Sono passati sei anni dalla Relazione sull’Anfiteatro dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro del Mibact [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 28 giugno 2017. La città in pillole. Può capitare una sera d’inverno, già primavera per clima e colori, di entrare nell’Anfiteatro.

Il piccolo gruppo; la gioia di rivederlo dopo quasi quattro lustri; il degrado impietoso, piuttosto che rinverdire melancolie per l’incapacità di chi gestisce il bene comune con improvvide autorizzazioni, rimandano, insistentemente,  a quel passo di “La tempesta” di  Shakespeare: “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”. Ovvero di quel sostrato profondo, parte migliore di ciascuno se alimentato dalla  cultura nelle sue declinazioni.

Possiamo mai capire l’essenza e il disastro di quelle rovine senza la descrizione che Leopardi, una volta giunto a Roma, riservò al monumento dedicato a Torquato Tasso, diventato un abbeveratoio? Bisognerà inoltre aspettare Pasolini per denudare classi dirigenti altrettanto incolte.

Si può prescindere dal Viaggio in Italia di Goethe per allenare  lo sguardo a decodificare il rapporto tra natura e cultura?

Le sue insuperate parole che descrivono i Fori dal Palazzo senatorio diventano le nostre nel riconoscere millenni di storia dall’ Anfiteatro a Santa Gilla nel tramonto che infuoca Cagliari. Nell’Anfiteatro  romano, tornato finalmente inattuale, vediamo anche tutta la drammaticità della Relazione del sopralluogo effettuato il 10 marzo del 2011 dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro del Mibact.

Un implacabile j’accuse. Perché mentre l’Europa firmava la “Convenzione europea del paesaggio”, a Cagliari si consegnavano Tuvixeddu e l’Anfiteatro alla speculazione.

 

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