Materiali per un’urbanistica sostenibile: Ozi privati e pubbliche virtù [di Salvatore Multinu]

Carbonia

Anche se, negli ultimi anni, ha subìto qualche incidente (Alitalia, Ilva e una non trascurabile teoria di Istituti bancari) lo slogan «privato è bello» continua ad essere diffuso anche ben al di là dell’ambito economico, nel quale avrebbe una sua – pur non esclusiva – ragion d’essere. Tale convinzione, del resto, costituisce l’attuale cornice ideologica della costruzione europea, all’interno della quale il mandato sembra essere quello di privatizzare tutto, beni pubblici e beni comuni compresi; in contrapposizione alla inefficienza e inefficacia dell’azione pubblica, che sarebbe, in tale vulgata, intrisa di sprechi, lassismo, burocratismo, clientelismo.

Intendiamoci, l’accusa ha un suo fondamento: le cronache quotidiane (e alcune non disinteressate campagne di stampa) segnalano eventi a sostegno della tesi, senza tuttavia prestare alcuna attenzione al fatto che anche nel settore pubblico si possono trovare esempi virtuosi di buone pratiche.

Sono stati recentemente ultimati dall’Azienda per l’Edilizia abitativa (AREA), a Carbonia, e sono pronti ad essere consegnati, 44 alloggi di edilizia sociale (nel caso specifico a canone concordato) realizzati con tecniche costruttive e soluzioni impiantistiche all’avanguardia e improntate a caratteristiche di sostenibilità che vanno dagli elementi strutturali (pannelli in legno lamellare incrociato), agli elementi di isolamento termico, all’utilizzo integrato delle fonti di energia rinnovabile (solare termico, fotovoltaico e geotermico) che coprono il 40% del fabbisogno energetico.

Tutti gli alloggi saranno serviti da teleriscaldamento: utilizzeranno, cioè, l’acqua calda – sia destinata al riscaldamento che agli usi igienico-sanitari – prelevandola, e pagandola a consumo con modalità simili a quelle dell’acqua fredda, da un impianto centralizzato dove una pompa di calore alimentata dall’impianto fotovoltaico collocato sui tetti degli edifici tratterà l’acqua fornita da tre pozzi geotermici e preriscaldata attraverso l’impianto solare termico (anch’esso collocato sui tetti).

L’intervento è l’ultimo di una serie iniziata nel 2009 con la costruzione del primo edificio pubblico sardo in legno lamellare (quattro alloggi a Bacu Abis), replicato poi nei cinque anni successivi ancora a Carbonia-Bacu Abis (24 alloggi in cinque edifici) e Iglesias (35 alloggi in quattro blocchi), in diverse situazioni operative che vanno dalla demolizione e fedele ricostruzione di edifici preesistenti, risalenti alla fondazione della città mineraria, fino alla costruzione di nuove architetture, frutto di concorsi che hanno visto la partecipazione, assai qualificata, di decine di architetti ed imprese di costruzione.

Il Distretto AREA di Carbonia (prima della sua abolizione, con la improvvida riforma che ha fatto dell’Azienda poco più che una succursale burocratica dell’Assessorato regionale di riferimento) aveva infatti intrapreso una decisa azione di ricerca e innovazione, confrontandosi in diverse occasioni con le due Università sarde e con l’Ente Foreste, con l’obiettivo di sperimentare – nel settore dell’edilizia sociale – anche l’uso di legno prodotto in Sardegna.

Nel progetto vincitore dell’appalto integrato dei 44 alloggi il team di imprese aveva proposto la costruzione di un piccolo edificio (da destinare a laboratorio di quartiere) costruito con pannelli realizzati con tavole ottenute da tronchi di pino sardo, sui quali il DADU di Alghero e il Dipartimento di materiali della Facoltà cagliaritana di Ingegneria avevano condotto, presso il laboratorio universitario di Gratz in Svizzera, prove di resistenza con risultati apprezzabili. Ignoro il motivo specifico che ne ha impedito la realizzazione, ma credo che la citata riorganizzazione di AREA non sia del tutto estranea all’evento.

Nell’ambito di una politica capace di sguardo lungo, la coltivazione di foreste per usi strutturali potrebbe costituire un elemento di svolta economica per le zone interne della Sardegna, in quelle aree a minore vocazione agricola o pastorale che certamente esistono; coltivazione integrativa delle essenze autoctone, sia dal punto di vista della produzione che del contributo ad una sostenibilità ambientale e climatica accompagnata ad una articolata e controllata tutela paesaggistica.

Naturalmente occorrerebbero adeguati investimenti pubblici che garantiscano lo start up e una domanda pubblica in parte predefinita nel tempo. Almeno finché dureranno gli ozi degli investimenti privati è opportuno – e, anzi, indispensabile – che provvedano le pubbliche virtù.

*Ingegnere. Relatore al Seminario “Nateriali per un’urbanistica sostenibile”. Pattada 28 Agosto.f

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