Intervento nel procedimento di V.A.S. per il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi [di Graziano Bullegas e Mauro Gargiulo – Italia Nostra]

nucleare

Pubblichiamo l’ Intervento nel procedimento di V.A.S. – Decreto L.VO N° 152/2006 – Direttiva 2001/42/CE   presentato da Italia Nostra al Ministero dell’Ambiente e al Ministero dello sviluppo economico. Dal Documento mancano  i grafici parte integrante del Documento (NdR).

All’attenzione del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali  DGSalvaguardia.Ambientale@pec.minambiente.it Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare   Direzione generale per i rifiuti e l’inquinamento  dgrin@pec.minambiente.it e del Ministero dello sviluppo economico, Direzione generale per il mercato elettrico, le rinnovabili, l’efficienza energetica, il nucleare  dgmereen.dg@pec.mise.gov.it e p.c.:    Alla Commissione Europea ENV-CHAP@ec.europa.eu

Al Presidente della Giunta Regionale Sarda presidente@regione.sardegna.it All’Assessorato della Difesa dell’Ambiente Regione Sardegna amb.assessore@pec.regione.sardegna.it Al Direttore del Servizio S.A.V.I. dell’Assessorato della Difesa dell’Ambiente della Regione Autonoma della Sardegna amb.savi@regione.sardegna.it, difesa.ambiente@pec.regione.sardegna.it

Oggetto: Procedura della Valutazione Ambientale Strategica per il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi proposta Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Direzione generale per i rifiuti e l’inquinamento (RIN) e da Ministero dello Sviluppo Economico – Presentazione Osservazioni.

I sottoscritti Graziano Bullegas e Mauro Gargiulo, rispettivamente presidente e delegato per le tematiche energetiche del Consiglio Regionale Sardo di ITALIA NOSTRA Onlus, Associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione, e soggetto portatore di interessi pubblici, diffusi e collettivi riconosciuta con Decreto del Presidente della Repubblica 22 agosto 1958, Nr. 111, e individuata con Decreto del Ministero dell’Ambiente 20 febbraio 1987 quale associazione nazionale di protezione ambientale (ex art. 13 della legge n° 349/86), ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 24 comma 4 del Decreto L.vo 152/2006 e s.m.i intendono inoltrare le seguenti

OSSERVAZIONI  Si fa riferimento al procedimento di VAS in corso presso il Ministero dell’Ambiente e per il quale risultano pubblicati i documenti tecnici relativi alla prima fase di attuazione del Programma nazionale che porterà alla localizzazione del Deposito Nazionale unico  (in seguito anche Deposito) e del Parco tecnologico. Il Programma nazionale prevede che la gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi (in seguito per brevità anche scorie) debba avvenire secondo le modalità di seguito esposte.

Tutte le scorie a bassa e media attività (prima e seconda categoria), provenienti dall’interoterritorio nazionale dovranno essere conferite ad un Deposito nazionale unico, realizzato per ospitare un impianto di smaltimento a titolo definitivo; presso di esso sarà ospitato un Deposito per lo stoccaggio temporaneo ma di lunga durata (tempo ipotizzato 50 anni)  dei rifiuti ad alta attività (terza categoria) e media attività con concentrazioni e contenuto di radionuclidi a lunga vita, nella quasi totalità provenienti dalla Francia e dall’Inghilterra dopo le operazioni di decommissioning del combustibile irraggiato.

Tale temporaneità nelle more dell’individuazione di un deposito in formazione geologica profonda, nel quale dovrebbero confluire i materiali dello stoccaggio temporaneo. Le caratteristiche tecniche di tale ultimo deposito sono ancora da determinare a livello europeo, considerando anche che, a causa della loro contenuta volumetria, si potranno verificare condizioni per un accordo governativo tra Stati membri dell’Unione europea per la realizzazione di un deposito comunitario.

Per quanto concerne il processo di localizzazione del Deposito Nazionale, esso dovrebbe svolgersi attraverso tre fasi. La prima fase consiste in una selezione di aree a scala nazionale, da espletarsi sulla  base di criteri connessi alle caratteristiche fisiche, chimiche, naturalistiche e antropiche, che condurrà alla individuazione di più aree “potenzialmente idonee” con un eventuale ordine di idoneità.

La seconda fase è finalizzata a individuare tra questi siti quelli da sottoporre ad indagini di dettaglio. La terza fase completa il procedimento con la caratterizzazione di uno o più siti ritenuti idonei. I criteri operativi che saranno applicati nel corso del procedimento sono contenuti nella Guida Tecnica n. 29 dell’ISPRA, denominata “Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività” e redatta nel 2014 (di seguito GT29).  Tali criteri sono stati suddivisi dall’ISPRA in “Criteri di esclusione “ che dovrebbero portare ad escludere alcune aree del territorio nazionale non in possesso dei sufficienti requisiti di sicurezza e  “Criteri di approfondimento” che dovrebbero garantire una più adeguata valutazione delle aree individuate come idonee.

