Il tempo dei Sardi (II). Passaggi [di Pietrino Soddu]

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Pubblichiamo la seconda parte di Il tempo dei Sardi di Pietrino Soddu. L’esponente politico, che è stato Presidente della Regione e Parlamentare, si misura con la scrittura poetica ed attraverso questa traccia un epos. Si tratta della storia della Sardegna ab antiquo filtrata attraverso un punto di vista di chi è stato protagonista e  testimone delle vicende dell’isola dagli anni Cinquanta. Il suo sguardo tematizza una vicenda che dall’antichità arriva ad oggi nella convinzione che soltanto una diversa narrazione può restituire alla contemporaneità un senso  per procedere e per oltrepassare un presente affatto confuso. L’opera fu presentata nell’iniziativa “Sardeide: dalla sarditudine alla Sardegna. Una narrazione da riscrivere” dall’Associazione  Lamas il 12 luglio 2013 nella chiesa di San Giovanni a Pattada. A quell’incontro per dialogare della Sardegna con Pietrino Soddu parteciparono storici, filosofi, amministratori, sindacalisti e un pubblico numeroso e senza barriere anagrafiche. Quel dibattito lo vorremo aprire ad un pubblico più vasto. Soprattutto in questo momento è utile chiedersi e riflettere sui temi relativi ai quesiti “Chi siamo” e “Cosa saremo”. La prima parte dal titolo  Il tempo è stata pubblicata lunedì 30 dicembre 2013

 

PASSAGGI

1ª.

L’infanzia era una cucina odorosa di pane appena cotto

e di dolci preparati per la festa;

era un cortile d’ombra e di sole

con un albero di melograno,

gatti, galline e altri animali addomesticati.

Era una strada popolata di cani

di carri, di buoi e di cavalli,

di escrementi fumanti

nei ciottoli del vecchio selciato.

Era una palla di stracci che sfidava il letame.

L’adolescenza era stare seduti per ore

in una panchina di pietra

davanti alla chiesa,

sognando un futuro diverso,

non più di partite a pallone

di angurie e meloni rubati

e vacanze in campagne assolate,

ma grandi avventure e amori segreti,

lontano dal triste lamento di Abele

e dall’insana ferocia del fratello Caino.

Era passare le ore

ascoltando i rintocchi dei quarti e il latrare dei cani,

contando le stelle,

raccontando ogni notte le solite storie

di guerra, di caccia, di grandi rapine e feroci sequestri,

di lunghi processi a banditi famosi,

di intrighi tra parenti nemici,

tra preti e sacristi intrisi d’incenso,

di amanti segrete e mariti traditi,

e sempre sognando di avere un incontro

con quella ragazza

seguita ogni sera

a passeggio nel corso.

2ª .

Seduti su panchine di pietra appoggiate al muro,

o su piccole sedie col fondo in legno

collocate in cerchio accanto ai portoni d’ingresso,

nelle sere d’estate parlano poco

e quasi sempre delle stesse cose.

Dei matrimoni, dei morti, dei battesimi e del tempo,

della raccolta del grano,

del latte, del vino e dell’ olio,

delle patate, dei pomodori e del granturco,

non secondo i canoni di oggi,

ma secondo i canoni della vecchia civiltà contadina,

sobria e risparmiatrice,

che imponeva che niente,

neanche una parola, andasse sprecata.

La voce di uno che sa raccontare

riempie il silenzio;

tutti gli altri ascoltano limitandosi ad assentire,

o dicendo eh,  già! ah, si capisce!

e quando il racconto si fa più misterioso

con cose non tanto normali

esclamano increduli bah, bah !!

dai non può essere!

Così tutti i giorni senza mai annoiarsi.

Gli eh, i boh e i bah non riempiono gli spazi vuoti

ma lasciano che ognuno aggiunga al racconto

quei sogni d’ amore e d’ avventura

che non hanno trovato posto

nelle parole del narratore.

Il grano appena lavato viene steso al sole

in grandi cesti rotondi di asfodelo.

Il suo colore d’ oro antico

rallegra e rassicura.

Domani sarà sparso sul tavolo grande della cucina

per essere purgato da mani sapienti

con un lavoro lungo e paziente

fatto quasi senza guardare

soltanto col tatto dei polpastrelli

che sanno riconoscere e distinguere

il grano dal loglio, dalla sabbia 

e da tutte le altre presenze indesiderate.

Tra qualche giorno questo lavoro sarà finito

e le donne porteranno il grano al mulino.

Tra una settimana tutto ciò che occorre

per procedere alla cottura del pane sarà pronto.

La crusca separata dalla farina e dalla semola,

il forno ripulito dalla vecchia cenere

e la legna tagliata secondo misura;

i grandi catini di terracotta pronti

per l’ impasto e per la lievitazione

le spianate di pane morbido

messe a lievitare

dentro grandi panni lunghi e stretti.

Le pale di legno e quelle di ferro

e i mattarelli levigati dall’ uso,

le scope di erba dura per spostare la cenere

e tenere pulito il pavimento del forno,

sono pronte dal giorno prima.

All’alba del giorno fissato

tutta la famiglia è presente in cucina,

adulti e bambini, maschi e femmine,

e persino il capo famiglia.

Tutti hanno il loro compito:

una sta al forno, una divide la pasta

tre stendono le sfoglie;

i bambini spolverano la farina dal pane sfornato,

aprono i grandi cuscini rotondi gonfi d’ aria calda

e impilano i fogli uno sopra l’ altro con molta cura

in modo che possano essere facilmente

infornati una seconda volta

fino a diventare dorati e croccanti.

La bocca del forno è bassa

e la donna addetta alla cottura è seduta per terra

a gambe distese.

Il giorno è lungo e la fatica grande

ma tutti sono contenti e parlano liberamente

come non avviene nei giorni normali.

E’ festa, festa grande

che rende felici e libera la mente dai cattivi pensieri

perché il pane per un po’ è sicuro

e la penuria si allontana.

Il ricordo del duro lavoro della semina

e poi della lotta alla segale cornuta

e alle altre erbe nocive,

si confonde con il ricordo del languido tubare delle tortore

nascoste tra le spighe perdute dal mietitore,

e si mescola con il grano nell’ aia

che ha il colore del sole al tramonto

diverso dal colore del grano portato al mulino

che è più scuro come se avesse nostalgia della spiga.

L’ odore del pane appena sfornato riempie la cucina:

il suo profumo di vita e di speranza, si espande

e diventa troppo grande

per fermarsi nel chiuso spazio della stanza

e così si diffonde nel cortile e nelle strade vicine

che gioiscono di questa presenza

che si muove dolce e penetra ovunque

mescolandosi al profumo degli altri forni accesi nel paese

senza invidia né gelosia, senza primogeniture

senza segni di comando o di possesso.

Anche il cane nel cortile si rallegra

perché sente che il suo cibo è sicuro.

Il pane cotto apposta per lui

è preparato da mani giovani

che devono ancora imparare.

Ha il colore bruno scuro delle tegole

ma è poroso, morbido e profumato

quasi come quello degli uomini.

La luna ancora in fasce accenna un sorriso

che è anche una preghiera di essere guardata

e chiamata a sedere alla tavola imbandita

con il pane fragrante e il vino novello

e la frutta secca conservata per l’ inverno.

L’ animale destinato al sacrificio

non sospetta che questo non è un giorno come gli altri

e comincia a grugnire come ogni mattina

prima piano e poi sempre più forte invocando il cibo.

Gli uomini lo vorrebbero tranquillo

per rendere la cosa più facile

e compiere il rito con un solo colpo

dritto al cuore

senza alcuno sciupio di tempo e di fatica,

senza dolore o sofferenza per lui.

