Il tempo dei Sardi (II). Passaggi [di Pietrino Soddu]
Pubblichiamo la seconda parte di Il tempo dei Sardi di Pietrino Soddu. L’esponente politico, che è stato Presidente della Regione e Parlamentare, si misura con la scrittura poetica ed attraverso questa traccia un epos. Si tratta della storia della Sardegna ab antiquo filtrata attraverso un punto di vista di chi è stato protagonista e testimone delle vicende dell’isola dagli anni Cinquanta. Il suo sguardo tematizza una vicenda che dall’antichità arriva ad oggi nella convinzione che soltanto una diversa narrazione può restituire alla contemporaneità un senso per procedere e per oltrepassare un presente affatto confuso. L’opera fu presentata nell’iniziativa “Sardeide: dalla sarditudine alla Sardegna. Una narrazione da riscrivere” dall’Associazione Lamas il 12 luglio 2013 nella chiesa di San Giovanni a Pattada. A quell’incontro per dialogare della Sardegna con Pietrino Soddu parteciparono storici, filosofi, amministratori, sindacalisti e un pubblico numeroso e senza barriere anagrafiche. Quel dibattito lo vorremo aprire ad un pubblico più vasto. Soprattutto in questo momento è utile chiedersi e riflettere sui temi relativi ai quesiti “Chi siamo” e “Cosa saremo”. La prima parte dal titolo Il tempo è stata pubblicata lunedì 30 dicembre 2013
PASSAGGI 1ª. L’infanzia era una cucina odorosa di pane appena cotto e di dolci preparati per la festa; era un cortile d’ombra e di sole con un albero di melograno, gatti, galline e altri animali addomesticati. Era una strada popolata di cani di carri, di buoi e di cavalli, di escrementi fumanti nei ciottoli del vecchio selciato. Era una palla di stracci che sfidava il letame. L’adolescenza era stare seduti per ore in una panchina di pietra davanti alla chiesa, sognando un futuro diverso, non più di partite a pallone di angurie e meloni rubati e vacanze in campagne assolate, ma grandi avventure e amori segreti, lontano dal triste lamento di Abele e dall’insana ferocia del fratello Caino. Era passare le ore ascoltando i rintocchi dei quarti e il latrare dei cani, contando le stelle, raccontando ogni notte le solite storie di guerra, di caccia, di grandi rapine e feroci sequestri, di lunghi processi a banditi famosi, di intrighi tra parenti nemici, tra preti e sacristi intrisi d’incenso, di amanti segrete e mariti traditi, e sempre sognando di avere un incontro con quella ragazza seguita ogni sera a passeggio nel corso. 2ª . Seduti su panchine di pietra appoggiate al muro, o su piccole sedie col fondo in legno collocate in cerchio accanto ai portoni d’ingresso, nelle sere d’estate parlano poco e quasi sempre delle stesse cose. Dei matrimoni, dei morti, dei battesimi e del tempo, della raccolta del grano, del latte, del vino e dell’ olio, delle patate, dei pomodori e del granturco, non secondo i canoni di oggi, ma secondo i canoni della vecchia civiltà contadina, sobria e risparmiatrice, che imponeva che niente, neanche una parola, andasse sprecata. La voce di uno che sa raccontare riempie il silenzio; tutti gli altri ascoltano limitandosi ad assentire, o dicendo eh, già! ah, si capisce! e quando il racconto si fa più misterioso con cose non tanto normali esclamano increduli bah, bah !! dai non può essere! Così tutti i giorni senza mai annoiarsi. Gli eh, i boh e i bah non riempiono gli spazi vuoti ma lasciano che ognuno aggiunga al racconto quei sogni d’ amore e d’ avventura che non hanno trovato posto nelle parole del narratore. 3ª Il grano appena lavato viene steso al sole in grandi cesti rotondi di asfodelo. Il suo colore d’ oro antico rallegra e rassicura. Domani sarà sparso sul tavolo grande della cucina per essere purgato da mani sapienti con un lavoro lungo e paziente fatto quasi senza guardare soltanto col tatto dei polpastrelli che sanno riconoscere e distinguere il grano dal loglio, dalla sabbia e da tutte le altre presenze indesiderate. Tra qualche giorno questo lavoro sarà finito e le donne porteranno il grano al mulino. Tra una settimana tutto ciò che occorre per procedere alla cottura del pane sarà pronto. La crusca separata dalla farina e dalla semola, il forno ripulito dalla vecchia cenere e la legna tagliata secondo misura; i grandi catini di terracotta pronti per l’ impasto e per la lievitazione le spianate di pane morbido messe a lievitare dentro grandi panni lunghi e stretti. Le pale di legno e quelle di ferro e i mattarelli levigati dall’ uso, le scope di erba dura per spostare la cenere e tenere pulito il pavimento del forno, sono pronte dal giorno prima. All’alba del giorno fissato tutta la famiglia è presente in cucina, adulti e bambini, maschi e femmine, e persino il capo famiglia. Tutti hanno il loro compito: una sta al forno, una divide la pasta tre stendono le sfoglie; i bambini spolverano la farina dal pane sfornato, aprono i grandi cuscini rotondi gonfi d’ aria calda e impilano i fogli uno sopra l’ altro con molta cura in modo che possano essere facilmente infornati una seconda volta fino a diventare dorati e croccanti. La bocca del forno è bassa e la donna addetta alla cottura è seduta per terra a gambe distese. Il giorno è lungo e la fatica grande ma tutti sono contenti e parlano liberamente come non avviene nei giorni normali. E’ festa, festa grande che rende felici e libera la mente dai cattivi pensieri perché il pane per un po’ è sicuro e la penuria si allontana. Il ricordo del duro lavoro della semina e poi della lotta alla segale cornuta e alle altre erbe nocive, si confonde con il ricordo del languido tubare delle tortore nascoste tra le spighe perdute dal mietitore, e si mescola con il grano nell’ aia che ha il colore del sole al tramonto diverso dal colore del grano portato al mulino che è più scuro come se avesse nostalgia della spiga. L’ odore del pane appena sfornato riempie la cucina: il suo profumo di vita e di speranza, si espande e diventa troppo grande per fermarsi nel chiuso spazio della stanza e così si diffonde nel cortile e nelle strade vicine che gioiscono di questa presenza che si muove dolce e penetra ovunque mescolandosi al profumo degli altri forni accesi nel paese senza invidia né gelosia, senza primogeniture senza segni di comando o di possesso. Anche il cane nel cortile si rallegra perché sente che il suo cibo è sicuro. Il pane cotto apposta per lui è preparato da mani giovani che devono ancora imparare. Ha il colore bruno scuro delle tegole ma è poroso, morbido e profumato quasi come quello degli uomini. La luna ancora in fasce accenna un sorriso che è anche una preghiera di essere guardata e chiamata a sedere alla tavola imbandita con il pane fragrante e il vino novello e la frutta secca conservata per l’ inverno. 