L’attuale fase del Procedimento di VAS in corso presso il MATTM e il MISE è quella che condurrà alla formulazione di una proposta di Carta Nazionale dei siti potenzialmente idonei (di seguito anche CNAPI), passaggio propedeutico alla redazione del progetto preliminare del Deposito. In merito si formula una prima OSSERVAZIONE di carattere propedeutico e procedimentale.

Nell’elaborato relativo al Programma Nazionale alla pag. 31 viene testualmente affermato: “Una delle tappe più significative tra quelle individuate si riferisce all’iter che porterà alla localizzazione del Deposito Nazionale nell’ambito del Parco Tecnologico. Nella figura 2, che segue, sono sintetizzate, in maniera schematica, le attività già effettuate e quelle da effettuare”.

Di fatto si dichiara nella figura 2, dove sono riportate le “Tappe significative per la realizzazione del Deposito Nazionale e del Parco Tecnologico”, che risultano già completate le attività di proposta della CNAPI e di redazione del progetto preliminare, senza che siano state concluse le procedure inerenti la fase procedimentale in corso, che vede la partecipazione del pubblico, la formulazione e l’analisi delle Osservazioni. Se ne deve dedurre che le Decisioni sono state già assunte e di conseguenza la proposta della Carta Nazionale dei siti non terrebbe in alcun conto i risultati dell’attuale fase procedimentale, che si concluderà il 13 settembre. Tale Osservazione assume laconsistenza della prova se confrontata con le recenti dichiarazioni del Ministro Calenda, il quale ha espressamente comunicato agli organi di stampa che la CNAPI è di fatto pronta e sarà presentata entro il presente quadrimestre.

Per quanto concerne il procedimento tecnico di VAS, si formulano quattro Osservazioni: Osservazione n. 1 avente ad oggetto questioni inerenti i criteri di localizzazione;  Osservazione n. 2 rileva vizi di illegittimità nel procedimento di VAS in corso;  L’Osservazione n. 3 sulla incompatibilità del Deposito Nazionale all’interno delle regioni meno favorite economicamente;  Osservazione n. 4 che investe in modo più generale la proposta di soluzione della problematica dei rifiuti radioattivi contenuta nel Programma Nazionale.

 OSSSERVAZIONE n° 1

Il Programma nazionale attribuisce al termine “aree potenzialmente idonee” un significato di estrema genericità, secondo cui i caratteri di idoneità in potenza dovrebbero essere deducibili da aspetti di tipo tecnico (fisico, chimico, naturalistico) ed antropico. Nel redigere i conseguenti Criteri di esclusione (CE) e di approfondimento (CA), la GT29 fissa con un ulteriore grado di precisione tali caratteri, senza però tener conto del fatto che, mentre per alcune di queste Aree è possibile desumere georeferenziazione e contorni da cartografie di piano (Aree vulcaniche, aree di sismicità elevata, PAI ecc.), per altre la perimetrazione geografica risulterebbe di dubbia fattibilità e dipendente dalla scala di rappresentazione. Si fa riferimento ai criteri riportati dal CE5 al CE8, ma in particolare al criterio CE12, che impone “adeguate distanze dai centri abitati”.

A secondo di un’interpretazione estensiva o riduttiva del termine “adeguate” e del concetto di “centro abitato”  e in funzione della scala di rappresentazione della CNAPI, ne deriverebbe la esclusione o meno divasti territori, caratterizzati ad esempio da antropizzazione diffusa.

Un ulteriore elemento di perplessità è costituito dal fatto che il Programma Nazionale (diconseguenza la GT29), nella formulazione dei criteri che preludono alla redazione della CNAPI, prenda in considerazione solo i caratteri fisici ed antropici delle Aree, escludendo ogni relazione con altre problematiche che possano avere incidenza su di una corretta localizzazione del Deposito, in particolare non tiene in alcun conto il rapporto con il cosiddetto “Servizio integrato”, ovvero delle difficoltà di gestione e trasporto dei materiali radioattivi in relazione alla localizzazione dello stesso.