Non ci sono voci di uccelli nell’aria

né di altri animali;

anche i cani aspettano in silenzio la loro parte.

Nell’ aria tersa prima dell’ alba tutto è immobile

persino il vento per cominciare il suo lavoro

aspetta che gli uomini portino a compimento il loro rito.

Le donne pensano commosse

che non potranno più parlargli

come quando gli portavano il cibo

e pulivano il pavimento della stalla.

Pregano in cuor loro che non provi dolore

ma con il pensiero sono già lontane e sorridono

perché oggi è festa

e anche domani e dopodomani

quando però dovranno stare molto attente

a non sbagliare con il sale e con il pepe

e con l’ insaccatura della carne.

Tutto ormai è pronto, ma per prudenza

i coltelli vengono ricontrollati

passando un polpastrello sul filo della lama,

i secchi per il sangue vengono risciacquati un’altra volta

e gli spiedi messi da parte insieme alle graticole;

la scala di legno robusto appoggiata al muro meglio assestata;

i compiti di ciascuno, compresi quelli dei bambini,

-ai quali spetta preparare la vescica

ripulirla per bene e gonfiarla

con il loro fiato giovane-,

vengono confermati senza cambiare nulla

perché sono sempre gli stessi,

questa volta come tutti gli altri anni.

Il giorno ormai è chiaro e si può cominciare

c’è aria di festa e tutti parlano contemporaneamente.

Presto l’ aria avrà l’ odore delle viscere

mescolato con l’ odore del pelo bruciato

e poi con il profumo della carne arrosto

che si diffonderà per tutto il paese

rallegrandolo dal primo mattino.

Solo chi ha sofferto la sete

può dire veramente cos’è l’ acqua

conoscendone l’immenso valore,

quello misurato dalla paura che la sete ritorni.

Per quelli che l’ hanno sempre avuta in abbondanza

e persino in sovrabbondanza

l’acqua non ha lo stesso valore

anzi spesso è un nemico, una minaccia

un pericolo sempre in agguato, che può causare danni

come è già successo e come può succedere ancora

con le grandi piogge, le alluvioni,

le mareggiate, le tempeste, i maremoti

e le grandi tormente di neve.

Il diluvio universale

si è impresso nella memoria dell’ umanità

come la più grande catastrofe di ogni tempo

che non potrà più ripetersi perché è stato promesso

che quando verrà l’ ultima ora

il mondo finirà non per acqua

ma per fuoco.

Per noi l’ acqua non è mai stata una cosa da comprare

ma un bene primario,

un bene di tutti.

Non c’ era un padrone dell’ acqua

ciascuno aveva diritto alla sua parte,

per irrigare gli orti

o per abbeverare il bestiame, lavare il grano in casa

e i panni e la lana nei fiumi.

Tutti potevano attingerne

dai fiumi e dalle sorgenti

ma senza commettere abusi ed evitando gli sprechi.

L’acqua era un miracolo

una magia da rispettare dovunque essa si trovasse.

Il luogo preferito dell’acqua era però l’ orto:

pomodori, fagiolini, zucchine

angurie, meloni, melanzane,

lattughe, patate, cetrioli

peperoni, e tante altre piante verdi

erano i suoi gloriosi trofei

nati dentro solchi carezzati teneramente

ogni sera a lungo

anche dopo il tramonto fino a notte.

La terra si apriva dolcemente alla voce dell’acqua

aspettava le sue carezze

concedendosi senza riserve,

assorbendola con gioia fino alle radici delle piante

che si rallegravano come bambini

cullati dalla voce materna.

Acqua, madre nostra

sembravano dire

nella loro lingua verde tutte le foglie

risvegliate dalla sonnolenza dell’ afoso meriggio.

Nei roventi giorni di giugno

i mietitori invocavano l’acqua

e invidiavano le anatre immerse nelle pozze del fiume

e i cavalli che si abbeveravano a una fonte

all’ombra di lecci frondosi.

L’acqua più preziosa

era l’acqua di primavera

perché dava la certezza di un buon raccolto,

assicurava il pane per tutto l’anno

allontanando lo spettro della carestia

dando fiducia a quanti

spendevano la loro vita nei campi

e confortando soprattutto le madri

perché vedevano allontanarsi

la paura di non aver pane per tutti.

Non hanno atteso l’ alba.

A loro basta

la luce tenera di una falce di luna,

perché conoscono i sentieri

che hanno esplorato ancora ieri palmo a palmo

per individuare le orme della cavalla scomparsa

che portano al confine del paese vicino.

Hanno deciso di arrivare li prima del sorgere del sole

prima che si sciolga la brina

prima che altri passi confondano

le impronte della cavalla rubata.

Sanno che dovranno andare a parlare con amici fidati

che altre volte li hanno aiutati.

Sanno che le tracce quasi certamente

non si fermano nel paese vicino

ma vanno oltre

verso paesi più lontani e meno conosciuti da loro.

Occorrerà perciò chiedere aiuto

per riavere quello che stanno cercando.

Il viaggio potrebbe essere lungo e loro si sono preparati

per stare qualche giorno lontano da casa.

Sono calmi; sanno che dovranno trattare

concedere qualcosa come d’ uso,

fingere quasi uno scambio,

riconoscere sia pure a malincuore

che non c’è stato odio da parte degli altri

e neppure mancanza di rispetto

ma solo bisogno.

Sono in due con un cavallo

per potersi riposare ogni tanto a turno

e seguire senza interruzione le tracce.

A tratti quando le orme si fanno più incerte

vanno entrambi a piedi.

Per fortuna non ha piovuto da giorni

e i segni delle impronte sono ben visibili

sia nella terra che tra i sassi.

L’ animale che cercano è una cavalla di otto anni,

una fattrice docile, forte e di bella forma

due maschi e due femmine.

Arrivati al paese cercano gli amici che conoscono da tempo

e che avevano già informato.

Questi gli ricordano che bisognerà aprire una trattativa

con quelli che forse hanno la cavalla

e che loro hanno individuato

dopo aver parlato con tanta gente.

È stato un lavoro lungo e faticoso

che ha richiesto pazienza e nervi saldi.

Le regole parlano chiaro:

nessun atto di forza

nessuna minaccia di ritorsioni o di vendetta

anzi fingere che c’è stata persino buona fede.

Loro sanno bene

che prendere bestiame d’ altri è un uso antico

che c’è sempre stato e sempre ci sarà

e che comunque comporta lavoro, fatica

e pericoli che vanno riconosciuti.

Perciò sono pronti a trattare

rispettando tutte le regole;

l’ importante è avere indietro quello che è loro

non tanto per il valore o l’ affetto

anche per questo, ma soprattutto per il suo significato

per mantenere alto il nome della famiglia

la fama di gente che sa tutelarsi e difendere quello che è suo

che ha amici sui quali può sempre contare

in circostanze come questa;

gente che non è facile colpire e sorprendere

senza correre il rischio di essere scoperti.

Sanno che è in ballo il prestigio

e il ruolo della famiglia

la conservazione della stima

e del rispetto di cui essa gode nell’ ambiente

e nel più vasto mondo della campagna.

Nel proprio paese e in tutta la zona

e anche in posti più lontani

in tutto il mondo pastorale della Sardegna interna

dove hanno amici fidati

sui quali possono sempre contare

mettendo in campo i passi giusti

e gli argomenti migliori.

Trovati gli amici che cercano

prima li informano di quello che sanno

poi con loro vanno a parlare con altra gente

senza stancarsi né perdere la calma

neanche davanti a persone tortuose e false.

Dopo tanto parlare scoprono

che la cavalla non è più li,

è stata data a gente di un paese vicino

ed è li che bisogna andare.

