L’Ottava conferenza sulla lingua sarda a Castelsardo [di Attilio Mastino]

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Ho ricevuto solo ieri il cartoncino di invito, quasi illeggibile, per l’Ottava conferenza sulla lingua sarda promossa a Castelsardo per venerdì sera, stampato con una grafica davvero di pessima qualità, con errori e una toppa che tende a nascondere un tardivo ripensamento, per evitare le spese di una ristampa. Mi rammarico per la sciatteria e per il ritardo, che mi impedirà di essere presente come avrei  voluto. Ma ormai da diversi anni gli inviti arrivano con ampio ritardo, talora anche a conferenza annuale già svolta: non sarà per caso una strategia nei confronti degli invitati scomodi?

Vedo sulla pagina della  cultura de L’Unione Sarda l’articolo di Celestino Tabasso dove l’Assessore Regionale alla cultura sostiene che le Università lo hanno deluso e non sanno che il Sardo è una lingua normale, perché gli Atenei <<sarebbero portati a ricoprire una posizione di predominio>>.  L’Assessore Milia ora sposa fino in fondo le tesi del direttore del Servizio Lingua Sarda,  che si ritiene costituito ufficialmente come guardiano del tempio dell’ortodossia linguistica e si dedica a dare colpi a tutti coloro che scantonano anche di pochi centimetri dal suo illuminato pensiero, comunque sempre dalla parte del potere.

Forse l’Assessore farebbe bene a non avventurarsi in discussioni su lingue normali, normalizzate etc., rischia di fare confusione. Viene da domandarsi quanto la lingua sarda sia stata usata negli ultimi anni come strumento di consenso politico, tenendosi sempre ben lontani dalla prospettiva di valorizzarla nel senso voluto dai parlanti, di cui ci sente interpreti sempre e comunque. E’ così che si crea una lingua normale? E cosa è stato fatto per far crescere il numero degli interventi in sardo in Consiglio Regionale?

Mi sorprende questo nuovo attacco facile facile all’Università di Sassari che, per il tramite della  Commissione cultura, ha sempre inteso contribuire efficacemente alla realizzazione di corsi di aggiornamento per la formazione di insegnanti di lingua e cultura sarda. L’Università si è proposta di contribuire da subito sul piano scientifico a fornire un quadro di riferimento che fosse metodologicamente avanzato e in sintonia con le più recenti acquisizioni della ricerca linguistica e filologica.  L’Università obbedisce a logiche di applicazione di standard internazionali riconosciuti sul piano scientifico: a dognunu s’arte sua, naraiada kuddu chi crastaida tilipilches.

Le Università lavorano per la Sardegna. Esse  sono una risorsa. Non c’è futuro senza l’Università per la Sardegna e per il Paese. Assai opportuno sarebbe stato  rispettare l’autonomia didattica e scientifica delle Università, coinvolgendole già in sede di individuazione degli obiettivi da raggiungere in termini di pianificazione linguistica e culturale, e soprattutto delle strategie da mettere in campo.

Il Progetto di formazione ‘Il Sardo a scuola’ per gli insegnanti non è stato realizzato dall’Università di Sassari solo per un motivo: per tre anni abbiamo aspettato il via libera dell’Assessorato, che nelle ultime settimane ha finalmente approvato il progetto perché <<congruo con le linee guida del Piano triennale 2008-10>>. Ma ormai le somme erano andate in perenzione. Dunque non abbiamo speso un solo euro, le numerose discipline di area sardistica dei nostri Dipartimenti sono state attivate solo con fondi universitari. 

Non cercavo polemiche con il mio amico Sergio Milia: ma ora mi vedo costretto a sfidare l’Assessore a volersi confrontare pubblicamente con me usando la lingua sarda: io parlerò volentieri nel logudorese di Bosa, quella lingua (che per Corongiu non esiste), alla quale non voglio rinunciare per una LSC standard e normale, che sarebbe più autorevole della tradizionale <<accozzaglia di dialetti>> visti con disprezzo e superiorità davvero coloniale. La lingua di Bitti, usata nelle prediche di Padre Raimondo Turtas durante la Messa all’Annunziata, ha una ricchezza e un’articolazione profonda, che rimanda a generazioni e generazioni di parlanti: noi non vogliamo impoverire il lessico stratificato per adottare un banale esperanto. Sergio Milia scelga pure la LSC, scriva e risponda come crede. Io PARLO in sardo, altri NE PARLANO.