Il pericolo intrinseco dei materiali da movimentare, l’ampio raggio dei luoghi di provenienza che coinvolge in pratica l’intero territorio nazionale, con aree di evidente concentrazione nel Nord dell’Italia – come ben rappresentato nella precedente figura che riporta i principali produttori/detentori di rifiuti radioattivi di origine civile oggi presenti sul territorio nazionale – la necessità di eseguire le attività di riprocessamento del combustibile irraggiato all’estero, sono solo alcuni degli aspetti più rilevanti che sembrano giocare un ruolo di  non secondaria importanza nella  individuazione di un’area potenzialmente idonea. Si ritiene che anche la complessità di movimentazione dei materiali, i costi dei trasporti, i rischi derivanti alla pubblica incolumità in caso di incidente, siano caratteristiche da valutare in un procedimento di idoneità e costituire essi stessi

Criterio di selezione.  Se si considerano i criteri di esclusione nella loro stringata formulazione e la labile “vastità” delle aree da escludere, prescindendo da ogni altra considerazione geografica e dal ruolo che svolgono i Servizi integrati, non può che dedursi, come da più parti già ipotizzato, che vaste aree della Sardegna siano state già selezionate come idonee per accogliere le scorie e che i Criteri siano solo formali strumenti di individuazione.

In conclusione si ribadisce che i Criteri di esclusione, nella formulazione della GT29, sono da considerarsi non esaustivi ed ampiamente insufficienti ai fini di una corretta formulazione di proposta di una Mappa nazionale dei siti di stoccaggio. Vi è ancora da Osservare che il riferimento alle caratteristiche geofisiche di un’area vasta, costituisce solo in apparenza un Criterio oggettivo. Come si è visto la neutralità della techne risulta condizionata dall’ambito limitato della sua applicazione, mentre nulla dice sui motivi che hanno portato alla esclusione di altri criteri, né sulla incidenza di tali esclusioni sui processi decisionali.

Un’attenta riflessione va fatta sulla non giustificata assenza di ogni riferimento a Criteri di sostenibilità ed a quelle caratteristiche dei Territori ad essi inerenti. Assenza che appare sorprendente quando si pensi che si è nel corso di un procedimento di VAS, il cui dettato normativo trova fonte ispiratrice nel Codice dell’Ambiente (D.lgs.152/2006) e nelle Direttive della C.E.

Occorre dunque trovare uno spazio procedimentale perché la potenzialità delle Aree ad ospitare il Deposito  Aree sia esaminata anche alla luce di quei fattori di non sostenibilità che caratterizzano un territorio soprattutto nei confronti di un insediamento industriale dalle caratteristiche peculiari come quello del Deposito e del Parco tecnologico. A solo titolo esemplificativo e per limitarsi allo specifico della Sardegna che meglio si conosce, si possono elencare alcuni delle caratteristiche di non sostenibilità, che renderebbero oggettivamente l’Isola non idonea nella sua interezza ad ospitare l’intervento.

  1. A) NON SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE

a.1 Servitù militari La presenza ben 14 basi militari di cui 3 poligoni che oltre a limitare la libertà d’uso del territorio determinano un forte impatto ambientale negativo. Si rimanda, per una conoscenza più approfondita di una problematica colpevolmente ignorata a livello nazionale, ai lavori di recente pubblicati della Commissione parlamentare sull’inquinamento da uranio impoverito presente nelle aree sottoposte a servitù militari.

Gli impatti ambientali negativi, come evidenziato dalla Commissione e come da tempo denunciato dai numerosi Comitati, risultano stimati solo in via presunta per le resistenze opposte dalle gerarchie militari alle ispezioni e alla pubblicità dei documenti sulle modalità di svolgimento delle esercitazioni e sulle armi usate. La presenza dei poligoni, oltre che tramutarsi in un costo ambientale elevato, è fonte di condizionamento socioeconomico nei confronti delle popolazioni locali, per la dipendenza culturale, l’assenza di alternativa allo sviluppo, la sottrazione alla messa in valore e tutela di aree vaste e di rilevante pregio ambientale e paesaggistico.

a.2 Presenza di SIN

Tre (oggi ridotti a due!) i SIN, presenti nell’Isola – la Sardegna ha la più estesa superficie interessata (445 mila ettari, oltre il 60% delle aree inquinate inserite nei 57 SIN italiani perimetrati nel 1998) – retaggio della scellerata politica di industrializzazione portata avanti dagli anni ‘70. Essi interessano comprensori amplissimi ancora in attesa di quelle bonifiche promesse da Stato ed Imprese e mai attuate. Essi, come i poligoni, costituiscono un prezzo altissimo pagato dall’Isola a logiche e interessi nazionali, non dissimili da quelle che ispirano il Deposito, che non hanno in alcun conto la vocazione dei territori  e non riconoscono il diritto delle popolazioni all’autodeterminazione.

a.3 Denuclearizzazione.

In Sardegna non sono presenti né centrali nucleari, né siti di stoccaggio provvisori, né Centri di ricerca nucleari. L’autosufficienza energetica e il contributo alla produzione nazionale si sta progressivamente ampliando mediante l’utilizzo delle fonti rinnovabili (FER). L’isola paga un prezzo altissimo sotto l’aspetto della sostenibilità, in termini di consumo di suolo e impatti paesaggistici, al costante incremento delle fonti di energia rinnovabili ed è sottoposta a forti pressioni di carattere speculativo, indotte da una legislazione iperliberista, che viola anche il diritto all’autonomia statutaria in materia di pianificazione paesaggistica.