4ª L’ animale destinato al sacrificio non sospetta che questo non è un giorno come gli altri e comincia a grugnire come ogni mattina prima piano e poi sempre più forte invocando il cibo. Gli uomini lo vorrebbero tranquillo per rendere la cosa più facile e compiere il rito con un solo colpo dritto al cuore senza alcuno sciupio di tempo e di fatica, senza dolore o sofferenza per lui. Non ci sono voci di uccelli nell’aria né di altri animali; anche i cani aspettano in silenzio la loro parte. Nell’ aria tersa prima dell’ alba tutto è immobile persino il vento per cominciare il suo lavoro aspetta che gli uomini portino a compimento il loro rito. Le donne pensano commosse che non potranno più parlargli come quando gli portavano il cibo e pulivano il pavimento della stalla. Pregano in cuor loro che non provi dolore ma con il pensiero sono già lontane e sorridono perché oggi è festa e anche domani e dopodomani quando però dovranno stare molto attente a non sbagliare con il sale e con il pepe e con l’ insaccatura della carne. Tutto ormai è pronto, ma per prudenza i coltelli vengono ricontrollati passando un polpastrello sul filo della lama, i secchi per il sangue vengono risciacquati un’altra volta e gli spiedi messi da parte insieme alle graticole; la scala di legno robusto appoggiata al muro meglio assestata; i compiti di ciascuno, compresi quelli dei bambini, -ai quali spetta preparare la vescica ripulirla per bene e gonfiarla con il loro fiato giovane-, vengono confermati senza cambiare nulla perché sono sempre gli stessi, questa volta come tutti gli altri anni. Il giorno ormai è chiaro e si può cominciare c’è aria di festa e tutti parlano contemporaneamente. Presto l’ aria avrà l’ odore delle viscere mescolato con l’ odore del pelo bruciato e poi con il profumo della carne arrosto che si diffonderà per tutto il paese rallegrandolo dal primo mattino. 5ª Solo chi ha sofferto la sete può dire veramente cos’è l’ acqua conoscendone l’immenso valore, quello misurato dalla paura che la sete ritorni. Per quelli che l’ hanno sempre avuta in abbondanza e persino in sovrabbondanza l’acqua non ha lo stesso valore anzi spesso è un nemico, una minaccia un pericolo sempre in agguato, che può causare danni come è già successo e come può succedere ancora con le grandi piogge, le alluvioni, le mareggiate, le tempeste, i maremoti e le grandi tormente di neve. Il diluvio universale si è impresso nella memoria dell’ umanità come la più grande catastrofe di ogni tempo che non potrà più ripetersi perché è stato promesso che quando verrà l’ ultima ora il mondo finirà non per acqua ma per fuoco. Per noi l’ acqua non è mai stata una cosa da comprare ma un bene primario, un bene di tutti. Non c’ era un padrone dell’ acqua ciascuno aveva diritto alla sua parte, per irrigare gli orti o per abbeverare il bestiame, lavare il grano in casa e i panni e la lana nei fiumi. Tutti potevano attingerne dai fiumi e dalle sorgenti ma senza commettere abusi ed evitando gli sprechi. L’acqua era un miracolo una magia da rispettare dovunque essa si trovasse. Il luogo preferito dell’acqua era però l’ orto: pomodori, fagiolini, zucchine angurie, meloni, melanzane, lattughe, patate, cetrioli peperoni, e tante altre piante verdi erano i suoi gloriosi trofei nati dentro solchi carezzati teneramente ogni sera a lungo anche dopo il tramonto fino a notte. La terra si apriva dolcemente alla voce dell’acqua aspettava le sue carezze concedendosi senza riserve, assorbendola con gioia fino alle radici delle piante che si rallegravano come bambini cullati dalla voce materna. Acqua, madre nostra sembravano dire nella loro lingua verde tutte le foglie risvegliate dalla sonnolenza dell’ afoso meriggio. Nei roventi giorni di giugno i mietitori invocavano l’acqua e invidiavano le anatre immerse nelle pozze del fiume e i cavalli che si abbeveravano a una fonte all’ombra di lecci frondosi. L’acqua più preziosa era l’acqua di primavera perché dava la certezza di un buon raccolto, assicurava il pane per tutto l’anno allontanando lo spettro della carestia dando fiducia a quanti spendevano la loro vita nei campi e confortando soprattutto le madri perché vedevano allontanarsi la paura di non aver pane per tutti. 6ª Non hanno atteso l’ alba. A loro basta la luce tenera di una falce di luna, perché conoscono i sentieri che hanno esplorato ancora ieri palmo a palmo per individuare le orme della cavalla scomparsa che portano al confine del paese vicino. Hanno deciso di arrivare li prima del sorgere del sole prima che si sciolga la brina prima che altri passi confondano le impronte della cavalla rubata. Sanno che dovranno andare a parlare con amici fidati che altre volte li hanno aiutati. Sanno che le tracce quasi certamente non si fermano nel paese vicino ma vanno oltre verso paesi più lontani e meno conosciuti da loro. Occorrerà perciò chiedere aiuto per riavere quello che stanno cercando. Il viaggio potrebbe essere lungo e loro si sono preparati per stare qualche giorno lontano da casa. Sono calmi; sanno che dovranno trattare concedere qualcosa come d’ uso, fingere quasi uno scambio, riconoscere sia pure a malincuore che non c’è stato odio da parte degli altri e neppure mancanza di rispetto ma solo bisogno. Sono in due con un cavallo per potersi riposare ogni tanto a turno e seguire senza interruzione le tracce. A tratti quando le orme si fanno più incerte vanno entrambi a piedi. Per fortuna non ha piovuto da giorni e i segni delle impronte sono ben visibili sia nella terra che tra i sassi. L’ animale che cercano è una cavalla di otto anni, una fattrice docile, forte e di bella forma
due maschi e due femmine. Arrivati al paese cercano gli amici che conoscono da tempo e che avevano già informato. Questi gli ricordano che bisognerà aprire una trattativa con quelli che forse hanno la cavalla e che loro hanno individuato dopo aver parlato con tanta gente. È stato un lavoro lungo e faticoso che ha richiesto pazienza e nervi saldi. Le regole parlano chiaro: nessun atto di forza nessuna minaccia di ritorsioni o di vendetta anzi fingere che c’è stata persino buona fede. Loro sanno bene che prendere bestiame d’ altri è un uso antico che c’è sempre stato e sempre ci sarà e che comunque comporta lavoro, fatica e pericoli che vanno riconosciuti. Perciò sono pronti a trattare rispettando tutte le regole; l’ importante è avere indietro quello che è loro non tanto per il valore o l’ affetto anche per questo, ma soprattutto per il suo significato per mantenere alto il nome della famiglia la fama di gente che sa tutelarsi e difendere quello che è suo che ha amici sui quali può sempre contare in circostanze come questa; gente che non è facile colpire e sorprendere senza correre il rischio di essere scoperti. Sanno che è in ballo il prestigio e il ruolo della famiglia la conservazione della stima e del rispetto di cui essa gode nell’ ambiente e nel più vasto mondo della campagna. Nel proprio paese e in tutta la zona e anche in posti più lontani in tutto il mondo pastorale della Sardegna interna dove hanno amici fidati sui quali possono sempre contare mettendo in campo i passi giusti e gli argomenti migliori. Trovati gli amici che cercano prima li informano di quello che sanno poi con loro vanno a parlare con altra gente senza stancarsi né perdere la calma neanche davanti a persone