Verso l’infelicità interna netta? [di Raffaele Deidda]
Nel mese di marzo 2011 feci un viaggio che da molti anni sognavo di fare. Faticoso e impegnativo, ma davvero bello e straordinariamente interessante. Andai in Bhutan, piccolo e affascinante paese di circa 700.000 abitanti che confina con il Tibet e con l’India, incastonato nella catena montuosa dell’Himalaya, ricco di spiritualità e misticismo religioso. Il Bhutan segue una rigida politica di rispetto della propria terra e il governo si preoccupa per la felicità degli abitanti tanto da avere istituito un apposito ministero che ha, tra gli altri, il compito di calcolare un indice chiamato “Felicità Interna Lorda”, per misurare il grado di benessere della popolazione.
Il “Fil” indica che lo sviluppo è costituito da più dimensioni rispetto a quelle associate al Prodotto Interno Lordo, ed esso deve essere considerato come un processo che cerca di aumentare la felicità piuttosto che la crescita economica. Gli obiettivi che vengono considerati prioritari per indirizzare il processo di cambiamento sono dati dallo sviluppo umano equilibrato ed equo, dall’istruzione, dalla governance, dalla cura del patrimonio culturale e dalla conservazione dell’ambiente. Questi obiettivi rendono il concetto di Felicità Interna Lorda più concreto e contengono i principi guida per assicurare al Paese indipendenza, sovranità e sicurezza.
Mi accompagnava nel tour del paese Kinley, un giovane con lo stesso cognome del Re del Bhutan, Wangchuk. Kinley è innamorato del suo paese, entusiasta dei progressi economici e del processo di modernizzazione in corso nel Bhutan. La sua pronuncia dell’inglese non era delle più accessibili, però ci si capiva egregiamente. Man mano che la visita procedeva mi sorprendevo a riflettere come fra il piccolo paese himalayano e la Sardegna ci fossero delle singolari analogie o, meglio, ci fossero state. Rilevabili nell’azione riformista della Giunta regionale di centrosinistra dal 2004 al 2008, che aveva avviato e perseguito obiettivi in qualche maniera coincidenti con quelli del lontano paese asiatico. Azione interrotta dalla vittoria di Cappellacci e dalle sue politiche, insulse e deleterie. Ricordo anche di aver fatto sorridere i miei compagni di viaggio, ironizzando sul fatto che a suo tempo Mauro Pili avrebbe fatto meglio a copiare il programma del Bhutan anziché quello della Valtellina! Tanto il mare non c’è in nessuno dei due territori. Avevo parlato con Kinley delle mie riflessioni, dicendogli come fosse condivisa da tantissimi sardi la speranza del riscatto dalle politiche e delle azioni disastrose del centrodestra e della ripresa di un programma di governo regionale che ci aveva fatto sentire orgogliosi di essere sardi. Era difficile per lui capire perché la maggioranza dei sardi avesse rinunciato a quel programma che gli avevo tracciato a grandi linee. Si era limitato a commentare: “crazy people!”. La nostra speranza, gli avevo detto, è data anche dalle migliaia di persone che stanno partecipando agli eventi promossi dall’associazione Sardegna Democratica per discutere, approfondire e proporre alternative di buon governo. Mi aveva fatto l’augurio di poterci rivedere con la Sardegna “liberata”. Cosa potrei raccontare a Kinley se dovessi rivederlo dopo il 16 febbraio e se, avverandosi le previsioni elettorali, dovesse vincere ancora il centrodestra? Mi capirebbe se gli dicessi che tutto ciò che era stato costruito in quattro anni di supplenza propositiva alla politica, assente, distratta e in tutt’altre faccende affaccendata, dalla partecipazione e dall’entusiasmo di tantissime persone volenterose e competenti è stato triturato e annientato dalla politica stessa? Anche da quella che avevamo immaginato “buona”, vicina idealmente a noi e per la quale ci saremmo battuti senza risparmio di energie per sconfiggere la destra. Una politica che si è incartata nella questione morale e nella spartizione del potere, nelle guerre per bande, per correnti e sub-correnti. Che si pregia dell’aggettivo “democratico”. Che arriva persino a disconoscere le regole di democrazia interna che democraticamente si è data. Che non ha preparato uno straccio di programma per il riscatto economico, etico e sociale della Sardegna essendo stata impegnata solo nella guerriglia interna. E che ora corre disperatamente contro il tempo elettorale tiranno imposto dal plurindagato presidente della Regione con un candidato sicuramente di alto profilo ma non espresso dalla base “democratica”. Se raccontassi queste cose a Kinley so già che non capirebbe. Mi guarderebbe con stupore ed esclamerebbe: “Very very crazy people!”
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