Il rito viene ripetuto in tutti i suoi passaggi

per ben cinque volte in cinque paesi diversi

e sempre con pazienza e tenacia

senza perdere la calma

seguendo l’uso di paesi

dove non erano mai stati

e dove non conoscevano nessuno,

seguendo i consigli di quelli

che li avevano accompagnati,

persone di esperienza in grado di muoversi

senza paura e con grande attenzione.

Ci volle una intera settimana

prima di trovare chi aveva la cavalla

e iniziare a trattare.

Nessuno seppe mai quale fu il prezzo,

quale il compenso,

cosa fu a convincere

l’ ultimo anello della catena dello scambio

a restituire la cavalla rubata.

Così però avvenne

e i due tornarono nel proprio paese

con due cavalli.

Il racconto cominciò a girare per le case e negli ovili

e così per molti anni

fino a questo tempo diverso nel quale

nessuno passa più giorni e giorni

dietro una cavalla rubata perché l’ onore è morto

la dignità è scomparsa,

le comunità e le famiglie sono scomposte

ognuno pensa ai suoi guai

e se la cavalla rubata non è morta o venduta

sarà chiesto senza intermediari

un riscatto da pagare in contanti.

Morta che fu la madre

decisero di cambiare vita.

Erano tre fratelli e

un padre vedovo e in cattiva salute.

Quando tutti partivano,

loro erano rimasti in paese

solo per le preghiere della madre.

Cambierà, lei diceva sempre,

vedrete che cambierà

non sarà sempre così;

lo dice anche il proverbio:

“il tempo delle disgrazie non dura per sempre

e neppure quello della fortuna”

basta avere pazienza, diceva.

E loro hanno avuto pazienza finché lei era viva

pur non credendo a quelle cose e anzi sapendo

che il tempo delle disgrazie

non dura per i ricchi

ma per i poveri dura per sempre.

Partirono tutti insieme.

Il padre aveva quasi sessant’ anni

e i figli avrebbero voluto che stesse a casa

ma lui rifiuto dicendo

ho fatto la guerra e saprò

superare anche questa prova

che per quanto possa essere dura

sarà sempre meglio che stare a guardare

sapendo che nulla cambia.

Il primo fratello aveva quasi trent’ anni

e venti l’ ultimo nato.

Partirono presto al mattino

senza neppure guardare

la brina nei campi

e la vecchia cucina.

Il loro cuore piangeva,

ma essi speravano

che il dolore sarebbe presto finito.

All’inizio fu tutto difficile:

la lingua, i modi di fare

e il cibo non erano i loro,

e l’aria era grigia

e mancava la luce del cielo di casa.

Si alzavano prima dell’ alba

come nel vecchio paese per andare al lavoro.

Ma qui era diverso

il tempo non era più loro;

e le giornate sempre più lunghe

e più dure pensando alle cose lontane.

Dopo cinque anni il più grande

tornò a casa col padre

sperando di trovare lavoro

nelle fabbriche appena nascenti

e sposare la donna

da sempre sognata.

Due invece rimasero. Per loro

il ricordo della vita di prima

non è più solo lavoro sprecato

a dissodare una terra disseccata e avara;

non è solo la pena di vivere in una casa

di una sola stanza disadorna

e una cucina annerita,

ma è anche un fiume: una festa,

un ballo tondo;

un bianco campo di asfodeli inondato di sole.

È il canto del gallo e il gracidio delle cicale,

l’ abbaiare dei cani

dietro una lepre o un riccio spinoso;

è un volo di tortore o di pernici,

un orto di fichi d’ india e di meloni.

È un’aria limpida

e un cielo azzurro,

nei pomeriggi col sole calante

dietro grigie colline

che diventano sempre più scure

mentre l’ultima luce muovendo dai campi

illumina i tetti di tegole rosse

entra in casa e la riempie di nuova speranza

come quella che ora

alimenta il desiderio

di andare via da questi luoghi

di fantasmi e di strade fredde

e case tutte uguali

per tornare dove vivono le lucertole

le cicale e le tortore amorose

e ritrovare la vecchia casa con le tegole rotte

e la cucina annerita dal fumo di molti anni

e tutto quel mondo che hanno sempre conosciuto

e che ancora riempie il loro cuore.

Il bianco agnello da latte donato per la Pasqua

viene portato nell’ orto a fianco alla casa

e legato ad una pianta con una fune corta

perché non scappi e non si mangi tutte le lattughe.

Belando piano e smarrito

l’agnello invoca la madre e il latte

con una voce dal dolce sapore di miele novello.

L’ ultima di sette figli,

quattro femmine e tre maschi,

lo accarezza teneramente

e gli parla all’orecchio

pensando che capisca.

La madre, la sorveglia

continuando a lavorare

come fa sempre

e guardandosi intorno

per non lasciare nulla al caso.

Lei non si cura dell’agnello

ma pensa alle tante cose da fare

per festeggiare bene la Pasqua.

Lei non si riposa mai del tutto

ancor meno all’inizio della primavera,

tempo di grande lavoro per i pastori

e ancor più per le loro mogli.

La bambina felice tiene

il muso timido dell’agnello

teneramente tra le sue mani.

Non è ancora la settimana santa

e mancano alcuni giorni alla Pasqua

quando il tempo dell’ agnello arriverà alla fine

e piangerà a lungo

quando vedrà la sua testa così tenera e dolce

interamente ricoperta del suo stesso sangue

e crudelmente esposta sul tavolo della cucina.

Rimasto solo con la giovane luna

il pastore immagina un rifugio caldo

tra le braccia della sua sposa

per lui sempre tenere e morbide

anche se oppresse dalla fatica.

Piangerebbe se potesse lasciarsi andare

seguendo l’ onda dei sentimenti:

ma già da bambino ha imparato

a tenerli a freno e a domarli con le fatiche

che scacciano anche i timori nascosti

nelle lunghe ombre del crepuscolo

sempre minacciose e furtive

come ladri di bestiame

in attesa del suo sonno.

La voce lontana della casa lo chiama

e gli porta il lamento dell’ assenza

mescolato e confuso

con il pianto dell’ ultimo nato

che quasi non conosce ma spera

che un giorno sarà dottore

e curerà le sue piaghe.

Per lui pastore il tempo che deve ancora venire

non sarà diverso da quello che è già venuto

che se n’ è andato in silenzio

senza salutare,

magari temendo che le sue domande potessero fermarlo

obbligandolo ad assistere alle sue disgrazie

delle quali però il tempo non ha colpa.

È lui invece che ha qualche volta sbagliato,

ma non ha intenzione di chiedere scusa:

non l’ ha mai fatto con nessuno

e non lo farà mai

non lo ha fatto neppure

quando qualcuno ci ha provato con la forza

e con accuse infondate.

Del resto non ha mai avuto modo

di pensare ad altro

che non fosse questa fatica

di stare dietro ad un piccolo gregge di pecore

fedeli ma senza cervello

che devono essere guidate perché non si perdano

e attentamente custodite per sottrarle

alla fame antica degli uomini,

anche di quelli vicini

che conosce e rispetta

ma che allo stesso tempo teme e sospetta

perché sa che ciò che li spinge

a tentare di ingannarlo nel buio della notte

è più forte della loro amicizia.

Quando torna la luce ogni mattina

riconta le sue pecore mentre le raduna

e le chiude dentro il recinto per la mungitura

facendole passare ad una ad una

e chiamando ciascuna per nome,

proprio come una figlia,

Ha imparato da bambino a contarle

e a fare mentre le conta

anche il calcolo di quanto potranno rendere,

di quanto costano e di quanto potrà portare a casa

per scacciare il pensiero

che sarà difficile chiudere il cerchio

senza dolore e senza danni.