tortuose e false. Dopo tanto parlare scoprono che la cavalla non è più li, è stata data a gente di un paese vicino ed è li che bisogna andare. Il rito viene ripetuto in tutti i suoi passaggi per ben cinque volte in cinque paesi diversi e sempre con pazienza e tenacia senza perdere la calma seguendo l’uso di paesi dove non erano mai stati e dove non conoscevano nessuno, seguendo i consigli di quelli che li avevano accompagnati, persone di esperienza in grado di muoversi senza paura e con grande attenzione. Ci volle una intera settimana prima di trovare chi aveva la cavalla e iniziare a trattare. Nessuno seppe mai quale fu il prezzo, quale il compenso, cosa fu a convincere l’ ultimo anello della catena dello scambio a restituire la cavalla rubata. Così però avvenne e i due tornarono nel proprio paese con due cavalli. Il racconto cominciò a girare per le case e negli ovili e così per molti anni fino a questo tempo diverso nel quale nessuno passa più giorni e giorni dietro una cavalla rubata perché l’ onore è morto la dignità è scomparsa, le comunità e le famiglie sono scomposte ognuno pensa ai suoi guai e se la cavalla rubata non è morta o venduta sarà chiesto senza intermediari un riscatto da pagare in contanti. 7ª Morta che fu la madre decisero di cambiare vita. Erano tre fratelli e un padre vedovo e in cattiva salute. Quando tutti partivano, loro erano rimasti in paese solo per le preghiere della madre. Cambierà, lei diceva sempre, vedrete che cambierà non sarà sempre così; lo dice anche il proverbio: “il tempo delle disgrazie non dura per sempre e neppure quello della fortuna” basta avere pazienza, diceva. E loro hanno avuto pazienza finché lei era viva pur non credendo a quelle cose e anzi sapendo che il tempo delle disgrazie non dura per i ricchi ma per i poveri dura per sempre. Partirono tutti insieme. Il padre aveva quasi sessant’ anni e i figli avrebbero voluto che stesse a casa ma lui rifiuto dicendo ho fatto la guerra e saprò superare anche questa prova che per quanto possa essere dura sarà sempre meglio che stare a guardare sapendo che nulla cambia. Il primo fratello aveva quasi trent’ anni e venti l’ ultimo nato. Partirono presto al mattino senza neppure guardare la brina nei campi e la vecchia cucina. Il loro cuore piangeva, ma essi speravano che il dolore sarebbe presto finito. All’inizio fu tutto difficile: la lingua, i modi di fare e il cibo non erano i loro, e l’aria era grigia e mancava la luce del cielo di casa. Si alzavano prima dell’ alba come nel vecchio paese per andare al lavoro. Ma qui era diverso il tempo non era più loro; e le giornate sempre più lunghe e più dure pensando alle cose lontane. Dopo cinque anni il più grande tornò a casa col padre sperando di trovare lavoro nelle fabbriche appena nascenti e sposare la donna da sempre sognata. Due invece rimasero. Per loro il ricordo della vita di prima non è più solo lavoro sprecato a dissodare una terra disseccata e avara; non è solo la pena di vivere in una casa di una sola stanza disadorna e una cucina annerita, ma è anche un fiume: una festa, un ballo tondo; un bianco campo di asfodeli inondato di sole. È il canto del gallo e il gracidio delle cicale, l’ abbaiare dei cani dietro una lepre o un riccio spinoso; è un volo di tortore o di pernici, un orto di fichi d’ india e di meloni. È un’aria limpida e un cielo azzurro, nei pomeriggi col sole calante dietro grigie colline che diventano sempre più scure mentre l’ultima luce muovendo dai campi illumina i tetti di tegole rosse entra in casa e la riempie di nuova speranza come quella che ora alimenta il desiderio di andare via da questi luoghi di fantasmi e di strade fredde e case tutte uguali per tornare dove vivono le lucertole le cicale e le tortore amorose e ritrovare la vecchia casa con le tegole rotte e la cucina annerita dal fumo di molti anni e tutto quel mondo che hanno sempre conosciuto e che ancora riempie il loro cuore. 8ª Il bianco agnello da latte donato per la Pasqua viene portato nell’ orto a fianco alla casa e legato ad una pianta con una fune corta perché non scappi e non si mangi tutte le lattughe. Belando piano e smarrito l’agnello invoca la madre e il latte con una voce dal dolce sapore di miele novello. L’ ultima di sette figli, quattro femmine e tre maschi, lo accarezza teneramente e gli parla all’orecchio pensando che capisca. La madre, la sorveglia continuando a lavorare come fa sempre e guardandosi intorno per non lasciare nulla al caso. Lei non si cura dell’agnello ma pensa alle tante cose da fare per festeggiare bene la Pasqua. Lei non si riposa mai del tutto ancor meno all’inizio della primavera, tempo di grande lavoro per i pastori e ancor più per le loro mogli. La bambina felice tiene il muso timido dell’agnello teneramente tra le sue mani. Non è ancora la settimana santa e mancano alcuni giorni alla Pasqua quando il tempo dell’ agnello arriverà alla fine e piangerà a lungo quando vedrà la sua testa così tenera e dolce interamente ricoperta del suo stesso sangue e crudelmente esposta sul tavolo della cucina. 9ª Rimasto solo con la giovane luna il pastore immagina un rifugio caldo tra le braccia della sua sposa per lui sempre tenere e morbide anche se oppresse dalla fatica. Piangerebbe se potesse lasciarsi andare seguendo l’ onda dei sentimenti: ma già da bambino ha imparato a tenerli a freno e a domarli con le fatiche che scacciano anche i timori nascosti nelle lunghe ombre del crepuscolo sempre minacciose e furtive come ladri di bestiame in attesa del suo sonno. La voce lontana della casa lo chiama e gli porta il lamento dell’ assenza mescolato e confuso con il pianto dell’ ultimo nato che quasi non conosce ma spera che un giorno sarà dottore e curerà le sue piaghe. Per lui pastore il tempo che deve ancora venire non sarà diverso da quello che è già venuto che se n’ è andato in silenzio senza salutare, magari temendo che le sue domande potessero fermarlo obbligandolo ad assistere alle sue disgrazie delle quali però il tempo non ha colpa. È lui invece che ha qualche volta sbagliato, ma non ha intenzione di chiedere scusa: non l’ ha mai fatto con nessuno e non lo farà mai non lo ha fatto neppure quando qualcuno ci ha provato con la forza e con accuse infondate. Del resto non ha mai avuto modo di pensare ad altro che non fosse questa fatica di stare dietro ad un piccolo gregge di pecore fedeli ma senza cervello che devono essere guidate perché non si perdano e attentamente custodite per sottrarle alla fame antica degli uomini, anche di quelli vicini che conosce e rispetta ma che allo stesso tempo teme e sospetta perché sa che ciò che li spinge a tentare di ingannarlo nel buio della notte è più forte della loro amicizia. Quando torna la luce ogni mattina riconta le sue pecore mentre le raduna e le chiude dentro il recinto per la mungitura facendole passare ad una ad una e chiamando ciascuna per nome, proprio come una figlia, Ha imparato da bambino a contarle e a fare mentre le conta anche il calcolo di quanto potranno