodiversità o i mutamenti climatici, che presti attenzione alla salute, al paesaggio e alla partecipazione. Quel che propone il ministero è assai riduttivo. Sarebbe utile dividere la Via in due fasi, una su un progetto più avanzato rispetto al preliminare, un’altra su un progetto definitivo. In entrambe le fasi è però essenziale la presenza delle amministrazioni locali e dei cittadini».

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