Abusi, lo stato si inchina al caos [il Fatto Quotidiano, 2 luglio 2017]
Una denuncia ogni tre giorni. Una sanzione amministrativa ogni 30 ore. Un intervento della Finanza ogni 600 minuti. È a questo ritmo che viaggia l’abusivismo edilizio in Italia. E il dato riguarda soltanto la costa e il demanio marittimo. La Guardia di Finanza – che ha il compito di sorvolare le aree demaniali e denunciare gli abusi – nei primi cinque mesi dell’anno ha già realizzato 348 interventi, 54 denunce, 122 sanzioni amministrative, sequestrando beni per ben 4,5 milioni. L’anno scorso si viaggiava al ritmo di una denuncia ogni 18 ore: nel bilancio 2016 si contano 491 denunce, 1.068 interventi, sequestri per 6,1 milioni. È un paradosso, ma il 2017 sembra quasi l’anno della redenzione. E chi associa all’abuso edilizio sulla costa la “semplice”costruzione d’una villa con accesso diretto sul mare, dia un’occhiata a questi esempi. Dovrà ricredersi. Turisti sotto sequestro .Rimessaggi nei fiumi, anfiteatri sul mare. Il 9 giugno a Sperlonga viene sequestrato un intero hotel: il “Grotte di Tiberio”. La Procura dispone che, entro tre giorni, i malcapitati turisti debbano sloggiare. Il proprietario – l’ex presidente della Provincia di Latina, Armando Cusani – deve invece attivarsi per mettere in sicurezza la struttura. A Salerno, nell’alveo del fiume Tusciano, c’è chi insedia immobili, depositi, uliveti. E l’immancabile discarica abusiva. Sul litorale di Fano la Gdf sequestra un’intera struttura ricettiva: 12 case mobili, 24 bungalow e un anfiteatro. Sulla storica foce del Rubicone – quella che Giulio Cesare varcò, con una legione di 5000 fanti, avviando la guerra civile al grido di alea jacta est – qualcuno ha pensato di attrezzare 15 pontili. Li ha destinati al rimessaggio e all’alaggio dei natanti. Turismo, agricoltura, edilizia popolare: l’abuso edilizio sviluppa una fetta d’economia. Ed è un implacabile specchio del Paese. Quelle pratiche del 1985. In 5 milioni aspettano una risposta da 32 anni. Torniamo al 1985, l’anno del primo condono edilizio, e poniamoci una domanda: qual è il vantaggio per lo Stato di varare un condono? La risposta è semplice ma nient’affatto scontata: fare cassa. Il 28 febbraio 1985, con Bettino Craxi al governo, furono ammessi alla possibilità di condono tutti gli abusi – non solo quelli sulla costa – realizzati fino all’ottobre 1983. Oltre a far cassa, l’utilità del condono, era quella di tracciare una linea netta con il passato, per impedire nuovi abusi. Che invece procedono – solo sulla costa – al ritmo di una denuncia ogni tre giorni. Non a caso la legge sul condono varata nel 1985 prevede una relazione annuale al Parlamento sul fenomeno dell’abusivismo. Com’è andata a finire? Di condoni ne abbiamo avuti altri due (entrambi targati Berlusconi, nel 1994 e nel 2003). E in Parlamento, di relazioni annuali, in 32 anni, ne sono state pubblicate solo due. Pochine per monitorare l’evoluzione del fenomeno. Nel frattempo, con i tre condoni, negli uffici comunali italiani sono giunte 15.431.707 richieste. Oltre 15 milioni di pratiche da smaltire che, nei fatti, significano soldi da incassare. Se lo Stato non è interessato a studiare il fenomeno, sarà almeno interessato a far cassa? Il Centro studi Sogeea, nell’aprile del 2016, rivela che su 15,4 milioni di pratiche, ben 5,3 milioni risultano inevase. Tra queste, 3,5 milioni risalgono alla sanatoria del 1985: c’è gente che a 32 anni aspetta di sapere se il proprio immobile abusivo può essere sanato. Trentadue anni di stallo. Soldi che lo Stato avrebbe potuto incassare. E che non ha mai visto. Quanti? L’intero PIL dell’Estonia. Due terzi della legge di Stabilità