L’ampia disponibilità di FER e l’adozione di una politica dei contenimenti dei consumi consente di prevedere  per l’Isola un futuro a breve termine affrancato da fonti fossili.  E’ appena il caso di ricordare che la stessa popolazione sarda chiamata in passato ad un referendum consultivo sull’utilizzo del nucleare come fonte energetica si è espressa unanimemente contro. Sarebbe inconcepibile la sola ipotesi di importazione di scorie provenienti da ogni parte d’Italia.

a.4 Aree naturalistiche e di tutela.

In Sardegna sono presenti tre Parchi nazionali, numerose Aree marine e terrestri protette, otto Parchi regionali, numerosi Siti natura 2000, 16 aree di rilevante interesse naturalistico, oltre alle oasi del WWF, per un totale di 3033 km2 tutelati grazie alla presenza di parchi naturali. L’importante azione di tutela svolta da questi siti fa sì che il territorio sardo sia vocato nella sua interezza alla tutela e conservazione dell’ambiente. E’ infatti il caso di ricordare che i servizi ecosistemici non si esauriscono nel solo ambito delle aree naturalistiche protette, che costituiscono la zona “core” di un sistema ecologico esteso e  complesso, ma trovano accoglienza soprattutto nelle aree “buffer” di connessione tra le aree naturalistiche. Considerata la policentricità di tali aree può affermarsi che all’intero territorio sardo deve essere riconosciuta una valenza ambientale tale da escludere a priori ogni possibilità di ospitare un Deposito di scorie.

E’ ancora il caso di ricordare che dal 2006 è in vigore in Sardegna il Piano Paesaggistico Regionale che assume “la centralità del paesaggio come ispiratrice del processo di governance del territorio regionale, provinciale e locale … di conseguenza, il paesaggio costituisce il principale riferimento strategico per definire gli obiettivi, i metodi e i contenuti non solo del PPR, ma anche degli strumenti generali della programmazione e della gestione del territorio regionale, indirizzati verso una politica di sviluppo sostenibile”.

L’eventuale scelta quindi di individuare la Sardegna come sito deputato ad ospitare le scorie nucleare contrasterebbe con i principi ispiratori del PPR che ritiene il paesaggio  come “ambito privilegiato dell’interazione tra uomo e natura, tra comunità e territorio, nel quale rivestono uguale dignità sia il sostrato ambientale, sia la soggettività della costruzione e della percezione antropica dello spazio naturale e abitato”.

Una estensione quindi del concetto di Paesaggio tutelato dalla Convenzione Europea del Paesaggio firmata a Firenze il 20 ottobre 2000 che mal si concilia con la presenza di impianti e depositi completamente avulsi dai territori tutelati dal PPR.

  1. B) NON SOSTENIBILITÀ SOCIALE

b.1 Principio Costituzionale dell’autonomia Regionale.

Poiché si tratta di Regione a Statuto speciale, ad essa sono costituzionalmente riconosciuti poteri legislativi concorrenti in materia di paesaggio ed esclusivi in tema di Governo del Territorio. Considerato l’innegabile rapporto tra la tutela paesaggistica e disposizioni in tema di urbanistica da un lato e localizzazione di un Deposito nazionale di rifiuti radioattivi dall’altro, l’assunto enunciato nel Programma nazionale, secondo il quale il parere dei Comuni e della Regione nel territorio dei quali verrà individuato il sito del Deposito, pur essendo obbligatorio non è vincolante, costituisce violazione dell’art. 117 della Costituzione.

Tralasciando per ora di entrare nel merito degli aspetti giuridici, in questa sede e sulla scorta delle considerazioni esposte, occorre sottolineare che la realizzazione del Deposito unico in territorio sardo verrebbe percepito dalla totalità della popolazione come l’ennesima violazione dei diritti, sanciti costituzionalmente, dell’Isola e della sua autonomia. Ne conseguirebbe l’accrescersi di quel   sentimento di astio e di avversione nei confronti delle Istituzioni e dello Stato, già così diffuso, destinato a sfociare in proteste di piazza con problemi di ordine pubblico.

E’ facile infatti prevedere che in qualsiasi parte dell’Isola si dovesse decidere di localizzare il sito, l’intero popolo sardo e le Amministrazioni locali opererebbero coese nella difesa del territorio, bloccando gli eventuali punti di sbarco. Si può inoltre asserire con certezza che nessun Comune darebbe disponibilità ad ospitare l’impianto sul proprio territorio.