È sempre così

sin da quando suo padre

lo portò con sé a undici anni

come aveva fatto il padre di suo padre

e ancor prima tutti i padri

con tutti i figli.

Poche cose sono cambiate

e poche cambieranno

e non si sa neppure come.

Meglio che i figli lascino queste terre dissecate

vadano lontano dalle ombre

che circondano minacciose lui e il suo gregge

e non lo lasciano mai tranquillo e in pace.

Il pastore non guarda mai oltre l’ orizzonte

perché tanto l’indomani

sarà un giorno come tutti gli altri.

Sarà come il giorno di oggi

sarà come quello di ieri

che era uguale a quello di avantieri

e così via da tempo immemorabile.

L’ occhio rotondo del gufo

accompagnerà le sue veglie,

gli porterà il lamento del focolare

sarà testimone dei suoi silenzi,

della tristezza e dello sconforto che lo invadono

quando il vento della solitudine

penetra fino in fondo al suo cuore.

Come sempre, domani

andrà in paese al mattino presto

e al ritorno lascerà libero il cavallo.

Lui si fermerà a riposare

sotto l’ albero di olivastro che è un po’ la sua casa

e diventa il suo rifugio

quando il sole si addensa sulle pietre

e sul fieno appena tagliato.

Non ci sono uccelli nei rami dell’ albero

e neppure farfalle nei fiori sparsi tutt’ intorno,

né scarabei verdi nascosti nei cardi secchi.

Ci sono solo mosche che ronzano nelle chiazze di sterco

sparse anche fuori del largo recinto dell’ ovile.

Ma non è questo che lo preoccupa

non è questo che lo rattrista.

Se mai tutto questo gli ricorda che ha un gregge,

un lavoro, un bene sul quale

può sempre contare per se e per la famiglia.

E ciò lo conforta, lo rassicura

e lenisce almeno per un po’ la sua tristezza

che ha i colori del tramonto

un viola che si sposa con l’arancio

e il grigio quasi nero

Lui guarda le nuvole,

guarda dove le spinge il vento

vuole sapere se la notte ci sarà il gelo

 e se domani tornerà la pioggia.

Spera che avvenga il contrario, spera

che di notte ci sia la pioggia e di giorno il sole

e ne cerca i segni nella luce del tramonto

pur sapendo che non sempre dice il vero

proprio come il cuore degli uomini.

10ª

Un uomo cammina nel silenzio della sera fischiando piano:

il suo fischio è conosciuto dai familiari e dagli amici

e da tutti gli animali che alleva

ma anche da animali che non ha mai visto

perché stanno nascosti

nelle cortecce degli alberi, sotto le zolle spaccate

o nei muretti a secco che sono la loro casa.

È il gregge che conosce meglio il fischio del pastore

e ancora più i cani

che eseguono i suoi ordini senza discutere

e senza inutili domande

come hanno fatto sempre.

I cani non sanno e non si curano di sapere

se quello che lui sta pensando sia giusto o sbagliato,

ma quando nelle ciglia scure

intravvedono il luccichio di una lacrima guaiscono piano.

Il figlio che aveva il suo stesso sguardo

e conosceva l’umore dei cani,

dei cavalli e delle pecore quasi meglio di lui

da qualche tempo è lontano dai suoi occhi

perché in una notte maledetta, molto oscura,

e solo a tratti attraversata da una livida luce lunare

si lasciò prendere al laccio dall’ inganno

arrivato da dietro le spalle

con la voce suadente di una avventura

facile e a portata di mano.

Lui l’ aveva avvertito di stare attento

alle voci che ti prendono alle spalle con la frode e l’ inganno

Ma forse era già troppo tardi

ed ora suo figlio è rinchiuso

dietro le porte del carcere

dove il suo cuore ancora tenero

può solo sognare il languore delle stelle

e la dolcezza dell’alba

per tutti i lunghi interminabili giorni

che dovrà passare nella solitudine di una cella

abitata solo da rumori di ferro

e singhiozzi di pianto.

Il padre però spera che il ricordo dei suoi fischi,

del latrato dei cani e del belato delle pecore

penetri le spesse mura dove sta rinchiuso il figlio

e gli riporti la speranza

che tornerà presto come l’ astore

che ha visto tante volte

piombare sulle sue vittime senza alcuna titubanza

perché sa quello che vuole ed è libero di farlo

e che presto rivedrà quel cielo alto e immenso

che tante volte continua a sognare nella prigione;

quel cielo che prima aveva quasi ignorato

senza pensare che un giorno l’ avrebbe perduto.

Non starà rinchiuso per sempre, e quando tornerà a casa

guarderà tutto con altri occhi

e le notti saranno meno lunghe senza le sbarre.

Non pensa che i suoi sogni

in gran parte si perderanno,

e diventeranno un cumulo di rimpianti.

Se ora non avesse sovrabbondanza di sogni

forse il cuore e la mente non sopporterebbero

la sofferenza per i giorni che ha perduto per sempre

e per tutte le cose che ha dovuto lasciare

e che tornano nei sogni

con la voce del vento

che gli porta altre voci conosciute

gli porta la voce dei cespugli e quella degli alberi,

gli porta il respiro del silenzio,

i canti di rame  dei campanacci

e i sospiri dell’ erba che rabbrividisce

sotto il gelo della rugiada prima dell’ alba

prima che spunti il sole e la consoli.

11ª

Dopo il tramonto i più anziani

si alzano dalle panchine della piazza per tornare a casa

nascondendo sotto le vesti pesanti dell’ inverno

un cuore che piange.

Tutti stanno pensando che la notte è un pericolo

non solo per quelli che attendono il loro turno

dopo che due sono morti

sotto il fuoco del fucile

caricato a pallettoni come per la caccia grossa,

ma anche per molti altri che si credono al sicuro.

Il cielo è striato di sangue

e le nuvole appesantite dalle lacrime e dai lamenti

incombono minacciose sul paese affranto.

Chi sarà quello che dovrà cadere domani,

vittima ineluttabile della ferocia che ha investito

e legato l’ intero paese con una catena di sangue?

Chi fermerà la furia cruenta della vendetta

e la spirale di una violenza senza fine?

Nella casa dell’ucciso

la madre urla il suo dolore

e non promette né pietà né misericordia

e tanto meno perdono.

Fratelli e sorelle rinchiusi

in pensieri di morte e di sventura 

sentono che un antico orgoglio li chiama

a vendicare l’ offesa

con spietata veemenza.

Ormai è tardi per fermare la piena del torrente dell’ odio

che minaccia di sommergere e trascinare tutti nel sangue.

I vecchi tratturi della campagna

un tempo ricchi d’asparagi e bacche succose

ora sono oscuri luoghi di pericolo e di morte

non più torrenti d’ acqua fangosa

ma torrenti di sangue sparso ovunque

nella polvere

nei muretti a secco, nei frutti del biancospino,

nei rovi e nel mirto.

I luoghi dove dormivano le martore e le lucertole,

e vivevano le lumache

ora nascondono uomini con il fucile

e con la testa piena di serpenti aggrovigliati

come un gomitolo di spago bagnato dal sangue,

pronti ad uccidere senza pietà.

Nella notte quando tutti gli altri uccelli dormono

le civette cantano la morte.

L’odore acre del sangue copre l’ aria ferma

e spegne tutti gli altri odori.

Ma l’ uomo col fucile non dimentica l’ odore dei fiori

nella stanza della veglia notturna

e del cimitero.