rendere, di quanto costano e di quanto potrà portare a casa per scacciare il pensiero che sarà difficile chiudere il cerchio senza dolore e senza danni. È sempre così sin da quando suo padre lo portò con sé a undici anni come aveva fatto il padre di suo padre e ancor prima tutti i padri con tutti i figli. Poche cose sono cambiate e poche cambieranno e non si sa neppure come. Meglio che i figli lascino queste terre dissecate vadano lontano dalle ombre che circondano minacciose lui e il suo gregge e non lo lasciano mai tranquillo e in pace. Il pastore non guarda mai oltre l’ orizzonte perché tanto l’indomani sarà un giorno come tutti gli altri. Sarà come il giorno di oggi sarà come quello di ieri che era uguale a quello di avantieri e così via da tempo immemorabile. L’ occhio rotondo del gufo accompagnerà le sue veglie, gli porterà il lamento del focolare sarà testimone dei suoi silenzi, della tristezza e dello sconforto che lo invadono quando il vento della solitudine penetra fino in fondo al suo cuore. Come sempre, domani andrà in paese al mattino presto e al ritorno lascerà libero il cavallo. Lui si fermerà a riposare sotto l’ albero di olivastro che è un po’ la sua casa e diventa il suo rifugio quando il sole si addensa sulle pietre e sul fieno appena tagliato. Non ci sono uccelli nei rami dell’ albero e neppure farfalle nei fiori sparsi tutt’ intorno, né scarabei verdi nascosti nei cardi secchi. Ci sono solo mosche che ronzano nelle chiazze di sterco sparse anche fuori del largo recinto dell’ ovile. Ma non è questo che lo preoccupa non è questo che lo rattrista. Se mai tutto questo gli ricorda che ha un gregge, un lavoro, un bene sul quale può sempre contare per se e per la famiglia. E ciò lo conforta, lo rassicura e lenisce almeno per un po’ la sua tristezza che ha i colori del tramonto un viola che si sposa con l’arancio e il grigio quasi nero Lui guarda le nuvole, guarda dove le spinge il vento vuole sapere se la notte ci sarà il gelo e se domani tornerà la pioggia. Spera che avvenga il contrario, spera che di notte ci sia la pioggia e di giorno il sole e ne cerca i segni nella luce del tramonto pur sapendo che non sempre dice il vero proprio come il cuore degli uomini. 10ª Un uomo cammina nel silenzio della sera fischiando piano: il suo fischio è conosciuto dai familiari e dagli amici e da tutti gli animali che alleva ma anche da animali che non ha mai visto perché stanno nascosti nelle cortecce degli alberi, sotto le zolle spaccate o nei muretti a secco che sono la loro casa. È il gregge che conosce meglio il fischio del pastore e ancora più i cani che eseguono i suoi ordini senza discutere e senza inutili domande come hanno fatto sempre. I cani non sanno e non si curano di sapere se quello che lui sta pensando sia giusto o sbagliato, ma quando nelle ciglia scure intravvedono il luccichio di una lacrima guaiscono piano. Il figlio che aveva il suo stesso sguardo e conosceva l’umore dei cani, dei cavalli e delle pecore quasi meglio di lui da qualche tempo è lontano dai suoi occhi perché in una notte maledetta, molto oscura, e solo a tratti attraversata da una livida luce lunare si lasciò prendere al laccio dall’ inganno arrivato da dietro le spalle con la voce suadente di una avventura facile e a portata di mano. Lui l’ aveva avvertito di stare attento alle voci che ti prendono alle spalle con la frode e l’ inganno Ma forse era già troppo tardi ed ora suo figlio è rinchiuso dietro le porte del carcere dove il suo cuore ancora tenero può solo sognare il languore delle stelle e la dolcezza dell’alba per tutti i lunghi interminabili giorni che dovrà passare nella solitudine di una cella abitata solo da rumori di ferro e singhiozzi di pianto. Il padre però spera che il ricordo dei suoi fischi, del latrato dei cani e del belato delle pecore penetri le spesse mura dove sta rinchiuso il figlio e gli riporti la speranza che tornerà presto come l’ astore che ha visto tante volte piombare sulle sue vittime senza alcuna titubanza perché sa quello che vuole ed è libero di farlo e che presto rivedrà quel cielo alto e immenso che tante volte continua a sognare nella prigione; quel cielo che prima aveva quasi ignorato senza pensare che un giorno l’ avrebbe perduto. Non starà rinchiuso per sempre, e quando tornerà a casa guarderà tutto con altri occhi e le notti saranno meno lunghe senza le sbarre. Non pensa che i suoi sogni in gran parte si perderanno, e diventeranno un cumulo di rimpianti. Se ora non avesse sovrabbondanza di sogni forse il cuore e la mente non sopporterebbero la sofferenza per i giorni che ha perduto per sempre e per tutte le cose che ha dovuto lasciare e che tornano nei sogni con la voce del vento che gli porta altre voci conosciute gli porta la voce dei cespugli e quella degli alberi, gli porta il respiro del silenzio, i canti di rame dei campanacci e i sospiri dell’ erba che rabbrividisce sotto il gelo della rugiada prima dell’ alba prima che spunti il sole e la consoli. 11ª Dopo il tramonto i più anziani si alzano dalle panchine della piazza per tornare a casa nascondendo sotto le vesti pesanti dell’ inverno un cuore che piange. Tutti stanno pensando che la notte è un pericolo non solo per quelli che attendono il loro turno dopo che due sono morti sotto il fuoco del fucile caricato a pallettoni come per la caccia grossa, ma anche per molti altri che si credono al sicuro. Il cielo è striato di sangue e le nuvole appesantite dalle lacrime e dai lamenti incombono minacciose sul paese affranto. Chi sarà quello che dovrà cadere domani, vittima ineluttabile della ferocia che ha investito e legato l’ intero paese con una catena di sangue? Chi fermerà la furia cruenta della vendetta e la spirale di una violenza senza fine? Nella casa dell’ucciso la madre urla il suo dolore e non promette né pietà né misericordia e tanto meno perdono. Fratelli e sorelle rinchiusi in pensieri di morte e di sventura sentono che un antico orgoglio li chiama a vendicare l’ offesa con spietata veemenza. Ormai è tardi per fermare la piena del torrente dell’ odio che minaccia di sommergere e trascinare tutti nel sangue. I vecchi tratturi della campagna un tempo ricchi d’asparagi e bacche succose ora sono oscuri luoghi di pericolo e di morte non più torrenti d’ acqua fangosa ma torrenti di sangue sparso ovunque nella polvere nei muretti a secco, nei frutti del biancospino, nei rovi e nel mirto. I luoghi dove dormivano le martore e le lucertole, e vivevano le lumache ora nascondono uomini con il fucile e con la testa piena di serpenti aggrovigliati come un gomitolo di spago bagnato dal sangue, pronti ad uccidere senza pietà. Nella notte quando tutti gli altri uccelli dormono le civette cantano la morte. L’odore acre del sangue copre l’ aria ferma e spegne tutti gli altri odori. Ma l’ uomo col fucile non dimentica l’ odore dei fiori nella stanza della veglia notturna e del cimitero. Non dimentica l’odore acre dello sparo davanti all’ uscio di casa né l’odore della cera e dell’ incenso che si spande nell’aria dietro il cupo suono delle campane che suonano a morto durante il funerale. Tutto ora è li insieme alla sua solitudine affollata di ombre scure, di fantasmi che parlano e chiedono giustizia, riparazione e vendetta; chiedono che nessuno rimanga impunito e che un nuovo sangue lavi il sangue versato e non importa se quello che dovrà cadere non è quello giusto: importa solo che quel sangue non sia diverso da quello di colui che per primo ha iniziato il massacro. 