  1. C) NON SOSTENIBILITÀ ECONOMICA

Dopo lo scontato fallimento della politica di industrializzazione dell’isola con lo strascicoincombente e irrisolto delle bonifiche dei siti industriali, sempre promesse e mai iniziate, si è preso coscienza che le uniche speranze di possibilità di uno sviluppo dell’isola debbano essere riposte nei settori dell’agropastorale e del turismo.

Questa convinzione, che può dirsi ormai sensibilità diffusa, mal si concilia con la presenza di un Deposito di rifiuti nucleari, anzi ne è in palese contrasto. L’eventuale localizzazione in un’area interna dell’isola, sia pure compromessa da attività industriali pregresse, non farebbe che penalizzare ulteriormente parti di territorio che non possono godere della prossimità delle coste e che solo riscoprendo il valore delle attività primarie possono pensare di ridurre il gap finora accumulato.

In proposito vi è da aggiungere che l’esiguità numerica delle popolazioni dei centri internidetermina l’impossibilità di reperire al loro interno competenze tecniche  e risorse umane in settori a cosi alta valenza tecnologica come quelle richieste da un Parco tecnologico. Nessun contesto isolano, pur volendo prescindere dalle problematiche di tipo ambientale che larealizzazione di un tale progetto comporta, potrebbe giovarsi dei benefici effetti né in termini occupazionali, né in termini di indotto. L’impianto infatti risulterebbe avulso dal contesto con la conseguente ghettizzazione della componente identitaria e  la sua progressiva sostituzione con nuclei di “immigrati” di eterogenea provenienza.

OSSERVAZIONE n° 2

La procedura di VAS in corso sulla gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi non tiene conto dell’importante fase del trasporto dei rifiuti dagli attuali siti temporanei verso il deposito unico, il cosiddetto “Servizio integrato” di cui si è accennato nella osservazione N. 1. Così come risulta incompleta l’intera programmazione della gestione del combustibile e dei rifiuti radioattivi in quanto non viene considerata la strategia per il ritorno dei rifiuti ad alta emissività da Francia e UK.

Considerato che il trasporto implica un elevato grado di pericolosità sotto l’aspetto ambientale oltre che notevoli costi di natura economica, si ritiene che tale fase debba essere considerata e analizzata all’interno della procedura di VAS. Si rileva quindi un vizio formale e sostanziale nel procedimento di VAS in conseguenza dell’assenza della fase “trasporto scorie”, che rendono la procedura in corso non completa e quindi illegittima.

E’ ovvio che i rischi ambientali diventano ben più consistenti se si considera l’intero “ciclo” di realizzazione del Deposito unico, nell’ambito del quale il trasporto delle scorie è condizione essenziale affinché il Deposito possa svolgere la propria funzione di stoccaggio delle scorie. Non ha alcun senso in linea tecnica giungere ad autorizzare un deposito di scorie radioattive, comunque non a rischio zero, senza prendere in esame la fase più rischiosa dal punto di vista ambientale che consiste appunto nel trasporto delle scorie stesse.  Si rileva pertanto che si renderà necessaria un’ulteriore procedura di VAS per analizzare gli effetti del trasporto scorie nella penisola, isole comprese.

Una procedura che ignori l’analisi dei “Servizi integrati” o che li esamini in una sede separata sarebbe da considerarsi a tutti gli effetti affetta da vizio di illegittimità, poiché si tratterebbe di una omissione ovvero di un frazionamento procedimentale artificioso, teso ad impedire una valutazione dell’impatto complessivo. E’ dunque da ritenersi pacifico che l’attuale procedura di VAS, in forza delle molteplici carenze evidenziate, sarebbe ritenuta illegittima da qualsiasi tribunale amministrativo.

E’ appena il caso di ricordare che la stessa Giurisprudenza Comunitaria conferisce alle procedure di V.A.S. e di V.I.A., nel quadro dei mezzi e modelli positivi preordinati alla tutela dell’ambiente, un ruolo strategico, valorizzando le disposizioni della direttiva 85/337, che evidenziano come la politica comunitaria dell’ambiente consista, innanzi tutto, nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altri danni all’ambiente, anziché combatterne successivamente gli effetti; in pratica viene sancito l’obbligo della tutela preventiva dell’ambiente (Corte giust., Sez. V, 21 settembre 1999, C 392/96; Sez. VI, 16 settembre 1999, C-435/97).

Altro elemento di criticità consiste nella sottovalutazione nel Rapporto Ambientale degli effetti sulla salute delle attività degli impianti e dei depositi, effetti che vengono minimizzati sulla base dello studio dell’Istituto Superiore di Sanità che li definisce “sovrapponibili” a quelli della popolazione generale. Riteniamo che debbano essere utilizzate modalità più accurate per la valutazione degli effetti su salute e ambiente, e in particolare la non rilevanza radiologica non deve essere assunta come livello di danno zero per la salute umana.