Non dimentica

l’odore acre dello sparo davanti all’ uscio di casa

né l’odore della cera e dell’ incenso

che si spande nell’aria

dietro il cupo suono delle campane

che suonano a morto durante il funerale.

Tutto ora è li

insieme alla sua solitudine

affollata di ombre scure, di fantasmi che parlano

e chiedono giustizia, riparazione e vendetta;

chiedono che nessuno rimanga impunito

e che un nuovo sangue lavi il sangue versato

e non importa se quello che dovrà cadere

non è quello giusto:

importa solo che quel sangue non sia diverso

da quello di colui

che per primo ha iniziato il massacro.

12ª

I tremori, i sospiri, le paure, le emozioni

e i vecchi ricordi dell’infanzia

che credevi di avere rinchiuso per sempre

sotto una muta sepoltura

tornano spesso a trovarti.

La memoria non è ancora del tutto cicatrizzata

e si riapre ogni volta che ripensi al passato

e rivedi nel ricordo  la vecchia casa paterna

con finestre d’ aria azzurra

e voci di gioia giovane

che ora si distendono malinconiche

nel silenzio di un paese scolorito

come un tappeto antico reso fragile dall’uso

e da lavaggi fatti senza riguardo.

13ª

Anche le donne con fazzoletti in testa

e scialli di lana sulle spalle

desideravano essere guardate

quando passavano con gli occhi bassi

nelle strade di ciottoli del paese

sognando il suono di una fisarmonica

che chiama al ballo e alla festa.

14ª

Ogni volta che guarda il mare

ripensa alla spiaggia

che li accolse tanti anni fa

con sabbia bianca immacolata,

ginepri, tamerici, lentischio

e mirto fino al mare.

Tutt’intorno una campagna solitaria

con due case rustiche

e vitelli al pascolo;

un mondo quasi vergine

lasciato in dono,

un mondo che sta scomparendo

soffocato dal clamore dell’oro

nuovo e unico padrone del tempo,

del mare, della terra

e di tutto ciò che essa contiene.

15ª

Con i gruppi in costume

girano il mondo anche quelli

che non conoscono il paese vicino.

Per loro tutto è più facile in terra straniera

e non devono spiegare a nessuno

neppure a se stessi

perché continuano a non fidarsi

neppure dei propri fratelli.

16ª

Anche chi si è illuso di essere cavaliere

-allergico, lunatico e severo con tutti;

-del cibo indifferente, del fare esigente,

del tempo impaziente;

sempre un passo avanti

rispetto al corso degli eventi-

ha sopportato la sella come i cavalli

e ha accettato che chi teneva le briglie

lo portasse dove voleva.

17ª                                   

Nell’aria tersa  e risuonante

di una moltitudine vociante,

improvvisa si diffonde

la dissoluta allegrezza

del falò di S. Antonio.

Al suono della fisarmonica

gente di ogni età

dimentica la prudenza

e si abbandona ai sogni

di caldi amplessi carnali.

Occhi color del vino

inseguono seni arroganti

e inguini vietati.

Quando il fuoco si spegne

nell’aria diventata scura

rimangono solo sospiri senza lacrime,

ricordi rosseggianti di amori impossibili,

e pensieri degli anni lontani

tutti mescolati a voci granulose

che il vento disperde

spegnendo tutti gli ardori

e portando molto freddo.

18ª

Nel crepuscolo

un po’ prima che il giorno

varchi la soglia del buio

gli alberi non parlano, non respirano

non sorridono, non battono le ciglia

stanno assolutamente immobili

aspettando qualcosa che deve accadere

ma che solo loro sanno.

Sarà forse la pioggia che manca da settimane

sarà il vento che da tempo non fa loro compagnia

sarà il volo dei tordi

o degli storni che tarda ad arrivare

oppure sarà una cosa totalmente nuova

che nessuno ha mai visto prima

ma che loro conoscono

a renderli così vigili e silenziosi.

Nel viale ci sono molte ombre;

non ombre immobili

ma ombre che si muovono

che a volte ballano intorno agli alberi

o vanno avanti e indietro

seguendo un loro percorso

che non è quello naturale

e che tutti si aspettano.

Un cane smarrito, forse

abbandonato dal suo padrone,

porta la sua ombra

a confondersi con la più grande

ombra di un albero che la accoglie

rimanendo immobile e indifferente

a ciò che fa il cane.

Un uomo sovrappensiero

si guarda intorno indeciso

se questa sia la strada giusta;

la sua ombra

un po’ lo precede

un po’ lo segue;

poi si divide in due

una sta avanti

e l’altra dietro.

È ormai notte ed è la luna che decide

da che parte deve stare l’ombra.

Non lo fa per uno scopo

o con intenzione consapevole

non si preoccupa di niente

tanto per lei non cambia nulla

che ci sia solo un’ombra

oppure due o molte ombre.

Non è certo l’ombra

che spiega la vita degli alberi o degli uomini

se mai è la luce 

che aiuta a capire e a scegliere.

Ma la luce di per sé

non è né buona né cattiva

e non si cura di quel che succede

agli uomini o alle piante.

Quando le cose accadono

essa fa solo in modo

che tutti le possano vedere

ma non decide se le vedranno

in modo chiaro e distinto

o in modo oscuro e confuso

perché questo dipende solo

da chi guarda.

19ª

Non è l’anima che piange la sera che muore

è la sera che piange per tutte le anime

che sono morte

ma che a volte ritornano;

ritornano quando il buio si addensa

sulle cose più familiari e sui luoghi conosciuti;

ritornano

per cercare proprio quella strada

o quell’angolo nascosto

dove la prima volta timidamente

osarono sfiorare l’amata con un bacio;

ritornano

per rivedere il mare lontano

con la luna all’orizzonte;

o per risentire il pianto li nella chiesa

dove un giorno da vivi si riunirono a pregare

per un amico scomparso; oppure

ritornano per incontrare gli antenati,

gli antichi abitatori dei campi e dei boschi,

i padroni degli alveari e le api ubriache di sole;

o per rivedere i luoghi che avevano guardato

alla prima luce del mattino appena svegli

dopo il lungo abbandono languido e sensuale

iniziato al tramonto

e finito solo all’alba.

20ª

In una mattina di maggio rilucente

in visita ad un nuraghe

un gruppo di persone cerca di scoprire

i misteriosi segni dei suoi antichi abitatori

pensando che coloro che abitarono quelle pesanti rovine

non passarono sulla terra leggeri

ma armati di tutto punto:

di spade e di scudi,

di asce di ossidiana e di bronzo per la guerra;

o di coltelli per i sacrifici rituali.

Non ci sono lamenti nella pietra

né urla di pianto, ma solo

grida di vittoria e di vendetta  contro coloro

che hanno osato portare la violenza e l’offesa.

Dentro quelle alte stanze coniche

una luce alta e immobile evoca una presenza divina,

e le pietre raccontano

storie di guerra, di conquista e di vittoria.

Nell’antichissimo testimone non ci sono

segni di dominio straniero come quelli

che si trovano impressi nelle torri erette lungo la costa,

a difesa di nemici venuti dal mare

per il saccheggio, e i rapimenti delle giovani donne,

né i segni della violenza, della sofferenza e della fame

conservati vicino alle dimore dei signori feudali,

dentro le mura delle città regie,

nelle misere case costruite

sotto i castelli eretti sulle alture

e persino nelle celle dei monasteri.

Qui si vede solo il segno della forza

e della grandezza dominatrice;

qui si sente solo la presenza di spiriti liberi,

qui si conservano solo i sogni

di un popolo di vincitori.

21ª

Nel cuore afoso

dell’estate riarsa

l’argento dei pioppi

diventa verde rame

e le libellule

volano più basse.