12ª I tremori, i sospiri, le paure, le emozioni e i vecchi ricordi dell’infanzia che credevi di avere rinchiuso per sempre sotto una muta sepoltura tornano spesso a trovarti. La memoria non è ancora del tutto cicatrizzata e si riapre ogni volta che ripensi al passato e rivedi nel ricordo la vecchia casa paterna con finestre d’ aria azzurra e voci di gioia giovane che ora si distendono malinconiche nel silenzio di un paese scolorito come un tappeto antico reso fragile dall’uso e da lavaggi fatti senza riguardo. 13ª Anche le donne con fazzoletti in testa e scialli di lana sulle spalle desideravano essere guardate quando passavano con gli occhi bassi nelle strade di ciottoli del paese sognando il suono di una fisarmonica che chiama al ballo e alla festa. 14ª Ogni volta che guarda il mare ripensa alla spiaggia che li accolse tanti anni fa con sabbia bianca immacolata, ginepri, tamerici, lentischio e mirto fino al mare. Tutt’intorno una campagna solitaria con due case rustiche e vitelli al pascolo; un mondo quasi vergine lasciato in dono, un mondo che sta scomparendo soffocato dal clamore dell’oro nuovo e unico padrone del tempo, del mare, della terra e di tutto ciò che essa contiene. 15ª Con i gruppi in costume girano il mondo anche quelli che non conoscono il paese vicino. Per loro tutto è più facile in terra straniera e non devono spiegare a nessuno neppure a se stessi perché continuano a non fidarsi neppure dei propri fratelli. 16ª Anche chi si è illuso di essere cavaliere -allergico, lunatico e severo con tutti; -del cibo indifferente, del fare esigente, del tempo impaziente; sempre un passo avanti rispetto al corso degli eventi- ha sopportato la sella come i cavalli e ha accettato che chi teneva le briglie lo portasse dove voleva. 17ª Nell’aria tersa e risuonante di una moltitudine vociante, improvvisa si diffonde la dissoluta allegrezza del falò di S. Antonio. Al suono della fisarmonica gente di ogni età dimentica la prudenza e si abbandona ai sogni di caldi amplessi carnali. Occhi color del vino inseguono seni arroganti e inguini vietati. Quando il fuoco si spegne nell’aria diventata scura rimangono solo sospiri senza lacrime, ricordi rosseggianti di amori impossibili, e pensieri degli anni lontani tutti mescolati a voci granulose che il vento disperde spegnendo tutti gli ardori e portando molto freddo. 18ª Nel crepuscolo un po’ prima che il giorno varchi la soglia del buio gli alberi non parlano, non respirano non sorridono, non battono le ciglia stanno assolutamente immobili aspettando qualcosa che deve accadere ma che solo loro sanno. Sarà forse la pioggia che manca da settimane sarà il vento che da tempo non fa loro compagnia sarà il volo dei tordi o degli storni che tarda ad arrivare oppure sarà una cosa totalmente nuova che nessuno ha mai visto prima ma che loro conoscono a renderli così vigili e silenziosi. Nel viale ci sono molte ombre; non ombre immobili ma ombre che si muovono che a volte ballano intorno agli alberi o vanno avanti e indietro seguendo un loro percorso che non è quello naturale e che tutti si aspettano. Un cane smarrito, forse abbandonato dal suo padrone, porta la sua ombra a confondersi con la più grande ombra di un albero che la accoglie rimanendo immobile e indifferente a ciò che fa il cane. Un uomo sovrappensiero si guarda intorno indeciso se questa sia la strada giusta; la sua ombra un po’ lo precede un po’ lo segue; poi si divide in due una sta avanti e l’altra dietro. È ormai notte ed è la luna che decide da che parte deve stare l’ombra. Non lo fa per uno scopo o con intenzione consapevole non si preoccupa di niente tanto per lei non cambia nulla che ci sia solo un’ombra oppure due o molte ombre. Non è certo l’ombra che spiega la vita degli alberi o degli uomini se mai è la luce che aiuta a capire e a scegliere. Ma la luce di per sé non è né buona né cattiva e non si cura di quel che succede agli uomini o alle piante. Quando le cose accadono essa fa solo in modo che tutti le possano vedere ma non decide se le vedranno in modo chiaro e distinto o in modo oscuro e confuso perché questo dipende solo da chi guarda. 19ª Non è l’anima che piange la sera che muore è la sera che piange per tutte le anime che sono morte ma che a volte ritornano; ritornano quando il buio si addensa sulle cose più familiari e sui luoghi conosciuti; ritornano per cercare proprio quella strada o quell’angolo nascosto dove la prima volta timidamente osarono sfiorare l’amata con un bacio; ritornano per rivedere il mare lontano con la luna all’orizzonte; o per risentire il pianto li nella chiesa dove un giorno da vivi si riunirono a pregare per un amico scomparso; oppure ritornano per incontrare gli antenati, gli antichi abitatori dei campi e dei boschi, i padroni degli alveari e le api ubriache di sole; o per rivedere i luoghi che avevano guardato alla prima luce del mattino appena svegli dopo il lungo abbandono languido e sensuale iniziato al tramonto e finito solo all’alba. 20ª In una mattina di maggio rilucente in visita ad un nuraghe un gruppo di persone cerca di scoprire i misteriosi segni dei suoi antichi abitatori pensando che coloro che abitarono quelle pesanti rovine non passarono sulla terra leggeri ma armati di tutto punto: di spade e di scudi, di asce di ossidiana e di bronzo per la guerra; o di coltelli per i sacrifici rituali. Non ci sono lamenti nella pietra né urla di pianto, ma solo grida di vittoria e di vendetta contro coloro che hanno osato portare la violenza e l’offesa. Dentro quelle alte stanze coniche una luce alta e immobile evoca una presenza divina, e le pietre raccontano storie di guerra, di conquista e di vittoria. Nell’antichissimo testimone non ci sono segni di dominio straniero come quelli che si trovano impressi nelle torri erette lungo la costa, a difesa di nemici venuti dal mare per il saccheggio, e i rapimenti delle giovani donne, né i segni della violenza, della sofferenza e della fame conservati vicino alle dimore dei signori feudali, dentro le mura delle città regie, nelle misere case costruite sotto i castelli eretti sulle alture e persino nelle celle dei monasteri. Qui si vede solo il segno della forza e della grandezza dominatrice; qui si sente solo la presenza di spiriti liberi, qui si conservano solo i sogni di un popolo di vincitori. 21ª Nel cuore afoso dell’estate riarsa l’argento dei pioppi diventa verde rame e le libellule volano più basse. Nelle menti si fanno strada pericolose semplificazioni di cose molto complesse come quella che racconta del loro essere rimasti sempre resistenti e mai vinti. I ricordi rutilanti rimangono presto senza vita e molte cose che parevano chiare perdono piano piano il loro senso. 