A proposito di Turismo e di Paesaggio (1) [di Alan Batzella]

costa

L’accesa discussione creatasi sul Disegno di legge Gestione del territorio della giunta Pigliaru, specie sugli aspetti di depotenziamento del PPR, rischia di “triturare” il settore turistico visto come consumo non necessario del suolo e come degrado del paesaggio costiero, negando così i benefici che può dare, se condotto nel rispetto dei beni comuni. La realtà dunque è più complessa e chi ha esperienza di pianificazione, ha il dovere di apportare al dibattito elementi utili per ricondurre il turismo sul non più rinviabile adeguamento della legislazione urbanistica regionale.

In Sardegna il turismo dagli anni ’60, ha assunto proporzioni tali da farlo diventare settore economico in grado di innescare processi di riequilibrio settoriale e territoriale. Al boom degli anni 60 e 70 hanno corrisposto massicci investimenti, quasi esclusivamente lungo le coste – prevalentemente seconde case, alberghi, porti turistici, strade – che ha trovato la Regione impreparata, priva di strumenti di controllo e di un quadro programmatico che indirizzasse le attività turistiche e gli insediamenti connessi.

In assenza di scelte istituzionali la valorizzazione turistica, generalmente guidata da interessi immobiliari e finanziari, ha prodotto uno scomposto consumo del territorio, con irrimediabili deturpazioni al patrimonio paesaggistico e alle risorse naturali dell’isola.

Solo nel 1976 la Regione ha emanato il provvedimento “Norme provvisorie in materia urbanistica e misure provvisorie di tutela ambientale”. Con la Legge n.10, definendo genericamente i valori che determinano la vocazione turistica delle Zone qualificate come turistiche (Zone “F”), fu fatto obbligo ai comuni costieri di predisporre un piano organico (Studio di Disciplina) che consentisse un’armonica localizzazione delle attività economiche sul territorio.

Nel frattempo il settore ha consentito una positiva ripresa nei comuni costieri a economia prevalentemente agro-pastorale tanto da indicarlo come “impresa chiave” sulla quale puntare e su cui ricondurre iniziative in agricoltura, edilizia, commercio, servizi e di recupero e conservazione ambientale. Nei comuni costieri, esclusi quelli ad economia industriale, è apparso chiaro che, vista la scarsa produttività delle risorse presenti, non era ipotizzabile un recupero esclusivo delle attività rurali, attribuendo loro un ruolo portante nell’economia locale e una capacità occupativa piena. Soprattutto nelle aree ritenute di maggior pregio ambientale, la pastorizia e l’agricoltura non erano sostenute da caratteristiche territoriali (geomorfologiche e pedologiche), infrastrutturali e socio economiche tali da permettere un valido inserimento dei prodotti nel mercato e quindi un realistico autosostentamento.

E’ mancata l’attivazione di processi di integrazione di queste economie con attività complementari tali da non alterare traumaticamente l’assetto socioculturale e, soprattutto, senza che si sovrapponessero alla popolazione interessi finanziari e capitali esterni con strutture gestionali, socialmente e culturalmente, non assimilabili dall’ambiente originario. Un effettivo ruolo di correttore degli scompensi nei settori tradizionali, capace di catalizzare le possibili forme di attività e di sviluppo ecocompatibili con la conservazione del paesaggio, può svolgerlo solo l’integrazione turistica, intesa nel suo senso più tradizionale e in quello specifico delle attività connesse all’interesse naturalistico.

Il turismo può dunque divenire il settore trainante dell’economia di queste zone, con propria capacità propulsiva e con la possibilità di dare un contributo notevole allo sviluppo sociale ed economico dei luoghi. Alla base dell’integrazione tra paesaggio e turismo c’è che il primo  assume una funzione che  con quelle scientifiche,  culturali ed educative, è anche economica. La domanda di natura se rappresenta un modo di utilizzare economicamente beni e servizi già con un valore economico (alberghi, ristoranti), può rappresentare la modalità più sobria di conferire valore economico a beni che altrimenti non acquisterebbero tale valore, non essendo oggetto di utilizzazione alternativa al turismo.

L’importanza strategica consiste nel fatto che i “beni turistici”, a differenza di altri, producono utilità perché consumati nell’ambiente che li genera, quasi che si possano identificare come manifestazione di un dato ambiente. In questa prospettiva una condizione essenziale dello scambio turistico è che questo debba effettuarsi alla fonte di produzione dei beni che ne sono oggetto, dove di conseguenza le offerte particolari risultano necessariamente complementari. Un processo economico virtuoso che non può prescindere dall’analisi della spesa turistica.

Il turismo è infatti definibile come una categoria della circolazione economica, e cioè come il trasferimento personale da un territorio ad un altro di reddito monetario. Rappresenta quindi una fornitura di complessi servizi, unificati dall’acquirente, che non produce benefici solo per le attività specializzate (trasporti, alberghi, ristoranti) ma valorizza una serie di attività locali di varia natura. Esso si configura come fattore d’incremento della domanda effettiva di un territorio, di aumento del suo reddito, di potenziamento produttivo del territorio.

E’ innegabile tuttavia che la vera fonte di richiamo turistico, capace di trasformarsi in fenomeno economico diffuso ed efficace, consista nel mettere a punto una strategia globale degli usi del territorio tale da produrre un ambiente qualificato sotto il profilo  delle qualità specifiche dell’ambiente naturale (risorse biologiche, clima, paesaggio, ecc.); e delle qualità psicosociali dell’ambiente artificiale (elementi storici, culturali, urbani, ecc.).

Va poi tenuto nella giusta considerazione che il turista attuale se da una parte cerca nella vacanza un’alternativa radicale al modello urbano (spazi liberi e incontaminati, luoghi solitari, ecc.) e quindi una compensazione alle alienazioni, alle frustrazioni e alle repressioni della vita quotidiana, dall’altra tende però a proiettare nei consumi turistici modelli di comportamento acquisiti in città, non potendo abbandonare le abitudini contratte né  rinunciare ai consumi di cui normalmente fruisce. E’ nel rapporto tra turismo e servizi quindi che va individuata una delle strategie principali con le quali sviluppare i legami del turismo con il territorio e le connessioni tra turismo e altri settori economici.

Bisogna infine tener giustamente presente che il turismo per poter non solo sviluppare, ma confermare e consolidare l’economia complessiva di un luogo, ha necessità di un retroterra agroalimentare con consistenti margini di efficienza. E’ intuitivo infatti quanto il settore turistico sia in grado di determinare importanti fattori di mercato a sostegno dell’agricoltura e dell’allevamento, tali a loro volta di produrre una crescita dei livelli sociali ed economici della zona con immediati riflessi sulle dotazioni civili, sullo standard di vita e sulle abitudini della popolazione.

 

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