Nelle menti

si fanno strada

pericolose semplificazioni

di cose molto complesse

come quella che racconta

del loro essere rimasti

sempre resistenti e mai vinti.

I ricordi rutilanti

rimangono presto senza vita e

molte cose

che parevano chiare

perdono piano piano

il loro senso.

22ª

Nell’ora incerta del crepuscolo la paura

si affaccia sulla soglia del cuore

e si distende spegnendo tutte le luci

fino a riempire

anche gli angoli più segreti.

Nel buio la paura si muove veloce,

prima raffredda il cuore

e lo fa sentire sempre più vuoto

e poi dilaga, rimanendo

muta, oscura e invisibile

come le cose che incontra

e che invade senza nessuno sforzo

perché le trova pronte ad accoglierla

come se non aspettassero altro da sempre.

Ma non tutte le cose cedono alla paura

alcune resistono

restando tranquille al loro posto

e continuando a dare conforto a chi le cerca.

Il profumo del vento e il cielo stellato,

l’odore del legno che brucia nel camino,

le campane della chiesa, il canto degli uccelli,

le candele accese davanti a S. Antonio e S. Rita,

il suono dei campanacci

e il belato degli agnelli. Tutte

riportano la speranza nel cuore

e raccontano che la paura si può vincere

e che presto anche lui potrà lasciare la strada dolorante

nella quale cammina da molto tempo

e può di nuovo sperare

che qualcuno dei vecchi amici, di quelli

che non lo hanno confortato nella disgrazia

né testimoniato la loro amicizia,

ora si ricreda e lo aiuti

a resistere al buio della solitudine.

23ª

Mosè guarda incredulo

i miseri cocci di pietra ormai illeggibili

delle tavole dei dieci comandamenti ridotte in frantumi.

Le avvisaglie però c’erano state

e molto numerose e ripetute

e si sapeva da qualche tempo

che le tavole erano in pericolo.

Ma la cosa più dolorosa per lui è vedere

che anche dopo la loro distruzione

Dio non interviene, come sarebbe giusto;

non richiama i custodi della legge

e non punisce i seguaci infedeli.

Eppure da tempo era chiaro

che quasi nessuno rispettava più la legge

ed era anche evidente

che chi non la violava apertamente

molto spesso percorreva sentieri ambigui

situati a metà strada

tra il rispetto formale dei precetti

e l’abuso dei piaceri del mondo.

Ma oggi, cosa ancora più grave,

anche quelli che credono nella legge

e persino nell’altra vita

non rinunciano ai liberi piaceri di questa

e quando le tavole dicono che una cosa è vietata

al massimo si scusano, chiedono perdono

promettono di cambiare

ma continuano a fare quel che vogliono

e se tutto va male pensano

che ci sarà sempre anche per loro una via d’uscita.

Ma Dio difficilmente chiamerà Mosè una seconda volta

per mediare tra Lui e gli uomini

un nuovo Patto e una nuova Alleanza.

Del resto dopo Mosè

Dio aveva mandato il proprio figlio per fare questo

e certo non vorrà farlo un’altra volta

ma semplicemente prenderà atto

che è maturo il tempo del giudizio finale

che sarà fatto come promesso

secondo carità e misericordia,

ma soprattutto secondo giustizia.

24ª

Bitume, bitume, sempre bitume;

una ininterrotta scia

di nero catrame

ci precede e ci segue ovunque.

Non solo l’aria

ma persino il mare e le foreste

rischiano di soccombere.

All’inizio tutti avevano vissuto senza sospetto

guardando i suoi effetti distrattamente

senza pensare al pericolo.

Ora forse è tardi per rimediare.

Un flusso scuro, caldo e caliginoso

si leva dalle strade e dai tetti delle case

dalle navi nel mare, dagli aerei, dalle fabbriche

e avvolge tutto anche il cielo e le stelle

in una nube bituminosa

che si stende come un manto opaco

sulla Terra facendola diventare

sempre più calda

più tempestosa

più arida quasi a minacciarne la fine

facendola di nuovo scomparire sotto le acque

nonostante il libro sacro abbia promesso agli uomini

che essi non periranno un’altra volta

in un Diluvio universale.

25ª

E’ una giornata di protesta;

le cose non vanno tanto bene

e i discorsi accentuano i pericoli

e ricordano precedenti incontri.

E’ evidente che anche questa volta

procedendo in questo modo

non si andrà lontano

e qualcuno lo sottolinea dicendo

non è vero che stanno risanando il paese;

anzi va sempre peggio

e non si tratta solo del fatto

che quel che accade non viene spiegato.

26ª

Dormire, pensa

si dormire

prima che il tempo venga a scadere

prima che si avveri ciò che si teme,

prima che tutto scompaia in un attimo,

prima che l’intero universo concluda

dentro “un buco nero”

la sua inarrestabile espansione

e il suo continuo mutamento.

Non saranno le giornate a piedi

a fermare la catastrofe

e neppure le pale eoliche o i pannelli solari

e tanto meno

le centrali nucleari.

Non saranno le nostre mani

né le nostre menti

né i nostri congegni raffinati

né le ultime invenzioni della tecnica

né le più brillanti scoperte dei sistemi nascosti

in quello che pensiamo essere

l’ultimo limite dell’universo

a cambiare ciò che è stato

programmato fin dall’origine del tempo,

prima di tutti i tempi.

Meglio dormire piuttosto

che aspettare la fine rimanendo svegli

per non essere colti di sorpresa

e magari per continuare a illudersi di resistere

e sfuggire al destino,

a quella sorte oscura

che continua a tormentare il cuore

e la mente degli umani

da sempre oscillante tra rivolta,

rassegnazione e volontà di cambiamento.

La rivolta è sempre in agguato

nasce al primo apparire di un segnale

che turba il quieto procedere del tempo

insidiando l’armonia del futuro,

rompendo la musica delle ore e dei giorni;

accendendo la luce del mattino

che prima riporta alla vita

ma poi aggredisce e minaccia

con l’arrogante pretesa

di fare finalmente giustizia.

La rassegnazione è umile e mite

è sempre in un angolo, guarda pietosa

e aspetta la sua ora con pazienza.

Sa che sarà chiamata a curare e a confortare,

non certo a spiegare ciò che non conosce

e tanto meno a fermare

il corso delle cose decise da sempre.

La volontà resta lontana dalla soglia

sempre vigile perché sa che un giorno o l’altro

dovrà intervenire e imboccare la strada

per raggiungere quel luogo

dove potrà continuare a tessere una storia

che comprenda e  accolga tutti

con equità e giustizia senza ostilità né odio.

Ma perché dormire?

Se mai per non sprecare nulla,

per consentire che tutte le scelte restino sempre aperte,

perché nessuno sia obbligato

a seguire strade scelte da altri

occorre restare svegli con la mente pronta

per decidere, quando è il momento,

se sia meglio rivoltarsi o rassegnarsi

oppure andare avanti per cambiare

lasciando da parte non solo rivolta e rassegnazione,

ma l’intero universo nel quale

fino ad ora si è vissuti oscillando

tra ottimismo incosciente

e angosciante paura dell’ignoto.

27ª

Il nuovo albero della cuccagna

da tempo non è più un fusto

alto, liscio, oleoso, difficile per tutti

e impossibile per molti.

Ora è una cosa semplice, accessibile a tutti

anche se cambia di continuo

sia nella forma che nei premi.

Per avere successo non è più necessario

pensare o faticare.

Si può avere fortuna semplicemente cantando e/o denudandosi

perché sono queste le cose che piacciono a tutti

e soprattutto a chi comanda.