Inoltre i danni all’ambiente della radioattività scaricata non devono essere valutati solamente sulla base delle indagini radioecologiche o sulla non rilevanza radiologica delle dosi, riferibili alla sola componente antropica, in quanto oltre gli esseri umani è necessario prendere in considerazione gli effetti sull’ecosistema nella sua interezza. In ogni caso vanno standardizzate ed esplicitate pubblicamente le modalità di realizzazione delle indagini radioecologiche, la metodologia per effettuare la stima della “non rilevanza radiologica”, nonché le modalità per poter pubblicamente verificare tale stima.

OSSERVAZIONE n° 3

Si ritiene che nella scelta del Deposito Unico Nazionale si debba tener nella dovuta considerazione il “Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea” che tra le altre questioni affronta anche quella dello sviluppo e del rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale delle varie regioni europee.

In particolare l’articolo 174 indica le modalità “Per promuovere uno sviluppo armoniosodell’insieme dell’Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l’Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite.

Tra le regioni interessate, un’attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.” Va da sé quindi che le aree a forte svantaggio economico “quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna,” debbano essere escluse dalla scelta del sito nazionale per le scorie nucleari.

OSSERVAZIONE n° 4

Nel Programma nazionale sono riportate le fonti di provenienza dei rifiuti radioattivi energetici;essi in gran parte derivano dall’esercizio delle quattro centrali nucleari definitivamente spente negli anni 80 (Caorso, Garigliano, Latina, Trino) e dagli impianti EUREX di Saluggia ed ITREC della Trisaia (MT) dell’ex ENEA, degli impianti Plutonio ed OPEC presso il Centro della Casaccia (Roma), del Deposito Avogadro di Saluggia (VC), del Centro Ricerche ISPRA (VA). Tutti questi impianti non sono più attivi e i materiali in essi presenti sono soggetti a decomissioning all’estero e poi destinati a rientrare in Italia, sotto forma di rifiuti ad alta emissività. Si riporta di seguito un quadro sintetico e parziale degli impianti più rilevanti con i relativi volumi di rifiuti radioattivi ricavato dalla Tabella n.1 contenuta nel Programma nazionale.

IMPIANTO SITO VOLUME (mc) Centrale di Caorso  Caorso (PC) 2.456,57 Centrale Garigliano  Sessa Aurunca (CE)  2.790,82 Centrale di Latina  Latina 1.686, 34 Centrale di Trino Trino (VC) 1.178,71 Impianto EUREX Saluggia (VC) 2.842,13 Impianto ITREC Rotondella (MT)  3.059,60 Impianto Plutonio Casaccia Roma  149,86 Impianto OPEC Casaccia Roma 9,23 Impianto NUCLECO  Casaccia Roma  6.791, 09 Deposito Avogadro Saluggia (VC)  80,31 Centro Ricerche ISPRA Varese  4.770,00

Ad essi vanno aggiunti i rifiuti di origine medico-industriale e che ammontano ad alcune centinaia di metri cubi l’anno; una parte di tali rifiuti sono depositati presso l’impianto NUCLECO. Il quantitativo nazionale di rifiuti radioattivi  al 31.12.2105 è dichiarato ammontare a 29.729,94 mc., ma è del tutto assente l’inventario del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi e la stima delle quantità future è incompleta: manca ad esempio la ripartizione per radionuclide e mancano in particolare i rifiuti radioattivi di origine militare.

A proposito di tale ultimo aspetto il Programma Nazionale appare quanto meno omissivo nel non prendere in considerazione la problematica, che a livello di opinione pubblica, in particolare in Sardegna ha già destato preoccupati allarmi in relazione all’uso dell’uranio impoverito nell’ambito dei poligoni militari. Appare di rilevante gravità inoltre quanto dichiarato con riferimento al reattore nucleare di ricerca RTS-1 “Galileo Galilei” (PI) del CISAM (Ministero della difesa), spento nel 1980 e in fase di decommisioning.

Poiché  la direttiva 2011/70/Euratom si “applica esclusivamente alla gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi quando questi derivano da attività civili”, il Programma Nazionale non dovrebbe tener conto delle sorgenti sigillate dismesse e del combustibile irraggiato derivante dall’esercizio di tale installazione. E’ legittimo a questo punto interrogarsi in che misura e da quale organo vengano espletate le operazioni di controllo per garantire la sicurezza della salute pubblica, in quale sito si intenderebbe stoccare il materiale riprocessato e per quale motivo tale materiale debba essere sottratto alle procedure previste dalla direttiva, anche se non espressamente contemplato in essa.

