Abusivismo, condoni e fratture nel PCI [di Edoardo Salzano]
Per ricordare meglio una storia dolorosa, alcune pagine dalle Memorie di un urbanista, sui contrastati rapporti tra comunisti e abusivismo all’interno del Partito comunista italiano degli anni Ottanta. Eddyburg. it 25 agosto 2017. Intanto, sull’abusivismo. All’inizio del 1984 il Parlamento inizia la discussione della conversione in legge di un decreto del governo che, nel dichiarato intento di raggranellare un po’ di entrate, condona a pagamento l’abusivismo edilizio. Si apre un lungo dibattito, nel quale emerge con chiarezza che il Pci (la cui politica del territorio è guidata dal nuovo responsabile del settore Infrastrutture, casa e trasporti, Lucio Libertini) è favorevole al condono, motivando il fenomeno del mancato rispetto delle regole urbanistiche con la loro rigidezza, astrattezza, incuranza delle esigenze della gente. Le vicende parlamentari sono attentamente seguite dall’Inu e dalla sua rivista. Gli organi dell’istituto esprimono sistematicamente le loro censure. Un articolo di Luigi Scano su Urbanistica informazioni [1] critica in particolare un emendamento, proposto da Franco Bassanini e altri deputati indipendenti di sinistra, pienamente appoggiato dal Pci, che prende pretesto dal condono per liberalizzare, rispetto alle previsioni dei piani urbanistici, i cambiamenti di destinazioni d’uso e allargare il campo del silenzio-assenso. La tesi del gruppo dirigente dell’Inu era che, se le regole dell’azione pubblica non vanno bene, allora si cambiano con altre regole, non si cancellano. Lo ribadivo nell’editoriale del n 75 di “Urbanistica informazioni”: “Il problema non è quello della deregulation, ma è quello delle nuove regole da costruire. Il problema non è quello di smantellare gli strumenti attraverso i quali oggi si attua il governo pubblico delle trasformazioni urbane e territoriali, ma è quello di rinnovarli, di adeguarli alle nuove esigenze, ai nuovi problemi, alle nuove possibilità tecniche”. Inizia un mio carteggio (ero allora presidente nazionale dell’Inu), con Lucio Libertini e altri esponenti della Direzione del Pci, che proseguirà per qualche anno. La critica principale che gli urbanisti, pienamente rappresentati allora dell’Inu, facevano alla legge e all’atteggiamento del Pci era di aver completamente invertito il processo logico che si sarebbe dovuto seguire. Secondo noi si sarebbe prima dovuto rafforzare le norme capaci di arrestare l’abusivismo, poi provvedere a redigere piani urbanistici volti a recuperare gli insediamenti abusivi conferendo loro la necessaria dignità umana, e solo dopo provvedere al condono delle diverse situazioni soggettive, senza però accrescere l’iniquità tra chi aveva costruito abusivamente e chi, pur avendo la stessa necessità, la legge aveva rispettato. La legge, secondo un percorso tollerato dal Pci, partiva dalla coda: ciò che interessava era il condono, per ragioni di cassa (il governo) o per ragioni di demagogia (Libertini). Lo scontro raggiunse livelli acuti, sia dentro che fuori il Pci. Libertini scrive che “si è manifestata nell’opinione pubblica, anche di sinistra, una reazione di rigetto verso la pianificazione urbanistica, identificata in forme perverse di oppressione burocratica” (Libertini, 1984), e su questa base attribuisce legittimità alle norme regolative, noi rivendichiamo la necessità di fondare in Italia una “nuova cultura della pianificazione” e di affrontare con coerenza l’insieme delle questioni del governo del territorio. Le elezioni amministrative segnano un notevole arretramento del Pci. In una lettera al segretario generale del Pci (Alessandro Natta), e ai capigruppo della Camera (Giorgio Napolitano) e del Senato (Gerardo Chiaromonte) quaranta urbanisti esprimono le loro critiche[2]. «Dobbiamo dire innanzitutto che – come urbanisti – fin dalle prime battute dello scontro elettorale ci ha preoccupati la debolezza delle posizioni, e della propaganda, del Partito sui temi della qualità urbane e dell’ambiente. E i risultati hanno non solo confermato, ma accentuato le nostre preoccupazioni. Infatti, sebbene nella propaganda elettorale abbiano giocato un peso rilevante i temi della politica nazionale, ci sembra indubbio che un ruolo non marginale abbiano svolto i temi dell’assetto territoriale e urbano. E allora non si può non sottolineare che siamo stati sconfitti anche per i colpi (“severi”, nel giudizio dell’elettorato) di una determinata propaganda delle forze politiche avversarie e concorrenti: a destra, dove la DC ha impostato la sua campagna elettorale, sia pure con toni da crociata, sul tema