varata nel 2015- “Si può stimare –si legge nello studio Sogeea –che i mancati introiti per le casse del nostro Paese sono pari a 21,7 miliardi. Il dato si ottiene sommando il denaro non incassato per oneri concessori, oblazioni, diritti di istruttoria e segreteria, sanzioni da danno ambientale. Stiamo parlando di denaro equivalente a 1,4 punti del nostro Prodotto interno lordo pari a due terzi della legge di Stabilità 2015, superiore al Pil di una nazione come l’Estonia”. Soltanto Roma, per intendersi, potrebbe incassare 800 milioni dalle pratiche ancora inevase. E se questo è lo stallo sulle possibili sanatorie, che accade invece quando si deve demolire? Qui Reggio Calabria. “Siamo soltanto in tre per 33 mila pratiche”. Abbiamo chiesto ad alcuni Comuni di fornirci i dati sull’abusivismo edilizio. “Il Settore Pianificazione – ci risponde il dirigente di Reggio Calabria – è sottodimensionato come tutti gli altri settori”. L’ufficio – ci spiega – è composto da appena “tre unità” oltre il personale amministrativo e la mole di lavoro è immensa: “Le 33.866 pratiche di condono edilizio sono state tutte istruite. Per quelle non completate, sono state richieste integrazioni. Se i proprietari presentassero tutto quello che è stato richiesto, potrebbero essere tutte chiuse, positivamente o negativamente, in un arco di tempo ragionevole, anche con l’esiguità del personale assegnato”. E sul fronte demolizioni che accade? Nei fatti siamo a quota zero. “I procedimenti – continua – non sono in carico al settore, che si limita a emettere le relative ordinanze”. La legge prevede che se il proprietario non demolisce, il Comune interviene anticipando le spese, usufruendo del fondo di rotazione istituito presso la Cassa Depositi e Prestiti, con successivo recupero coatto delle somme. “Le risorse economiche per gli enti sono merce rara – continua il dirigente – E Reggio Calabria, che ha sottoscritto un piano di rientro, non ha l’accesso ai fondi di rotazione”. Sullo Stretto, insomma, sventola bandiera bianca. Eppure, attraverso una norma del 2014, che porta il nome della deputata M5S Claudia Mannino, ai proprietari che non ottemperano alla demolizione è possibile erogare sanzioni dai 2 mila ai 20 mila euro. Qui Altofonte. “Abbiamo incassato 300 mila euro. In teoria”.Ad Altofonte,in provincia di Palermo, il sindaco Antonino Di Matteo,nel maggio 2016, inizia ad approntare gli atti ingiuntivi per i proprietari che non hanno demolito. È un passo avanti, senza dubbio. Ma fino a un certo punto: “La procedura del recupero coattivo risulta complessa e di non facile gestione”, scrive Di Matteo in una lettera alla Camera. Poi aggiunge un dettaglio. Aveva già provato a farsi pagare dagli abusivi chiedendo un canone per l’occupazione. E con quei soldi intendeva finanziare le demolizioni. Ma pare che non stia andando come sperava. “Le difficoltà riscontrate con le ingiunzioni al pagamento del canone per l’occupazione degli immobili abusivi, per un totale contestato di 302 mila euro, rischiano di procurare nocumento alla finalità ultima della sua proposta: ovvero autofinanziare le demolizioni con i proventi delle sanzioni…”. Una partita persa? Di certo nella gran parte dei casi, la palla finisce alla magistratura. D’altronde, un sindaco che demolisce si gioca una bella fetta di elettorato. E in qualche caso, come Angelo Cambiano a Licata l’anno scorso, finisce persino sotto scorta. Non è un caso che la Corte dei Conti siciliana abbia dichiarato che per le mancate demolizioni siamo dinanzi a un veroe proprio danno erariale. E quindi: quando possiamo far cassa, non incassiamo; quando dobbiamo evitare danni erariali, non li evitiamo. Un