Scandalose, ritratti di donne trasgressive [di Annalisa Terranova]
Lettera43.it, 3 giugno 2017. Da Nina Simone a Marguerite Duras. Da Claude Cahun a Niki de Saint Phalle. In un libro le vite di donne fuori dal comune che si sono riscattate grazie all’arte, i viaggi e la letteratura. Curando così le loro ferite. Una galleria di 20 donne che hanno fatto della loro vita una passerella di trasgressioni, ma che hanno avuto comunque un vasto pubblico di ammiratori, oltre a parecchi mariti e amanti. Loro sono più che “cattive ragazze”, sono archetipi di una vitalità femminile libera e scombussolata. Cristina De Stefano, con una prosa lieve, concisa ma efficace, ne ha sintetizzato le biografie nel suo nuovo libro, Scandalose. Vite di donne libere (Rizzoli). Un testo che lascia il segno, in tempi in cui la trasgressione femminile si riduce troppo spesso in esibizionismo sterile. L’autrice ha già sperimentato il filone della storia al femminile col suo Americane avventurose e con due monografie luminose dedicate a Cristina Campo e a Oriana Fallaci. Il talento contro la discriminazione. Chi erano queste donne scandalose? Anime fragili, il cui tratto comune è l’infelicità, oltre a un rapporto irrisolto con i genitori: madri assenti o cattive, padri ingombranti o addirittura incestuosi. Bellissime e conturbanti, come la scrittrice e poetessa Mina Loy, che vestiva sempre di rosso, fumava la pipa e realizzava paralumi artistici grazie a un finanziamento di Peggy Guggenheim. O come Lydia Cabrera, nata a Cuba, che metteva nero su bianco le antiche storie che le avevano raccontato le tate africane: le sue preziose ricerche etnografiche furono boicottate dal regime castrista. Ci sono quelle che sfuggono grazie al loro talento a un destino di emarginazione, come la nera Nina Simone, che voleva essere pianista e divenne invece una celebre jazz singer, una sorte che non la convinse mai fino in fondo: «Mi paragonano a Billie Holiday e non a Maria Callas», diceva delusa. Una carriera che non la soddisfaceva al punto da renderla rabbiosa con il pubblico: famoso l’aneddoto che la vede rimproverare aspramente una donna che stava abbandonando la sala concerti per recarsi in bagno. Niki de Saint Phalle divenne un’artista per liberarsi da un trauma infantile (le morbose attenzioni paterne) e deve la fama alla scelta di sparare ai suoi quadri: «Ho sparato su mio papà, su tutti gli uomini, sui piccoli, sui grandi, sugli importanti, sui grossi, su mio fratello, la società, la chiesa, il convento, la scuola, la mia famiglia, tutti gli uomini, ancora su mio papà, su me stessa». Queste figure inquiete non conoscono né rassegnazione né timidezza: la modella Toto Koopman, nativa di Giava, che per alcuni era la donna più bella del mondo, fece la spia per gli inglesi a Berlino, sedusse Herbert von Karajan, Galeazzo Ciano e il figlio di Churchill. Per invecchiare scelse una casa nella minuscola isola di Panarea. Sono anche instancabili viaggiatrici: l’esotica Clarice Lispecter, prima autrice femminista del Brasile, percorse Africa, Portogallo, Inghilterra, Stati Uniti e a Roma trovò il tempo di posare per De Chirico. I suoi libri sono crudi: La passione secondo G.H. è la storia di una donna che guarda una blatta morire e capisce la vita. «Maschile? Femminile? Dipende». Hanno identità insolute, ambigue, e ne fanno il perno della loro attività artistica, come la francese Claude Cahun, fotografa abilissima nel gioco dei travestimenti che diceva di sé: «Maschile? Femminile? Dipende dai casi. Neutro è il solo genere che mi conviene sempre». Non arretrano dinanzi al vizio, ne fa fede la vita dissoluta dell’attrice Tallulah Bankhead, antesignana di artiste come Madonna: «Una macchina costruita per stupire». Non venne scelta per la parte di Rossella nel film Via col vento perché troppo matura e perché non rendeva bene nel cinema a colori. La loro eccentricità non sempre ha contribuito al successo: la poetessa tedesca Else Lasker-Schuler fu definita da Kraus «un incrocio tra un arcangelo e una pescivendola»; non meno eccentrica la modella Nahui Olin, che viveva con un pittore rivoluzionario, Gerardo Murillo, e si divertiva a scandalizzare gli ospiti girando nuda per la loro casa a Città del Messico. Quando la scrittura cura le ferite. Quando la vita regala loro un trionfo inaspettato queste donne sono incredule, quasi insicure. Come Grace Metalious, l’autrice di Peyton Place, che mandava il suo testo senza troppa convinzione a molti editori prima di approdare alla notorietà. O come Pearl S. Buck, figlia di due missionari presbiteriani in Cina, che vinse il premio Nobel grazie al romanzo La buona terra. I suoli libri furono vietati dal regime comunista cinese mentre in America venne controllata dall’Fbi per il suo attivismo in favore dei neri. Ancora più singolare il caso di Jean Rhys, autrice de Il grande mare dei Sargassi, divenuta famosa a 76 anni. Lei era spaventata dai giornalisti, dagli studenti che la cercavano, dagli intellettuali che volevano avvicinarla. Usava la scrittura per sanare ferite vecchie e recenti. Lo stesso metodo di Marguerite Duras, che nel suo libro più famoso, L’Amante, prese spunto dalla sua infanzia sordida, la prostituzione precoce, la relazione di due anni con un vecchio cinese incontrato sul battello (era nata nel 1914 in Indocina) nelle cui braccia fu sospinta da una madre tirannica e dalle botte del fratello. Un’esistenza insudiciata sublimata grazie alla scrittura. Le pagine nere dell’inizio, in quasi tutte queste donne scandalose, sono riscattate dall’arte, dalla creazione, dalla poesia, dalla letteratura. È il loro modo di essere libere e di vendicarsi del mondo. |