A Roma la lotta contro la gentrificazione dei quartieri parte dai ragazzi (e non dalla politica) [di Andrea Manzella]

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Linkiesta online, 27 luglio 2017 .«Prima era un paesone, ci conoscevamo tutti, ognuno con il suo mestiere. Oggi i figli dei miei amici artigiani non portano più avanti quelle attività. Non sono business che portano soldi». Ecco, i soldi. L’espressione amareggiata del tassista che parla della “sua” Trastevere anni ’70 potrebbe diventare il simbolo di quel fenomeno globale che prende il nome di gentrificazione.

Un fenomeno che, per restare a Roma, sta da tempo trasformando – non senza polemiche – quartieri storici come Testaccio, Pigneto o la stessa Trastevere. Il primo effetto di questo processo è autoevidente: sovente gli abitanti originari di questi quartieri ormai imborghesiti sono costretti a trasferirsi nelle periferie, a causa dei prezzi immobiliari e canoni di locazione che schizzano alle stelle, insostenibili per chi in quei posti ci è nato e cresciuto.

La politica ci prova, a difendere l’identità di quartiere: soprattutto, attraverso norme anti-sfratto, per mantenere vivo lo spazio urbano in questi quartieri. Funziona? Non esattamente. A Trastevere, al posto delle storiche botteghe artigiani, hanno iniziato ad aprire toasterie, paninerie, baretti per turisti. Nel frattempo, si sono moltiplicate le case in affitto ad americani, che di Testaccio e Trastevere hanno sentito parlare solo in un recente film di Woody Allen.

Al netto della politica, però, la lotta vera è soprattutto sociale. A Berlino, Londra , New York sono attivi diversi gruppi organizzati anti-gentrification. In Italia, al solito, siamo un po’ in ritardo, ma qualcosa si sta muovendo. Ne dà testimonianza il workshop tenuto all’Univerisità Roma Tre dello scorso ottobre, riguardante il tentativo di elaborare una comprensione comune su come identificare il processo di gentrificazione e come applicare politicamente le teorie “anti-gentrification” con partecipazione di attivisti provenienti da città dell’Europa del sud.

A Trastevere, però, senza riferimenti politici a cui aggrapparsi, la lotta alla gentrificazione è un affare per giovani. Rapper, ad esempio, come il duo trasteverino Carl Brave e Franco126, con l’album indie hip hop intitolato Polaroid, che in realtà più che una lotta dichiarata alla gentrificazione di Trastevere, raccontano per immagini un’identità romana che solo chi è nato nel posto riesce a comprendere. Dimostrazione del senso di appartenenza che i ragazzi del quartiere ancora sentono.

Lo stesso si vede anche nel cinema. Piazza San Cosimato, cuore e anima della vecchia Trastevere, è ormai protagonista di una lotta culturale incominciata e promossa dai Ragazzi del Cinema America, in Via Natale del Grande, storico cinema Trasteverino. Frequentato da gente come Carlo Verdone, che racconta di aver coltivato lì le sue prime passioni per la cinematografia, è stato poi abbandonato per diversi anni e solo nel 2012 è stato occupato da alcuni ragazzi in protesta contro il piano di rimpiazzare le sale storiche per farne appartamenti.

L’occupazione, durata più o meno due anni è stata appoggiata da moltissime figure storiche del quartiere, felici di ritrovare nei ragazzi una voglia di mantenere viva la memoria e l’anima di un posto come Trastevere. Alla fine, dopo una lunga serie di battaglie legali, i ragazzi sono riusciti a bloccare il piano di abbattere il cinema.

Da quel momento, da strumento di occupazione, Il Piccolo Cinema America Occupato si è trasformato in un’associazione. Nelle ultime due estati, l’organizzazione, per riportare la cultura nelle piazze ha promosso, ogni sera, una proiezione “free entry” (a ingresso libero) per chiunque. Spesso accompagnata da presentazioni condotte da personaggi celebri: si pensi solo a Carlo Verdone, a Roberto Benigni, Ennio Morricone e Francesco Bruni. L’intento è chiaro: riportare la cultura nelle piazze, spesso ricreando il significato che aveva il cinema per i veterani del rione.

È, insomma, un vero e proprio movimento sociale, prima ancora che politico. L’organizzazione del Piccolo Cinema America Occupato ricorda che per ricostruire l’autenticità di questi posti bastano due elementi: la cultura e i giovani, gli unici (per ora) capaci di arrivare a tutti. Dimostrando che la musica e la cultura funzionano, forse meglio di qualsiasi politica perché si aprono a un pubblico e a una coscienza civica che – almeno nella Capitale – sono merce più rara dell’acqua potabile.

 

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