Più inquino, saccheggio, devasto, più guadagno [di Sandro Roggio]

Fluorsid_Earth

Scopriamo un altro disastro ambientale.  Oggi  tocca a Macchiareddu-Fluorsid,  ma la lista è lunga da nord a sud dell’isola.  Grosso modo un pareggio. Per quanto riguarda le devastazioni il Capo di Sopra e l’interno non possono  lamentare lo squilibrio accentratore cagliaritano.

Del danno all’ecosistema attorno a Santa Gilla ci sono le cronache a seguito dell’ordinanza spaventosa del gip. Il cui pathos narrativo –  nel resoconto di impeccabili deduzioni  tecniche –  evoca il racconto di Massimo Carlotto e Francesco Abate.  E nessuno minimizzi, per favore.

Nè si può sottovalutare il degrado del mare a Porto Torres (di recente interessato dall’incidente E.On). Un litorale splendido fino a metà Novecento. Non a caso l’Asinara, lì di fronte,  è  Parco nazionale. Purtroppo minacciata  dalle attività  di Fiumesanto e di  ex Sir,   metafora dello spreco.

Denominatore comune l’ “afferra-afferra” a cui guardano, menomale, le inchieste della Magistratura. Altrimenti non si saprebbe  nulla di programmi di sviluppo, si fa per dire, all’origine di tante distruzioni, di  drammi sociali e di arricchimenti ingiusti.

Sulla tutela di terra, acqua, aria, le amministrazioni locali hanno competenze importanti. Soprattutto le Regioni.  Più di quanto non ne abbiano sull’economia dipendente da centri decisionali distanti. E comunque una Regione speciale (?) come la Sardegna dovrebbe tenere gli occhi bene aperti sulle  attività ad alto impatto. Più di quanto serve, e non è per eccesso di zelo nei controlli che si perde la faccia.  D’altra  parte c’è la propensione ad approfittarsene di ispezioni distratte  che, attenzione,  non salvano i posti di lavoro.

Il controsenso della noncuranza.  Come se la storia non avesse insegnato nulla. Come se non ci fossero le immagini che descrivono la spoliazione dell’isola, avvenuta in tempi molto brevi. Un quadro attenuato per via dei grandi vuoti dove tutto sfuma e si perde. Ma non è difficile capire il danno: i vantaggi smisurati di chi ha potuto prendere dalla Sardegna, o intossicarla, senza restituire nulla. Una disfatta.

Tre quarti del capitale boschivo sono serviti per produrre energia in Continente, carburante per generare ricchezza altrove. La bassa densità di popolazione ha  facilitato le razzie; e suggerito usi altrimenti improbabili,  il via libera agli allenamenti  militari e così via senza tegua, un po’ di complici  e nessuna precauzione. Prevedibile la compromissione di decine e decine di migliaia di ettari di suolo lontani dagli occhi. Senza contare gli incendi e  il ciclo edilizio,  legittimato e  senza regole, per cui  l’isola  ha perso paesaggi preziosi, e guadagnato dissesti: la disperazione di  tante comunità, basta che piova un po’ più forte.

La Sardegna “innocente” è  in cima nella classifica dell’abusivismo edilizio, dopo Campania e Sicilia –  quattro volte gli abitanti sardi. Cioè  prima, come  negli ecoreati. Sì a tutto ma proprio a tutto, tranne che al Parco del Gennargentu. Fortissimo il partito del sì.

Un quadro che impone di provvedere almeno per l’emergenza del rischio idrogeologico, Ma servono molte risorse; ed è vietato illudersi sulla palingenesi: le bonifiche non ci restituiranno la Sardegna “a sicut erat”, perché è impossibile; e molti luoghi li rimpiangiamo senza rimedio. “ I paradisi sono quelli perduti” , secondo Proust.

Gli ottimisti sul risanamento dovrebbero spiegarlo a Nanneddu giustamente scettico: con quali tecniche, in quanto tempo e con quali fondi. Chi pagherà (e chi guadagnerà – perché dei  tornaconti nella sequenza inquinamento-disinquinamento ne vogliamo parlare?).  Bisogna dirlo che il danno   ambientale è rimediabile in misura trascurabile, e come il debito pubblico  ricadrà sulle generazioni future. D’altra parte la perdita di valore di un luogo manomesso riguarda l’economia, cioè ci riguarda. Penso alla difficoltà  di riabilitare le produzioni agricole a ridosso di habitat devastati/avvelenati, e a  Portoscuso “su mundu er gai” .              .

È prevedibile che le stesse agenzie di rating che oggi certificano la solidità di chi opera nel mercato finanziario, possano essere chiamate  a stimare il patrimonio ambientale e paesaggistico di regioni e distretti, magari per conto di investitori prudenti. È  noto che i valori  immobiliari dipendono dalla qualità dei contesti. Evviva, quindi, se le risposte locali sono oggi meno rassegnate, tipo il lavoro purchessia  nella versione terribile “meglio morto che disoccupato”.

Evviva le diffidenze e i no ai  programmi (eolico, termodinamico, trivellazioni, chimica verde, ecc.) sospettati di stare in quel solco distruttivo senza tornaconto. Sono sempre di più quelli che vogliono difendere l’abitabilità delle proprie case e campagne. È la coscienza di luogo che può aiutarci a immaginare un futuro diverso. Chi governa la Sardegna dovrebbe rifletterci.

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