22ª Nell’ora incerta del crepuscolo la paura si affaccia sulla soglia del cuore e si distende spegnendo tutte le luci fino a riempire anche gli angoli più segreti. Nel buio la paura si muove veloce, prima raffredda il cuore e lo fa sentire sempre più vuoto e poi dilaga, rimanendo muta, oscura e invisibile come le cose che incontra e che invade senza nessuno sforzo perché le trova pronte ad accoglierla come se non aspettassero altro da sempre. Ma non tutte le cose cedono alla paura alcune resistono restando tranquille al loro posto e continuando a dare conforto a chi le cerca. Il profumo del vento e il cielo stellato, l’odore del legno che brucia nel camino, le campane della chiesa, il canto degli uccelli, le candele accese davanti a S. Antonio e S. Rita, il suono dei campanacci e il belato degli agnelli. Tutte riportano la speranza nel cuore e raccontano che la paura si può vincere e che presto anche lui potrà lasciare la strada dolorante nella quale cammina da molto tempo e può di nuovo sperare che qualcuno dei vecchi amici, di quelli che non lo hanno confortato nella disgrazia né testimoniato la loro amicizia, ora si ricreda e lo aiuti a resistere al buio della solitudine. 23ª Mosè guarda incredulo i miseri cocci di pietra ormai illeggibili delle tavole dei dieci comandamenti ridotte in frantumi. Le avvisaglie però c’erano state e molto numerose e ripetute e si sapeva da qualche tempo che le tavole erano in pericolo. Ma la cosa più dolorosa per lui è vedere che anche dopo la loro distruzione Dio non interviene, come sarebbe giusto; non richiama i custodi della legge e non punisce i seguaci infedeli. Eppure da tempo era chiaro che quasi nessuno rispettava più la legge ed era anche evidente che chi non la violava apertamente molto spesso percorreva sentieri ambigui situati a metà strada tra il rispetto formale dei precetti e l’abuso dei piaceri del mondo. Ma oggi, cosa ancora più grave, anche quelli che credono nella legge e persino nell’altra vita non rinunciano ai liberi piaceri di questa e quando le tavole dicono che una cosa è vietata al massimo si scusano, chiedono perdono promettono di cambiare ma continuano a fare quel che vogliono e se tutto va male pensano che ci sarà sempre anche per loro una via d’uscita. Ma Dio difficilmente chiamerà Mosè una seconda volta per mediare tra Lui e gli uomini un nuovo Patto e una nuova Alleanza. Del resto dopo Mosè Dio aveva mandato il proprio figlio per fare questo e certo non vorrà farlo un’altra volta ma semplicemente prenderà atto che è maturo il tempo del giudizio finale che sarà fatto come promesso secondo carità e misericordia, ma soprattutto secondo giustizia. 24ª Bitume, bitume, sempre bitume; una ininterrotta scia di nero catrame ci precede e ci segue ovunque. Non solo l’aria ma persino il mare e le foreste rischiano di soccombere. All’inizio tutti avevano vissuto senza sospetto guardando i suoi effetti distrattamente senza pensare al pericolo. Ora forse è tardi per rimediare. Un flusso scuro, caldo e caliginoso si leva dalle strade e dai tetti delle case dalle navi nel mare, dagli aerei, dalle fabbriche e avvolge tutto anche il cielo e le stelle in una nube bituminosa che si stende come un manto opaco sulla Terra facendola diventare sempre più calda più tempestosa più arida quasi a minacciarne la fine facendola di nuovo scomparire sotto le acque nonostante il libro sacro abbia promesso agli uomini che essi non periranno un’altra volta in un Diluvio universale. 25ª E’ una giornata di protesta; le cose non vanno tanto bene e i discorsi accentuano i pericoli e ricordano precedenti incontri. E’ evidente che anche questa volta procedendo in questo modo non si andrà lontano e qualcuno lo sottolinea dicendo non è vero che stanno risanando il paese; anzi va sempre peggio e non si tratta solo del fatto che quel che accade non viene spiegato. 26ª Dormire, pensa si dormire prima che il tempo venga a scadere prima che si avveri ciò che si teme, prima che tutto scompaia in un attimo, prima che l’intero universo concluda dentro “un buco nero” la sua inarrestabile espansione e il suo continuo mutamento. Non saranno le giornate a piedi a fermare la catastrofe e neppure le pale eoliche o i pannelli solari e tanto meno le centrali nucleari. Non saranno le nostre mani né le nostre menti né i nostri congegni raffinati né le ultime invenzioni della tecnica né le più brillanti scoperte dei sistemi nascosti in quello che pensiamo essere l’ultimo limite dell’universo a cambiare ciò che è stato programmato fin dall’origine del tempo, prima di tutti i tempi. Meglio dormire piuttosto che aspettare la fine rimanendo svegli per non essere colti di sorpresa e magari per continuare a illudersi di resistere e sfuggire al destino, a quella sorte oscura che continua a tormentare il cuore e la mente degli umani da sempre oscillante tra rivolta, rassegnazione e volontà di cambiamento. La rivolta è sempre in agguato nasce al primo apparire di un segnale che turba il quieto procedere del tempo insidiando l’armonia del futuro, rompendo la musica delle ore e dei giorni; accendendo la luce del mattino che prima riporta alla vita ma poi aggredisce e minaccia con l’arrogante pretesa di fare finalmente giustizia. La rassegnazione è umile e mite è sempre in un angolo, guarda pietosa e aspetta la sua ora con pazienza. Sa che sarà chiamata a curare e a confortare, non certo a spiegare ciò che non conosce e tanto meno a fermare il corso delle cose decise da sempre. La volontà resta lontana dalla soglia sempre vigile perché sa che un giorno o l’altro dovrà intervenire e imboccare la strada per raggiungere quel luogo dove potrà continuare a tessere una storia che comprenda e accolga tutti con equità e giustizia senza ostilità né odio. Ma perché dormire? Se mai per non sprecare nulla, per consentire che tutte le scelte restino sempre aperte, perché nessuno sia obbligato a seguire strade scelte da altri occorre restare svegli con la mente pronta per decidere, quando è il momento, se sia meglio rivoltarsi o rassegnarsi oppure andare avanti per cambiare lasciando da parte non solo rivolta e rassegnazione, ma l’intero universo nel quale fino ad ora si è vissuti oscillando tra ottimismo incosciente e angosciante paura dell’ignoto. 