Ribadisco che gli <<assassini del sardo>> sono quelli che vogliono abbandonare la difesa della ricchezza linguistica e della profondità storica di una lingua che non può essere disprezzata per la sua immaginaria storia di <<frammentazione linguistica dialettale>>. La via maestra, nella difesa delle lingue minoritarie, è l’accettazione delle diversità in ogni loro manifestazione: non si può pretendere di essere tutelati dall’invadenza dell’italiano e poi creare dal nulla una lingua standard, normalizzata o normale che dir si voglia, che di fatto è creata, inconfessabilmente, per comprimere la diversità, nella convinzione errata che questa sia l’unica via.

Non fa parte della nostra cultura accettare espressioni irrispettose nei confronti della lingua sarda. Non è nella nostra educazione culturale la politica della esclusione nei confronti di chi la pensa diversamente, sia pur impegnato verso obiettivi comuni. Ho trovato offensivi i giudizi rivolti da Giuseppe Corongiu organizzatore della Conferenza di Castelsardo verso i premi letterari, che sarebbero voluti dalla <<cultura egemone>> per solleticare <<il poeta dopolavorista>>, che <<non ha pretese di politica linguistica, è un subalterno, uno che vive ai margini del mondo culturale>>, uno che <<si auto-ghettizza da sé, senza bisogno di intervento dall’alto>>. Espressioni che hanno il sapore amaro dell’intolleranza e del disprezzo.

Si può concordare con l’esigenza di difendere l’unitarietà della lingua sarda, ma senza stringerla in un abbraccio mortale, uccidendo la diversità e la profondità della storia: l’Assessorato può operare efficacemente attraverso gli sportelli linguistici proprio in questa direzione. Al di là delle dichiarazioni di principio, voglio ribadire anche in quest’occasione che l’Università di Sassari è fortemente impegnata per la difesa della lingua sarda come lingua dell’oggi e del domani, come segno di identità e come elemento distintivo per le culture della Sardegna. L’Università prende l’impegno per difendere e qualificare l’insegnamento delle lingue minoritarie e della lingua sarda nel nostro Ateneo al servizio della scuola sarda. La lingua sarda è stata pensiero, riflessione, strumento per intendere la realtà, per entrare in comunicazione con gli altri sardi, in una comunicazione orizzontale profonda.

Il nostro Ateneo vanta una tradizione di studi in materia di Lingua Sarda: penso a Massimo Pittau, Nicola Tanda, Giulio Paulis, Giovanni Lupinu, Dino Manca, Carlo Schirru, Fiorenzo Toso, ma anche a tanti altri, più o meno strutturati e incardinati nell’Accademia. Di conseguenza non posso accettare, in qualità di Rettore, giudizi offensivi e soprattutto invito l’Assessore ad innalzare il livello e la qualità del dibattito, ad allargare gli orizzonti, a migliorare l’immagine della Regione Sarda, a stampare programmi che abbiano un minimo di dignità e di rispetto per i temi affrontati.

*Rettore dell’Università di Sassari

2 Comments

  1. Elisabetta SORGIA

    Storia, lingua e cultura sarda. Patrimonio da preservare e da valorizzare ma, i nostri giovani, i figli della Società del nostro tempo hanno bisogno di guardare oltre l’orizzonte delle occosioni perdute nella notte dei tempi. I figli della crisi, hanno bisogno di conoscere le lingue straniere per potersi confrontare ed essere cittadini Europei e del Mondo Globale. E ‘ La sfida del terzo millennio.

  2. G. Ledda

    Conoscere altre lingue per potersi confrontare con gli altri, non è in contrasto con la conoscenza della cultura e della lingua sarda. Il sapere non occupa spazio. S’ischire non leat logu in conca.

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