A conti fatti col DDL sul Governo del territorio del 16 marzo 2017 la giunta Pigliaru vuole solo l’ennesima cementificazione costiera della Sardegna [di Mauro Gargiulo]
“Ibis, redibis, non morieris” era l’auspicio con cui la Sibilla rassicurava sul ritorno il soldato romano in partenza per la guerra. Ma posporre la virgola alla negazione, intuibile solo da un’impercettibile esitazione della voce, mutava una previsione salvifica in una sentenza di morte. A questa perfidia hanno forse attinto gli estensori del DDL sul Governo del territorio del 16 marzo 2017 nel formulare il contestato art. 31 (Incrementi volumetrici su edifici a destinazione turistico ricettiva), che presume un indimostrabile rapporto di causa ed effetto tra incremento volumetrico del 25% degli edifici a destinazione ricettiva (compresi quelli nella fascia costiera tutelata) e aumento del flusso turistico in quantità e durata. Il crisma tecnico al postulato della consequenzialità verrebbe conferito da “un piano d’impresa, asseverato da un professionista abilitato, nel quale si dà dimostrazione della funzionalità dell’incremento alla destagionalizzazione dei flussi turistici o all’accrescimento della potenzialità turistiche ed attrattive delle strutture ricettive, con riferimento all’aumento dei flussi turistici, al tasso medio di permanenza del turista o all’incremento della spesa pro-capite in attività di fruizione delle attrattività del territorio” (Comma 4, art.31). Se ne deve dedurre che il decisore politico, per distogliere da sè l’accusa di condividere la logica predatoria della “smeraldizzazione” delle coste sarde, voglia indurci a credere che il discusso aumento del 25%, senza obbligo di destinazione d’uso, sarebbe destinato non ad accrescere l’utile ritraibile dalla struttura, ma a redimerla da ghetto speculativo a polo di attrattività territoriale. Il Piano d’impresa costituirebbe dunque l’inoppugnabile sostegno tecnico, atto ad garantire le “bocconiane” certezze sullo sviluppo turistico della Sardegna che con slogans e slides l’assessore all’urbanistica propaganda. Forti delle pregresse esperienze non possiamo che esprimere riserve che banali restyling di facciata o improvvisate beauty farm possano trasformare “Centri di Accoglienza” per turisti mordi e fuggi in porte d’accesso ai “paradisi” delle zone interne. Nella realtà sono un mero espediente perché questi salvifici Piani d’Impresa hanno come unico obiettivo lo sdoganamento di rilevanti bonus volumetrici. Nelle lotta ingaggiata per tutelare la Sardegna dalla speculazione energetica abbiamo preso diretta coscienza delle capacità manipolatorie di tanti professionisti. Secondo alcuni le torri eoliche sarebbero in grado di evocare suggestioni donchisciottesche, specchi archimedei offrire riparo a coltivazioni di trifoglio, carciofi effondere verdi emissioni, fratturazioni del sottosuolo sprigionare salvifiche energie, antri minerari dare ricetto a gas climalteranti. Nell’ipotesi dunque che le granitiche certezze dell’assessore dovessero risultare infondate e i Piani d’Impresa fallaci, non possiamo che proporre l’introduzione di un articolo bis, che, a fronte di un’ingiustificata presa di benefici in grado di vanificare pianificazioni a scala comunale e regionale, imponga a proprietari, impresari e tecnici la riductio in pristinum di volumetrie e luoghi. Cautela giustificata anche dal balletto delle cifre e dalle dubbie modalità di divulgazione, elementi questi che lasciano perplessi. L’assessore all’urbanistica, messo alle strette, ha precisato (ma senza spiegare le modalità di calcolo) che sono solo 250 le strutture che potranno richiedere l’incremento di cubatura (180 fuori e 70 dentro i centri urbani), mentre nel Convegno organizzato di recente a Cagliari dai RossoMori, Alessio Satta ne ha contate ben 495 nella sola fascia dei 300 mt.. Sarebbe stato importante avere contezza dell’attendibilità dei dati, che, si presume, debbano essere stati vagliati nella stesura del DDL del 16 marzo 2017. Ma quello che appare non esaustivo è il dato numerico che si assume a riferimento. Quella che dovrebbe essere resa nota è infatti la quantità complessiva di metri cubi potenzialmente realizzabili, trattandosi di incrementi volumetrici espressi in percentuale rispetto alle volumetrie tuttora esistenti. Questo in sintesi è il nocciolo del problema, perché se fosse vero il dato citato da Satta di circa 8 milioni di metri cubi edificabili, che andrebbero ad aggiungersi a quelli previsti dagli ordinari strumenti di pianificazione, troverebbe conclamata conferma la diffusa denuncia sulla volontà della giunta Pigliaru di attuare l’ennesima cementificazione costiera. Non si vede dunque a quali motivazioni possano attingere i Piani d’Impresa per giustificare un impatto ambientale così rilevante. Né potrebbe addursi a giustificazione l’asserita coerenza col PPR del 2006, perché se è pur vero che l’art.90 (Comma 1, b.2) prevedeva una possibilità di un analogo incremento di cubatura, essa risultava limitata ai casi di trasformazione delle “seconde case” in strutture ricettive, per le sole “integrazioni funzionali”, a fronte di interventi di “particolare qualità urbanistica e architettonica”, nei casi di “compensazione paesaggistica o razionalizzazione delle volumetrie disperse”. E’ del tutto evidente che il DDL del 16 marzo 2017 stravolge finalità e modalità di esecuzione di quei bonus volumetrici, che in misura minimale il PPR del 2006 pure concedeva, perchè è sull’ordine di grandezza delle volumetrie in gioco che va focalizzata l’attenzione. Non sussiste infatti alcuna possibilità di confronto tra residuali volumetrie residenziali con quelle di mastodontiche strutture ricettive e di conseguenza anche dell’incremento percentuale realizzabile. Tra presunti tecnicismi e infondate rassicurazioni il DDL del 16 marzo 2017 ripropone il deja vu della politica isolana, una formulazione di previsioni fondate su falsi assunti, di cui solo la posposizione temporale delle verifiche rende impossibile la demistificazione. L’inevitabile risultato, questo sì facilmente intuibile alla luce delle esperienze storicamente riscontrabili, è lo sfascio piuttosto che il governo di quel territorio, cui il DDL pretenderebbe di essere destinato. Non possiamo allora non dirci in sintonia con quanto sostenuto dalla Presidentessa del FAI Sardegna Maria Antonietta Mongiu in un recente incontro tenutosi al Rotary di Cagliari. A un Tore Cherchi, anch’egli come Cristiano Erriu politico di lungo corso e paredro degli estensori del DDL del 16 marzo 2017, che sciorinava iperbolici dati nel tentativo di accreditare miracolistiche certezze del salvataggio dell’Euroallumina, la Mongiu opponeva i dati oggettivi della catastrofe ambientale del Sulcis e quelli ancora più sconfortanti dell’irreversibile crisi in cui versa il sistema industriale della Sardegna. Entrambe le scelte, cemento e industria, rivelano dunque la cecità di una politica che non si fa carico dei propri fallimenti e continua a millantare un credito che alla luce delle scelte in atto non è possibile concedere. Postulare un roseo futuro senza tener conto dei dati storici e ricorrere a manipolazioni dei dati di previsione, ha il sapore nefasto dell’equivoca pausa della Sibilla: “ibis, redibis non, morieris”. *Referente Energia – Italia Nostra Sardegna |