Oppure si può sfidare la dea bendata

puntando su numeri inseguiti a lungo

pervicacemente o su numeri scelti a caso

o imitando chi ha già avuto fortuna.

Ma meglio, molto meglio e più sicuro

è seguire chi si proclama suo rappresentante,

suo inviato o suo agente

affidandogli tutto

delegandogli persino il compito di fare le leggi,

stabilire le regole e decidere anche chi le deve rispettare.

Tutti sanno che per avere successo

basta semplicemente offrirsi

all’ agente della fortuna

per pulirgli le scarpe,

tenere in ordine i suoi bagni,

riscaldare le alcove,

fargli lo shampoo

e massaggiargli i piedi,

dal momento che la fortuna

è molto sensibile ai gesti di dedizione

fatti senza condizioni e senza limiti.

Essa comunque non bacia a caso

così come capita.

Perciò la cosa più importante

è essere presenti al momento giusto,

proprio quando l’ inviato/agente

o rappresentante della Fortuna

si affaccia con le borse cariche di doni

che distribuisce senza la benda sugli occhi,

scegliendo tutti i fortunati secondo le loro prestazioni

giudicando, valutando, pesando

non l’ efficienza la sincerità il disinteresse,

l’ onestà, l’ altruismo,

il rispetto dell’ equità e della giustizia;

ma solo la dedizione, l’ammirazione entusiasta,

l’approvazione senza riserve,

il consenso e la fiducia nei suoi confronti

espressi senza alcuna esitazione

e soprattutto senza pensare

se quello che si sta facendo

sia giusto o sbagliato.

28ª

Forse non tutti gli angeli ribelli

sono stati individuati e puniti.

Forse qualcuno di loro

ha fatto il doppio gioco

ed è riuscito a ingannare il suo Signore

con angelica astuzia.

Oppure è stato contattato dopo e corrotto

o semplicemente si è convinto della causa del nemico

ragionando da solo

e sfidando il pericolo

pur di riportare ad equilibrio

un potere che egli giudica

troppo sbilanciato e assoluto,

un potere che rispetta il libero arbitrio

solo fino a un certo punto

ma ne punisce tutte le decisioni

prese in contrasto con le sue leggi

e con il rispetto non tanto del bene in sé

quanto della strada percorsa per trovarlo

e dei mezzi usati per realizzarlo.

Una quinta colonna, si potrebbe definire,

un infiltrato

oppure un angelo che si è convinto

che uno come Bruto è necessario,

per contrastare il “padre” e magari ucciderlo

dopo aver tentato invano

di condizionarne la forza

o anche solo di cambiare le leggi,

i premi e le pene troppo pesanti da esse previste,

che peraltro erano state addolcite

direttamente dagli uomini

i quali, guidati dagli altri angeli perduti,

avevano proceduto per conto loro

a rivedere i principi, e cambiare i costumi,

per rendere più dolce la vita

e non costringere tutti a sopportare il dolore

in attesa del premio nella seconda vita.

Da allora gli uomini non hanno mai cessato

di cercare di realizzare, in piena autonomia e libertà,

e promettendo autodisciplina e autocontrollo,

le condizioni necessarie per una vita più felice,

ignorando tutti i richiami del loro Signore,

i segnali di disappunto,

la disapprovazione esplicita

manifestata in più modi e più volte dai suoi rappresentanti,

contro i tentativi di allontanare la sofferenza

e lenire il dolore essendo stati convinti

che la buona vita si realizza

non con i sacrifici ma nella pienezza dei sensi

e nella totale soddisfazione della mente,

non dal consiglio degli angeli ribelli

che si erano contrapposti esplicitamente al loro Signore,

ma dalla voce di qualcuno degli angeli rimasti fedeli

che aveva deciso di far sua la causa degli uomini

e di sostenerli senza mai comparire

né venire allo scoperto

e senza mai sospettare

che forse tutto era stato già previsto da sempre,

non da un potere sconosciuto o contrapposto,

ma proprio direttamente dal suo Signore.

29ª

Tutti i nomi degli antenati sono scritti

nelle pietre consunte delle strade

che essi hanno percorso

nei giorni della gioia e del dolore,

in quelli della carestia e dell’abbondanza.

Nessuno però sa leggere quei segni

perché il tempo sentendosi trascurato

si è offeso e sen’è andato

non si sa dove

portandosi via i ricordi, la lingua

e persino l’alfabeto.

30ª                             

Dopo il tg della notte è più sereno

e va a dormire tranquillo

perché quelli che hanno avuto le case distrutte dal terremoto

non saranno abbandonati.

Anche se dovranno stare per un po’

in tende da campo o in alloggi precari,

una soluzione c’è stata

e si può recitare una preghiera

per tutti quelli che hanno prestato soccorso

e soprattutto per il capo del Governo

che si è tanto adoperato per tutti.

A letto però non riesce a dormire.

Non per le immagini del terremoto,

ma perché ha la mente occupata da una strana fantasia

totalmente diversa dagli avvenimenti reali.

Immagina di assistere a un concerto sulla spiaggia

con uomini rasati a zero che si fingono cantanti

e quando capiscono che stanno per essere scoperti

tentano di lasciare il palco eretto nella sabbia

senza dare nell’ occhio per paura che la folla

scopra l’ inganno e li fermi con la violenza.

Quando si muovono

nessuno capisce cosa veramente sta accadendo

alcuni chiedono spiegazioni

ed altri pensano ad un trucco inventato

per movimentare la serata.

Nel cielo notturno volano aquiloni fosforescenti

e la luce della luna sembra diversa

sembra quasi che protesti,

prima che una nuvola carica di acqua

la spenga senza preavviso

e senza chiedere scusa.

Gli aquiloni sia pure con una vena di sconforto

rimangono in volo per forza d’ inerzia ma a luci spente,

sospesi nell’aria come una minaccia sopra la folla.

La notte è lunga e l’ alba lontana

e la minaccia rimane nell’aria fino al mattino

quando tutti schiudono le loro stanze,

anche quelle più riservate,

per accogliere il sole.

Ma il sole non vuole entrare dovunque:

si ferma perplesso davanti a certe soglie,

per paura di rimanere prigioniero tra quattro mura senza finestre

dove non vedrebbe il mare e neppure gli alberi

né l’ erba e neppure gli aquiloni

abbandonati e ignorati da tutti.

Gli spettatori che hanno trascorso le ore notturne

sotto una torre aragonese

costruita su una riva sassosa e poco accogliente

si svegliano tutti indolenziti.

Qualcuno ha raccolto una scheggia di granito

molto antica e molto consumata,

affilata come un coltello sacrificale

e la guarda con attenzione

perché gli sembra che conservi ancora

tracce del sangue delle vittime

mescolato ai segni della salsedine.

A guardarla meglio

la scheggia di pietra antica dilavata

più che un coltello sembra un pesce

con scaglie chiare e venature scure.

E’ diversa dalle altre pietre

e si vede che è venuta da lontano

portata fin li dalle tempeste per raccontare in silenzio

storie strane di rapimenti e di naufragi

di tesori nascosti in luoghi disabitati

lontani dalle rotte più conosciute.

Ma colui che ha raccolto la pietra

non pensa alle storie dei tesori nascosti

in isole misteriose e irraggiungibili,

ma sogna avventure più a portata di mano

e allo stesso tempo più antiche

e più resistenti al cambiare delle stagioni

della storia, delle mode

e persino della violenza

praticata dalle dominazioni

che hanno segnato i millenni.

Sogna una Venere che nasce dalle acque;

lo seduce e lo conduce lontano

da questi lidi sonnolenti e noiosi

dove non succede mai nulla.

Quando la fantasia si spegne

si sente molto sconsolato.