della inefficienza delle giunte rosse; e a sinistra, dove i “verdi” hanno esplicitamente dichiarato che il voto per le loro liste sarebbe stato l’espressione di una critica all’insufficienza, all’ambiguità e ai ritardi dei partiti di sinistra (ma in primo luogo del Pci) sui temi dell’ambiente». Chiedevamo «una riflessione profonda, e a un dibattito aperto e impietoso» poiché siamo stati colpiti proprio sul punto su cui avremmo potuto essere più forti: sui temi che ci hanno storicamente visti come protagonisti, e per i quali regioni e comuni amministrati da noi sono stati proposti e riconosciuti come modelli, all’Italia e all’estero». A nostro parere, avevamo perso perché non vi era stata «un’adeguata direzione nazionale, o quanto meno un efficace coordinamento, del Partito sulle questioni urbanistiche e territoriali. Di queste ci si è occupati a pezzi, a spezzoni, a settori, dimenticando, o ignorando, che ciò che è essenziale è una visione unitaria dei problemi del territorio, che un governo pubblico delle trasformazioni urbane e territoriali ha il suo metodo e strumento irrinunciabile nella pianificazione urbanistica e territoriale, e che infine consolidare nel paese una cultura e una prassi della pianificazione esige uno sforzo determinato, tenace, continuo, di lunga durata». Alla lettera non ricevemmo risposta da parte dei destinatari; ci rispose invece, su loro mandato, Libertini, dichiarando che il Pci voleva superare il “giacobinismo illuminista”, colpevole del distacco tra movimento riformatore e masse popolari. La risposta ai 40 urbanisti era stata preceduta da una lettera dello stesso Libertini a tutti segretari regionali e provinciali e alla commissione casa e infrastrutture del Pci, in cui, difendendo il comportamento del Pci sull’abusivismo, respingeva le critiche delle “associazioni che difendono l’ambiente e il territorio” attribuendole “ai legami intensi che tutte queste associazioni hanno con i partiti di governo”[3]. Un ulteriore picco del dissenso si ebbe quando, il 17 febbraio 1987, il Pci appoggiò platealmente una manifestazione di piccoli costruttori abusivi, accompagnati da numerosi sindaci: quarantamila persone erano venute a Roma, in larghissima prevalenza dal Mezzogiorno, guidati dal sindaco comunista Paolo Monello, sindaco del comune di Vittoria (Ragusa), per chiedere un’ampia estensione dell’abusivismo e l’abolizione della tassa per il condono. Case abusive tasse esose, Rabbia e protesta dal Sud, era il titolo sparato in apertura della prima pagina de “l’Unità”, su cinque colonne. Nelle pagine interne altri articoli commentavano la manifestazione e raccontavano del fruttuoso incontro dei sindaci leader del movimento con un’autorevole delegazione di senatori comunisti. Il giorno dopo continuano le cronache del movimento degli abusivisti, e un corsivo di Emanuele Macaluso prosegue la giustificazione degli abusi commessi. “Si vuole che chi doveva finalmente costruire una casa […]avrebbe dovuto farlo con i bolli. E dove erano i bolli? E chi li metteva questi bolli? Ed in quali aree fabbricabili si sarebbe potuto costruire?”[4] Naturalmente la polemica divampò. Su Urbanistica informazioni raccogliemmo gli articoli fortemente critici di Antonio Cederna (la Repubblica, 19 febbraio), Giovanni Russo e Cesare De Seta (Corriere della sera, 9 febbraio), Filippo Ciccone ed Enrico Testa (il manifesto, 20 febbraio), Fabrizio Giovenale (Paese sera, 22 febbraio), Vezio De Lucia (l’Unità, 23 febbraio), Giulio Di Donato (Avanti!”, 6 marzo), Edoardo Salzano (Rinascita”, 24 febbraio), Pierluigi Cervellati (La Nazione, 28 febbraio), Carlo Melograni (l’Unità 6 marzo). Le posizioni del Pci erano state difese da Emanuele Macaluso (l’Unità, 20 febbraio) e Lucio Libertini (la Repubblica, 21 febbraio), mentre Guido Alborghetti, parlamentare del Pci, aveva preso le distanze dal sostegno al movimento degli abusivi pur tentando di mediare tra le opposte posizioni (Rinascita, 24 febbraio). Nei mesi successivi ulteriori tentativi furono compiuti dagli urbanisti vicini all’Inu per convincere i dirigenti del Pci a mutare registro. La risposta del Pci venne sempre da Libertini, e non cambiò di tono. Finalmente il 22 ottobre 1988 diedi le dimissioni dalla commissione casa, infrastrutture e trasporti. La mia battaglia proseguiva all’interno dell’Inu, dove le cose non andavano bene. La svolta era arrivata anche lì. [1] L. Scano, L’emendamento Bassanini. Deregulation ovvero sregolatezza, “Urbanistica informazioni”, 1984, n. 73/74.
* Edoardo Salzano, Memorie di un urbanista, l’Italia che ho vissuto, Corte del fòntego, Venezia 2010, pp.119-123 |