27ª Il nuovo albero della cuccagna da tempo non è più un fusto alto, liscio, oleoso, difficile per tutti e impossibile per molti. Ora è una cosa semplice, accessibile a tutti anche se cambia di continuo sia nella forma che nei premi. Per avere successo non è più necessario pensare o faticare. Si può avere fortuna semplicemente cantando e/o denudandosi perché sono queste le cose che piacciono a tutti e soprattutto a chi comanda. Oppure si può sfidare la dea bendata puntando su numeri inseguiti a lungo pervicacemente o su numeri scelti a caso o imitando chi ha già avuto fortuna. Ma meglio, molto meglio e più sicuro è seguire chi si proclama suo rappresentante, suo inviato o suo agente affidandogli tutto delegandogli persino il compito di fare le leggi, stabilire le regole e decidere anche chi le deve rispettare. Tutti sanno che per avere successo basta semplicemente offrirsi all’ agente della fortuna per pulirgli le scarpe, tenere in ordine i suoi bagni, riscaldare le alcove, fargli lo shampoo e massaggiargli i piedi, dal momento che la fortuna è molto sensibile ai gesti di dedizione fatti senza condizioni e senza limiti. Essa comunque non bacia a caso così come capita. Perciò la cosa più importante è essere presenti al momento giusto, proprio quando l’ inviato/agente o rappresentante della Fortuna si affaccia con le borse cariche di doni che distribuisce senza la benda sugli occhi, scegliendo tutti i fortunati secondo le loro prestazioni giudicando, valutando, pesando non l’ efficienza la sincerità il disinteresse, l’ onestà, l’ altruismo, il rispetto dell’ equità e della giustizia; ma solo la dedizione, l’ammirazione entusiasta, l’approvazione senza riserve, il consenso e la fiducia nei suoi confronti espressi senza alcuna esitazione e soprattutto senza pensare se quello che si sta facendo sia giusto o sbagliato. 28ª Forse non tutti gli angeli ribelli sono stati individuati e puniti. Forse qualcuno di loro ha fatto il doppio gioco ed è riuscito a ingannare il suo Signore con angelica astuzia. Oppure è stato contattato dopo e corrotto o semplicemente si è convinto della causa del nemico ragionando da solo e sfidando il pericolo pur di riportare ad equilibrio un potere che egli giudica troppo sbilanciato e assoluto, un potere che rispetta il libero arbitrio solo fino a un certo punto ma ne punisce tutte le decisioni prese in contrasto con le sue leggi e con il rispetto non tanto del bene in sé quanto della strada percorsa per trovarlo e dei mezzi usati per realizzarlo. Una quinta colonna, si potrebbe definire, un infiltrato oppure un angelo che si è convinto che uno come Bruto è necessario, per contrastare il “padre” e magari ucciderlo dopo aver tentato invano di condizionarne la forza o anche solo di cambiare le leggi, i premi e le pene troppo pesanti da esse previste, che peraltro erano state addolcite direttamente dagli uomini i quali, guidati dagli altri angeli perduti, avevano proceduto per conto loro a rivedere i principi, e cambiare i costumi, per rendere più dolce la vita e non costringere tutti a sopportare il dolore in attesa del premio nella seconda vita. Da allora gli uomini non hanno mai cessato di cercare di realizzare, in piena autonomia e libertà, e promettendo autodisciplina e autocontrollo, le condizioni necessarie per una vita più felice, ignorando tutti i richiami del loro Signore, i segnali di disappunto, la disapprovazione esplicita manifestata in più modi e più volte dai suoi rappresentanti, contro i tentativi di allontanare la sofferenza e lenire il dolore essendo stati convinti che la buona vita si realizza non con i sacrifici ma nella pienezza dei sensi e nella totale soddisfazione della mente, non dal consiglio degli angeli ribelli che si erano contrapposti esplicitamente al loro Signore, ma dalla voce di qualcuno degli angeli rimasti fedeli che aveva deciso di far sua la causa degli uomini e di sostenerli senza mai comparire né venire allo scoperto e senza mai sospettare che forse tutto era stato già previsto da sempre, non da un potere sconosciuto o contrapposto, ma proprio direttamente dal suo Signore. 29ª Tutti i nomi degli antenati sono scritti nelle pietre consunte delle strade che essi hanno percorso nei giorni della gioia e del dolore, in quelli della carestia e dell’abbondanza. Nessuno però sa leggere quei segni perché il tempo sentendosi trascurato si è offeso e sen’è andato non si sa dove portandosi via i ricordi, la lingua e persino l’alfabeto. 30ª Dopo il tg della notte è più sereno e va a dormire tranquillo perché quelli che hanno avuto le case distrutte dal terremoto non saranno abbandonati. Anche se dovranno stare per un po’ in tende da campo o in alloggi precari, una soluzione c’è stata e si può recitare una preghiera per tutti quelli che hanno prestato soccorso e soprattutto per il capo del Governo che si è tanto adoperato per tutti. A letto però non riesce a dormire. Non per le immagini del terremoto, ma perché ha la mente occupata da una strana fantasia totalmente diversa dagli avvenimenti reali. Immagina di assistere a un concerto sulla spiaggia con uomini rasati a zero che si fingono cantanti e quando capiscono che stanno per essere scoperti tentano di lasciare il palco eretto nella sabbia senza dare nell’ occhio per paura che la folla scopra l’ inganno e li fermi con la violenza. Quando si muovono nessuno capisce cosa veramente sta accadendo alcuni chiedono spiegazioni ed altri pensano ad un trucco inventato per movimentare la serata. Nel cielo notturno volano aquiloni fosforescenti e la luce della luna sembra diversa sembra quasi che protesti, prima che una nuvola carica di acqua la spenga senza preavviso e senza chiedere scusa. Gli aquiloni sia pure con una vena di sconforto rimangono in volo per forza d’ inerzia ma a luci spente, sospesi nell’aria come una minaccia sopra la folla. La notte è lunga e l’ alba lontana e la minaccia rimane nell’aria fino al mattino quando tutti schiudono le loro stanze, anche quelle più riservate, per accogliere il sole. Ma il sole non vuole entrare dovunque: si ferma perplesso davanti a certe soglie, per paura di rimanere prigioniero tra quattro mura senza finestre dove non vedrebbe il mare e neppure gli alberi né l’ erba e neppure gli aquiloni abbandonati e ignorati da tutti. Gli spettatori che hanno trascorso le ore notturne sotto una torre aragonese costruita su una riva sassosa e poco accogliente si svegliano tutti indolenziti. Qualcuno ha raccolto una scheggia di granito molto antica e molto consumata, affilata come un coltello sacrificale e la guarda con attenzione perché gli sembra che conservi ancora tracce del sangue delle vittime mescolato ai segni della salsedine. A guardarla meglio la scheggia di pietra antica dilavata più che un coltello sembra un pesce con scaglie chiare e venature scure. E’ diversa dalle altre pietre e si vede che è venuta da lontano portata fin li dalle tempeste per raccontare in silenzio storie strane di rapimenti e di naufragi di tesori nascosti in luoghi disabitati lontani dalle rotte più conosciute. Ma colui che ha raccolto la pietra non pensa alle storie dei tesori nascosti in isole misteriose e irraggiungibili, ma sogna avventure più a portata di mano e allo stesso tempo più antiche e più resistenti al cambiare delle stagioni della storia, delle mode e persino della violenza praticata dalle dominazioni che hanno segnato i millenni. Sogna una Venere che nasce dalle acque; lo seduce e lo conduce lontano da questi lidi sonnolenti e noiosi dove non succede mai nulla. Quando la fantasia si spegne si sente molto sconsolato. Torna a casa e nel silenzio gli sembra di sentire il rumore dei passi della sua donna che stanca d’aspettare ha deciso di andar via e si allontana nella strada ancora deserta senza voltarsi indietro. Il vento della notte ha coperto di sale le grandi vetrate aperte sui terrazzi. Una foschia grigia come un crepuscolo sale dal mare diventato invisibile e avvolge la casa e le piante, oscura il cielo e rende più incerte le fantasie di una mente turbata che conserva indelebile e chiaro solo il ricordo dei passi che si perdono nel silenzio. 