Torna a casa e nel silenzio gli sembra di sentire

il rumore dei passi della sua donna

che stanca d’aspettare ha deciso di andar via

e si allontana nella strada ancora deserta

senza voltarsi indietro.

Il vento della notte ha coperto di sale

le grandi vetrate aperte sui terrazzi.

Una foschia grigia come un crepuscolo

sale dal mare diventato invisibile

e avvolge la casa e le piante, oscura il cielo

e rende più incerte le fantasie di una mente turbata

che conserva indelebile e chiaro

solo il ricordo dei passi

che si perdono nel silenzio.

31ª                 

Dietro rilucenti pareti di cristallo

sfilano le rutilanti immagini

del consumismo post – moderno,

tutte le ultime invenzioni delle menti informatizzate

che anticipano i pensieri di chi guarda

e gli fanno vedere il futuro

senza dover uscire dal presente.

Con un salto di tempo solo apparente

la creatura mutante sotto la spinta costante

di messaggi sempre più invasivi

vive una soggettualità altra

pur rimanendo fisicamente la stessa.

Il nuovo Narciso non è uno comparso dal nulla,

ma è figlio del suo tempo, conosce le risorse della tecnica

e consuma i suoi prodotti.

Compiaciuto di sé, -di quello che è già

e più ancora di quello che sarà sicuramente domani-

non ha paura di perdere qualcosa.

Anzi tutto immerso

-nella sua grande autostima – 

pensa che crescerà ancora,

è convinto che presto

vivrà dentro una nuova dimensione

che oltrepasserà quella

della vita vissuta una sola volta

moltiplicandola all’ infinito

per tante volte quante saranno

o potranno essere le metamorfosi

indotte dalle ambizioni umane

cresciute con la scienza

e realizzabili con la tecnica.

I nuovi Narcisi pensano

che non tutti godranno per intero questi privilegi

e non tutti sopravviveranno

alla prova del cambiamento e dei passaggi di fase,

ma solo quelli che credono fermamente,

solo i più forti e i più convinti

solo quanti sapranno fare in modo

che si realizzi la promessa dell’ebbrezza assoluta

non per un giorno o due ma per sempre.

Solo quelli che crederanno

in quello che dicono le grandi menti nascoste nelle macchine

che governano le immagini del mondo,

solo quelli che capiranno

che l’ unico mondo realmente esistente

non è quel cumulo di vecchie ferraglie arrugginite

cariche di dolore, di paura e di rancore,

oltre che di rimpianti

che ancora sopravvive nella mente dei più ingenui,

ma quello creato dalla tecnica

che non riconosce

le antiche bandiere conservate gelosamente

nei vecchi armadi della memoria

ma accetta solo le ragioni e gli orizzonti post-umani

solo quegli elementi ancora fluidi, informi e poco conosciuti

e tuttavia presenti nelle fondamenta

di un mondo e di un tempo

che per i non più umani Narcisi

non avranno più fine

come annunciano le trombe

e i tamburi che celebrano una nuova era

che vedrà finalmente

la morte della morte.

32ª

Tradire, traditore, tradimento:

tante volte queste parole

chiudono un mondo di relazioni e di affetti

d’improvviso senza appello

senza che ci sia un’avvisaglia

né un segnale, né un sospetto.

Il tradimento

non sempre è pensato, costruito,

preparato con calma

con una volontà esplicita e con una chiara consapevolezza.

Spesso il tradimento

non lascia traccia né segno visibile

neppure nell’inconscio profondo di chi lo compie.

Le sue cause rimangono quasi sempre sconosciute,

oscure, inesplorate,

come se cumuli di neve ghiacciata,

mai sciolti del tutto,

alimentassero nell’animo

scuri rivoli di risentimento

che chiamano vendetta

ritorsioni e rivincite contro altri tradimenti

veri o presunti.

Un sole nero rinchiuso dentro l’anima

scioglie il ghiaccio trasformandolo

in torrente fangoso di acque torbide

che sommergono tutto:

gli affetti, i giuramenti, le memorie

sotto una fanghiglia gialla

di odio cieco senza confini.

Il tradimento non avverte nessuno

colpisce inaspettato e sconvolge la vita di molti

portando alla luce segreti inconfessati

e tenuti nascosti da chi per paura di essere punito

e a sua volta tradito e abbandonato,

giudicato malvagio, egoista e crudele,

tiene segrete molte  parti di sé,

non si svela mai del tutto, anzi cerca

di ingannare, di travisare, di celare e se necessario arriva a tradire

per difendere e affermare

pienamente il suo io.

Tradire vuol dire spesso ignorare,

soltanto ignorare l’altro.

Colui che viene tradito

semplicemente scompare dall’orizzonte,

e per un momento

non si sa quanto grande

non esiste più,

è come se non fosse mai esistito.

A volte invece non è questo che avviene:

a volte l’esclusione è consapevole

voluta, persino desiderata,

costruita freddamente con la ragione

 e attesa per anni

aspettando il tempo opportuno,

l’occasione più facile

e anche il momento più delicato

per fare più male.

Grande è lo spazio del tradimento,

innumerevoli le cause

infinite le specie e i modi

con i quali si consuma

e non c’è giorno senza tradimento.

Ma c’è tradimento e tradimento:

ci sono quelli tragici,

ma anche quelli

apparentemente innocui, non voluti

nascosti nelle piccole cose

invisibili a tutti, anche alla persona che tradisce.

Non si sa perché

ma proprio questi tradimenti non voluti,

una volta conosciuti,

diventano tanto duri e insopportabili

da spingere all’autodenuncia e alla autopunizione,

a volte consumata in segreto,

nell’intimo della coscienza, a volte

in pubblico al cospetto di tutti

per portare la vergogna e il rimprovero

fino all’estremo

fino alla condanna pubblica.

Tutti qualche volta tradiscono:

c’è chi tradisce la famiglia

chi gli amici, la patria, la classe, la scuola,

la chiesa e i propri stessi interessi.

Nessuno può dire di non  aver mai dimenticato

giuramenti, promesse, impegni presi solennemente

o di non avere mai ignorato un contratto

o mancato al dovere e alla parola data

oppure varcato confini vietati

aperto porte chiuse, ignorato i divieti,

violato le regole.

Siamo tutti traditori anche

quando chiudiamo gli occhi,

e oscuriamo la coscienza

confondiamo la mente

e lasciamo che su tutto prevalga l’istinto,

il nudo istinto

che non conosce violazioni o trasgressioni

e neppure tutte le altre cose

che siamo soliti chiamare tradimenti. 

33ª

<<Oh tu che volgi la ruota e guardi

nella direzione del vento>>

li dove nasce il canto delle sirene,

tu che speri di usare

le forze immani delle onde

per arrivare nel luogo descritto

dal loro suadente canto e intravisto

nei tuoi sogni di avventura,

pensa alla sofferenza

di chi teme per la tua vita

e non lasciare che il vento,

che non ti è amico,

ti conduca sempre più lontano

dal tuo naturale destino

e da quelli che aspettano

con ansia il tuo ritorno.

One Comment

  1. Italo Ferrari

    Questo è un Pietrino Soddu diverso da quello che ho conosciuto io per lunghi anni, o forse no, bisognava saper guardare al di là dell’apparenza. Ne viene fuori il sapore di una Sardegna che drammaticamente forse non c’è più, chiusa nella tragica bellezza della sua cultura ancestrale, il mare appena sfiorato in un verso che tuttavia evoca anch’esso immagini pastorali; e infine, lo sfogo di sentimenti e di rimpianti che nascono dall’esperienza di una vita vissuta con intensità e con passione fra l’impegno politico e civile e il mondo tutto personale degli affetti.

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