Autodeterminazione, diritti, sostenibilità: alla Sardegna serve un nuovo soggetto politico [di Vito Biolchini]
In fin dei conti, le regole della politica continuano ad essere semplici: chi ritiene di avere un’idea di cambiamento della società, prepara un programma, propone una lista e si presenta alle elezioni al giudizio del popolo sovrano. Niente di più, niente di meno. Tuttavia in Sardegna una miriade di micro partiti, formazioni, associazioni, gruppi che si richiamano all’idea di autodeterminazione o che da sinistra contestano il Pd, hanno sempre più difficoltà a presentarsi all’appuntamento elettorale. Le ultime amministrative sono state un esempio lampante dell’incapacità di questo mondo di abbandonare le colonne dei giornali (in cui è presente ben oltre i suoi meriti) o le pagine facebook per provare a radicarsi nella società sarda, soprattutto nei suoi comuni (grandi o piccoli che siano). Peccato, perché in Sardegna lo scenario politico non è tripolare (centrodestra, centrosinistra e Cinque Stelle) ma quadripolare: solo che il polo dell’autodeterminazione fatica a nascere. A determinare questa impasse è da una parte la volontà di alcuni soggetti (come il Partito Sardo d’Azione, il Partito dei Sardi o i Rossomori) di provare innanzitutto a condizionare o egemonizzare uno dei due poli tradizionali, dall’altra la debolezza degli altri soggetti (penso a Progres, a Sardigna Natzione, a Liberu), di cui nessuno ora sembra essere in grado di fare da traino alla nascita di uno schieramento elettorale alternativo. Tuttavia questo mondo continua a parlare, a confrontarsi, a vedere la nascita di nuove sigle e associazioni, ad animare laboratori su temi comuni il cui esito però non produce alcun effetto pratico o politico, e questo per un motivo molto semplice: perché tutti rimangono affezionati alla loro sigla, alla loro carica e, temo, anche alla loro foto sul giornale. Oppure perché pensano che basti stare fermi e prima o poi il consenso arriverà da solo, con le stese probabilità di vincere il primo premio semplicemente comprando un biglietto della lotteria. Intanto però le elezioni regionali del 2019 si avvicinano; anzi, sono ormai proprio dietro l’angolo. A chi crede nel principio di autodeterminazione del popolo sardo, a chi si batte per l’uguaglianza, i diritti e il lavoro, a chi difende il proprio territorio da iniziative imprenditoriali di carattere predatorio, non serve l’ennesimo cartello elettorale messo in piedi alla bell’e meglio e che si scioglie dopo l’ennesima batosta, ma un progetto solido, inclusivo e a lungo termine, capace di darsi una prospettiva ampia. Per praticare questi obiettivi serve un nuovo soggetto politico (un partito vero e proprio o una federazione di sigle) con l’ambizione di guardare ai prossimi quindici- vent’anni, e capace di non temere gli insuccessi ma di costruire nel tempo e con il lavoro la propria credibilità, presentandosi non solo alle elezioni regionali ma soprattutto a quelle amministrative. Perché non si capisce con quale credibilità uno schieramento che non è presente nel territorio pretende di vincere una competizione elettorale impegnativa come quella che a molti (e anche a me) piace chiamare “nazionale”. Un soggetto politico nuovo dunque, che ha come assi portanti l’autogoverno dei sardi, la loro originale cultura, la sostenibilità del nuovo modello di sviluppo, senza ovviamente dimenticare i diritti. Un soggetto aperto, capace di includere tutti quelli che vogliono partecipare sulla base del programma e di non escludere sulla base di posizioni ideologiche o preconcette. Le sigle che dovrebbero essere chiamate a questo sforzo di progettualità e generosità le conosciamo: sono innanzitutto quelle che si riconoscono nella Mesa Natzionale (Fronte Indipendentista Unidu, Gentes, Progetu Repùblica de Sardigna, Sardigna Lìbera, Sardigna Natzione Indipendèntzia), ma anche Liberu, i Rossomori, i compagni di Rifondazione e di Sinistra Italiana in Sardegna, le varie associazioni (come Sardegna Sostenibile e Sovrana, che io presiedo, o Sardos di Anthony Muroni – che, detto per inciso e in amicizia, mi ritiene poco credibile solo perché come lui non ho sostenuto Michela Murgia alle ultime regionali, dimenticando però che io, forse a differenza sua, Pili e Cappellacci non li ho mai votati). Ma anche i tanti gruppi, comitati e i singoli intellettuali (penso ad esempio alle tante firme di Sardegna Soprattutto e del Manifesto sardo) che in questi anni si sono schierati in difesa del territorio, al variegato mondo della solidarietà e della cultura, o alle anime inquiete dentro il Pd (prima fra tutte, il presidente dell’Anci Sardegna Emiliano Deiana). È un mondo presente e attivo ma che finora elettoralmente non ha sfondato o non si è ritrovato in nessuna delle offerte politiche in campo, ma che attende una casa in cui stare. I tempi stringono. Il percorso è quasi obbligato: entro il 2017 bisogna mettere a punto la piattaforma programmatica e nei primi mesi del 2018 dare vita al nuovo soggetto nel corso di una assemblea in cui decidere (come dice un amico mio) “una testa, un voto, una carta d’identità” la linea, la segreteria e la leadership. A quel punto ci sarebbe un anno di tempo per prepararsi alle elezioni regionali, il cui candidato presidente dovrebbe essere scelto tramite elezioni primarie. Alle elezioni regionali del 2019, tenuto conto che la legge elettorale con la quale andremo a votare sarà quasi sicuramente quella attualmente in vigore, per evitare i tragici errori del recente passato si dovrebbe presentare una sola lista. Superando il 5% si entrerebbe quindi in consiglio regionale, e da lì inizierebbe un percorso lungo, con una prospettiva di almeno dieci-quindici anni nei quali radicare territorialmente il progetto. È un sogno? Una follia? Pura utopia? A me sinceramente pare velleitario qualunque altro progetto diverso da questo. Velleitario e ambiguo. Non c’è altra strada se non quella della massima unità possibile tra soggetti con tante idee ma attualmente con poco consenso o poche risorse, che da soli alle prossime regionali non sarebbero in grado neanche di fare testimonianza, e che sono chiamati ad impegnarsi e a lavorare assieme sulla base di ciò che li unisce (e sono tante cose) e non a dividersi ulteriormente e senza senso. Perché una volta rinunciato a presentarsi alle elezioni, per questo arcipelago di gruppi e movimenti l’alternativa sarebbe solo quella di provare a condizionare il dibattito politico (e anche in questo caso il lavoro da fare sarebbe tanto) e, per chi si accontenta di votare il meno peggio. Ma sarebbe l’ennesima sconfitta dopo anni di proclami e di promesse mancate. La politica è progetto unito ad organizzazione. Ora serve uno slancio nuovo, serve una generosità vera per far crescere nel tempo una nuova classe dirigente. Serve coerenza. Questa è la proposta dell’associazione Sardegna Sostenibile e Sovrana. Chi la sostiene o ne ha un’altra da proporre, si faccia avanti. Perché per quanto ci riguarda il tempo degli slogan, delle manovre di piccolo cabotaggio, delle avventure solitarie, dei tatticismi e dei narcisismi, è finito.
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