31ª Dietro rilucenti pareti di cristallo sfilano le rutilanti immagini del consumismo post – moderno, tutte le ultime invenzioni delle menti informatizzate che anticipano i pensieri di chi guarda e gli fanno vedere il futuro senza dover uscire dal presente. Con un salto di tempo solo apparente la creatura mutante sotto la spinta costante di messaggi sempre più invasivi vive una soggettualità altra pur rimanendo fisicamente la stessa. Il nuovo Narciso non è uno comparso dal nulla, ma è figlio del suo tempo, conosce le risorse della tecnica e consuma i suoi prodotti. Compiaciuto di sé, -di quello che è già e più ancora di quello che sarà sicuramente domani- non ha paura di perdere qualcosa. Anzi tutto immerso -nella sua grande autostima – pensa che crescerà ancora, è convinto che presto vivrà dentro una nuova dimensione che oltrepasserà quella della vita vissuta una sola volta moltiplicandola all’ infinito per tante volte quante saranno o potranno essere le metamorfosi indotte dalle ambizioni umane cresciute con la scienza e realizzabili con la tecnica. I nuovi Narcisi pensano che non tutti godranno per intero questi privilegi e non tutti sopravviveranno alla prova del cambiamento e dei passaggi di fase, ma solo quelli che credono fermamente, solo i più forti e i più convinti solo quanti sapranno fare in modo che si realizzi la promessa dell’ebbrezza assoluta non per un giorno o due ma per sempre. Solo quelli che crederanno in quello che dicono le grandi menti nascoste nelle macchine che governano le immagini del mondo, solo quelli che capiranno che l’ unico mondo realmente esistente non è quel cumulo di vecchie ferraglie arrugginite cariche di dolore, di paura e di rancore, oltre che di rimpianti che ancora sopravvive nella mente dei più ingenui, ma quello creato dalla tecnica che non riconosce le antiche bandiere conservate gelosamente nei vecchi armadi della memoria ma accetta solo le ragioni e gli orizzonti post-umani solo quegli elementi ancora fluidi, informi e poco conosciuti e tuttavia presenti nelle fondamenta di un mondo e di un tempo che per i non più umani Narcisi non avranno più fine come annunciano le trombe e i tamburi che celebrano una nuova era che vedrà finalmente la morte della morte. 32ª Tradire, traditore, tradimento: tante volte queste parole chiudono un mondo di relazioni e di affetti d’improvviso senza appello senza che ci sia un’avvisaglia né un segnale, né un sospetto. Il tradimento non sempre è pensato, costruito, preparato con calma con una volontà esplicita e con una chiara consapevolezza. Spesso il tradimento non lascia traccia né segno visibile neppure nell’inconscio profondo di chi lo compie. Le sue cause rimangono quasi sempre sconosciute, oscure, inesplorate, come se cumuli di neve ghiacciata, mai sciolti del tutto, alimentassero nell’animo scuri rivoli di risentimento che chiamano vendetta ritorsioni e rivincite contro altri tradimenti veri o presunti. Un sole nero rinchiuso dentro l’anima scioglie il ghiaccio trasformandolo in torrente fangoso di acque torbide che sommergono tutto: gli affetti, i giuramenti, le memorie sotto una fanghiglia gialla di odio cieco senza confini. Il tradimento non avverte nessuno colpisce inaspettato e sconvolge la vita di molti portando alla luce segreti inconfessati e tenuti nascosti da chi per paura di essere punito e a sua volta tradito e abbandonato, giudicato malvagio, egoista e crudele, tiene segrete molte parti di sé, non si svela mai del tutto, anzi cerca di ingannare, di travisare, di celare e se necessario arriva a tradire per difendere e affermare pienamente il suo io. Tradire vuol dire spesso ignorare, soltanto ignorare l’altro. Colui che viene tradito semplicemente scompare dall’orizzonte, e per un momento non si sa quanto grande non esiste più, è come se non fosse mai esistito. A volte invece non è questo che avviene: a volte l’esclusione è consapevole voluta, persino desiderata, costruita freddamente con la ragione e attesa per anni aspettando il tempo opportuno, l’occasione più facile e anche il momento più delicato per fare più male. Grande è lo spazio del tradimento, innumerevoli le cause infinite le specie e i modi con i quali si consuma e non c’è giorno senza tradimento. Ma c’è tradimento e tradimento: ci sono quelli tragici, ma anche quelli apparentemente innocui, non voluti nascosti nelle piccole cose invisibili a tutti, anche alla persona che tradisce. Non si sa perché ma proprio questi tradimenti non voluti, una volta conosciuti, diventano tanto duri e insopportabili da spingere all’autodenuncia e alla autopunizione, a volte consumata in segreto, nell’intimo della coscienza, a volte in pubblico al cospetto di tutti per portare la vergogna e il rimprovero fino all’estremo fino alla condanna pubblica. Tutti qualche volta tradiscono: c’è chi tradisce la famiglia chi gli amici, la patria, la classe, la scuola, la chiesa e i propri stessi interessi. Nessuno può dire di non aver mai dimenticato giuramenti, promesse, impegni presi solennemente o di non avere mai ignorato un contratto o mancato al dovere e alla parola data oppure varcato confini vietati aperto porte chiuse, ignorato i divieti, violato le regole. Siamo tutti traditori anche quando chiudiamo gli occhi, e oscuriamo la coscienza confondiamo la mente e lasciamo che su tutto prevalga l’istinto, il nudo istinto che non conosce violazioni o trasgressioni e neppure tutte le altre cose che siamo soliti chiamare tradimenti. 33ª <<Oh tu che volgi la ruota e guardi nella direzione del vento>> li dove nasce il canto delle sirene, tu che speri di usare le forze immani delle onde per arrivare nel luogo descritto dal loro suadente canto e intravisto nei tuoi sogni di avventura, pensa alla sofferenza di chi teme per la tua vita e non lasciare che il vento, che non ti è amico, ti conduca sempre più lontano dal tuo naturale destino e da quelli che aspettano con ansia il tuo ritorno. |
Questo è un Pietrino Soddu diverso da quello che ho conosciuto io per lunghi anni, o forse no, bisognava saper guardare al di là dell’apparenza. Ne viene fuori il sapore di una Sardegna che drammaticamente forse non c’è più, chiusa nella tragica bellezza della sua cultura ancestrale, il mare appena sfiorato in un verso che tuttavia evoca anch’esso immagini pastorali; e infine, lo sfogo di sentimenti e di rimpianti che nascono dall’esperienza di una vita vissuta con intensità e con passione fra l’impegno politico e civile e il mondo tutto personale degli affetti.