Va dunque osservato che il quadro complessivo dei rifiuti radioattivi e delle relative volumetrie non è stato fornito nel Programma nazionale. Mentre sul materiale radioattivo utilizzato come combustibile vi è una sufficiente certezza con l’indicazione dei siti di provenienza, non vi è analoga precisione per i rifiuti radioattivi provenienti da altre attività (di origine medica, industriale e ricerca), né vengono fornitigli ordini di grandezze del materiale esistente e di quello presumibile proveniente da attività future.

Mancano all’appello le quantificazioni rilevanti sui rifiuti radioattivi che dovrebbero provenire dallo smantellamento delle Centrali nucleari e da tutti gli impianti, tenendo conto che per parte di essi, ad esempio le quattro centrali, è prevista una soluzione finale greenfield; le volumetrie che deriverebbero da tali demolizioni dovrebbero pertanto essere distinte per grado di emissività secondo il quadro delle categorie previste per legge. I dati che si possono desumere dalla lettura delle relazioni, se aggregati, portano a risultati incoerenti e contradditori con le affermazioni che si rinvengono nella lettura (alcune decine di migliaia).

Dal confronto di alcune tabelle sembrerebbe che la volumetria di tali rifiuti al 2040, termine nel quale si presume sarà completato lo smantellamento delle Centrali, dovrebbe superare i 100.000 mc, ma la stima di tale quantitativo appare del tutto inattendibile e non motivata. La conoscenza delle complessive volumetrie distinte per categorie costituisce un dato numerico fondamentale in questa fase del procedimento. In primis è sulla base di esso che dovrà essere redatto il progetto preliminare del Deposito, che condizionerà l’estensione della superficie da impegnare. In secundis tutti i portatori di interesse e le popolazioni dei siti ritenuti idonei  hanno il diritto di conoscere quali siano le effettive quantità di rifiuti radioattivi, distinti per categoria, che verranno collocate nell’impianto di smaltimento e nel deposito di stoccaggio.

La tabella è stata redatta in forma di sintesi alfine di consentire, attraverso una rapida analisi dei suoi contenuti, alcune considerazioni che generano numerosi interrogativi:

  1. La maggior parte dei rifiuti radioattivi, in particolare quelli a più alta emissività, provengonodalle centrali nucleari e da impianti di ricerca o similari
  1. le centrali egli impianti risultano localizzati in areali chiaramente identificabili, rispetto aiquali  assumono posizione baricentrica.

Il programma prevede che centrali e impianti debbano essere smantellati; i rifiuti radioattivi che ne deriveranno saranno condizionati e come detto, se si fa riferimento alla insufficiente tabella 5, potrebbero essere dell’ordine di un centinaio di migliaia di metri cubi al 2040. Il Programma prevede inoltre che i siti di installazione almeno per quanto concerne le Centrali dovranno essere convertiti da una situazione brownfield ad una  greenfield. Proprio la perplessità che desta il raggiungimento di tale ultimo obiettivo fa sorgere il primo inquietante interrogativo.

– Sarà mai possibile in aree che hanno subito trasformazioni così radicali ripristinare nelle matrici ambientali lo status quo ante?

Ancora è lecito chiedersi se una reductio in pristino, ammesso che sia possibile per i luoghi, potrà mai essere estesa al contesto socio economico di un territorio così fortemente condizionato dalla realizzazione e dall’esercizio degli impianti?

Un terzo interrogativo inerisce la parte più strettamente economica.

– Quali sono i costi ed i rischi legati alla creazione di un così ingente quantitativo di rifiuti, pari cioè ad oltre tre volte la quantità di rifiuti nucleari già derivanti dalle attività energetiche e di ricerca, e del relativo trasporto in un sito ancora da definire, ma di certo immune da ogni precedente rapporto e possibile contaminazione con materiale radioattivo?

Un quarto interrogativo riguarda le Comunità coinvolte

– Le Comunità che hanno deciso ab origine di ospitare questi impianti che ne hanno già tratto benefici economici, sia in termini di incentivi che di occupazione specializzata, sono oggi d’accordo a dover rinunciare hic et nunc alle forme di economia che si sono prodotte ed al relativo indotto, consolidatisi ormai nel tempo?

e di contro  un Quinto Interrogativo:

– Con quale motivazione e diritto si potrà chiedere ad altre Comunità che di questi benefici non hanno mai goduto, di accollarsi, senza condivisione alcuna, l’onere dell’accoglimento dei rifiuti radioattivi?

Perché detto per inciso sembra pura follia riporre speranze su di una volontaria disponibilità ad ospitare  un Deposito nazionale delle caratteristiche.