oceano di scartoffie. Una banca dati? Con il prossimo governo, forse. Dinanzi a una tale mole di scartoffie – oltre 5 milioni di pratiche per i soli condoni, senza contare il numero di abusi edilizi che si moltiplicano di ora in ora – dovremmo immaginare un’efficace organizzazione del lavoro. Anche perché siamo dinanzi a miliardi da incassare. E invece Sogeea ha verificato che il 90% degli enti locali si arrabattano con archivi cartacei, solo il 2% ha un archivio digitale, l’8% un archivio misto. Ma andiamo oltre. La Regione Campania, nel 2010, avvia due progetti. Il Conabed (Contrasto abusivismo edilizio) prevede l’immissione in una banca dati pubblica di ogni abuso segnalato dai comuni. Il Mistral prevede invece un monitoraggio da immagini satellitari, entrambi tramontati nel giro di pochi anni. Il Mistral viene soppresso nel 2012 perché con il suo milione di euro l’anno, costa troppo. È preferibile tenersi i danni erariali. E i mancati incassi delle vecchie sanatorie. Senza contare che negli ultimi anni la Campania ha registrato in media 1.500 segnalazioni di abusi edilizi al mese. E che, dal 1991 a oggi, il 91% dei Comuni sciolti per infiltrazioni camorristiche vede nelle motivazioni del decreto che fa decadere l’amministrazione un diffuso abusivismo edilizio. E una banca dati nazionale? L’idea è stata proposta soltanto pochi mesi fa con un emendamento della parlamentare Mannino al progetto di legge Falanga. L’unica nota positiva di una legge accusata dalle associazioni ambientaliste di voler riproporre un condono mascherato. Anzi: di legalizzare l’abusivismo in modo permanente, affogando lo Stato più di quanto abbiamo già visto in un diluvio di ricorsixhtml xml,application/xml;q=0.9, permanente. Ddl Falanga: la classifica delle demolizioni. La legge – approvata in maggio al Senato e rinviata alla Camera – disciplina le demolizioni secondo una classifica di priorità. Non potrà essere demolito l’edificio di chi non ha un’altra casa da abitare. In cima alla classifica delle demolizioni troviamo gli immobili di rilevante impatto ambientale, costruiti su area demaniale soggetta a vincoli. Seguono gli immobili che costituiscono un pericolo per l’incolumità dei cittadini e quelli riconducibili ai mafiosi. Non si tratta dell’unico assist all’abusivismo. In Sicilia, il deputato regionale Mimmo Fazio ha tentato invano, nel 2016, di sanare gli immobili costruiti (prima del 1991) entro la fascia costiera di 150 metri. Il presidente Crocetta invece di urlare allo scandalo, ha commentato: “Alcune strutture vicine al mare, piuttosto che abbatterle, potrebbero essere trasformate in attività ricettive, spingendo i Comuni a predisporre i piani di recupero, abbattendo solo ciò che deturpa l’ambiente. Se dovessimo demolire tutto, saremmo costretti a portare in discarica milioni di metri cubi di cemento”. Stessa posizione per il presidente campano De Luca: “Esistono poveri cristi che si trovano in questo problema per ignoranza. Consentiamo ai Comuni di approvare piani di recupero, facendo pagare a chi ha costruito abusivamente, ma regolarizzando, perché 70 mila alloggi abusivi, che non possono allacciarsi a luce e rete fognaria, portano a disastri ambientali”. A una soluzione simile pensa anche il sindaco di Casal di Principe, Franco Natale, che nel suo territorio conta 1.500 abusi. Per demolirli tutti – secondo uno studio del suo Comune – sarebbe necessario spendere 210 milioni, allestire una tendopoli da 6 mila sfollati, smaltire 300 mila metri cubi di detriti: tre volte il volume del Colosseo. Oltre l’abusivismo dei “poveri cristi”, però, c’è anche quello dei vip. Quali? Lo racconteremo nella prossima puntata. |