Infine l’ultimo interrogativo:

Era stato redatto al momento della realizzazione di questi impianti un piano economico complessivo che giustificasse i costi di realizzazione degli impianti, i costi di demolizione, i costi di decommissioning delle scorie, i costi di realizzazione del deposito e della relativa gestione a fronte degli utili di gestione? E se esisteva un tale piano quale soluzione tecnica era stata prevista per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi?

Alla luce degli interrogativi sopra esposti, ai quali, si può essere certi, non saranno date mai risposte convincenti, la soluzione del Deposito unico in un’area da individuare a livello nazionale non sembra possa essere considerata come la più razionale.

Le Direttive europee non sembrano doversi interpretare nell’obbligo di adozione di una soluzione così univoca, ma vanno soddisfatte per quel che concerne gli obiettivi e i protocolli inerenti il rispetto degli standard di sicurezza all’interno dei siti di stoccaggio e per la loro custodia. In fin dei conti il Deposito di superficie non è altro che un volume nel quale dovranno essere collocati in sicurezza contenitori confezionati e trasportati secondo procedure standard che assicurino ab origine sicurezza nei confronti delle emissioni.

Dovendosi presumere che le centrali nucleari sono state realizzate secondo standard di sicurezza elevatissimi, trattandosi di impianti nei quali si provocava la fissione nucleare e si utilizzava il calore prodotto per la generare energia elettrica, non si comprende perché per tali impianti industriali, anche se  da tempo disattivati e che già custodiscono materiale radioattivo di terza categoria (alta emissività) ancora da sottoporre a decomissioning o già rientrato da tali trattamenti, non possano essere effettuati ulteriori interventi ed opere passive che aumentando il livello di sicurezza e li rendano utilizzabili come depositi di superficie.

Verrebbero ad essere notevolmente abbattuti i costi delle operazioni di condizionamento, si eviterebbe la demolizione dell’intero impianto, e non vi sarebbe l’esigenza di dolorose riconversione di economie di interi territori, con il  conseguente e inevitabile esplodere di acute tensioni sociali.

Un aspetto di non secondaria importanza riguarda la scelta di ubicare presso l’impianto di smaltimento anche il Deposito di stoccaggio temporaneo di lunga durata, in attesa che vengano varate norme per la individuazione di un  deposito geologico di profondità, atto ad ospitare rifiuti nucleari di terza categoria. L’ipotesi di uno stoccaggio temporaneo avvalora la soluzione proposta in quanto i rifiuti radioattivi più pericolosi dovranno comunque essere rimossi per essere collocati nei depositi geologici, o addirittura portati all’estero, oltre al fatto che, come detto, presso le centrali risultano già stoccati in forma provvisoria i combustibili in essa utilizzati.

Analizzando la vicenda del nucleare in Italia dalle sue origini ai suoi esiti ultimi, dalla quale è facile prevedere scaturiranno lacerazioni profonde tra politica e cittadinanza, tra Stato e Comunità, non possono non farsi discendere alcune considerazioni che dovrebbero indurre ad un’attenta riflessione sui processi decisionali in atto, spesso ispirati da immotivate certezze di impronta analoga a quelle che nel passato hanno orientato precedenti decisori. Il problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi era ben noto fin dal momento della realizzazione dei primi reattori nucleari in tutta la sua tragica portata e nella consapevole incapacità di poter dare ad essi un’adeguata soluzione tecnica. Nonostante ciò la scellerata scelta del nucleare come fonte energetica fu adottata per due ordini di motivazioni.

Da un lato le centrali nucleari sembravano poter garantire una produzione di energia elettrica a basso costo, solo perché nel computo si teneva conto solo degli oneri derivanti dalla realizzazione e dal funzionamento della centrale, compresi quelli del combustibile. Venivano dunque con consapevole responsabilità esclusi dal conto economico gli oneri che sarebbero derivati dalla chiusura degli impianti, perché, così facendo, li si scaricava sulle collettività future, evento che oggi si sta materializzando. Ci sarebbe da chiedersi quale sarà realmente il costo del kilovattora a Programma ultimato e farne rendere conto, insieme agli enormi e non quantificabili costi ambientali, a decisori politici e insigni scienziati, che elogiavano i meriti del nucleare, tacciando di ideologismo il mondo ambientalista da sempre su posizione avverse.

Non solo! Aver ignorato il problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi ha significato addebitare oneri e impatti ambientali negativi a innumerevoli generazioni future, considerato che i tempi di abbattimento delle emissività sono dell’ordine del migliaio di anni. In altri termini si è ignorata la SOSTENIBILITA’ dello sfruttamento di una tale fonte energetica. Occorre dunque riflettere oggi sulla portata di questa esperienza storica e interrogarsi, anche nel caso del Deposito nazionale unico, se si stanno andando ad assumere le giuste decisioni proprio in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, aspetto che a quanto sembra appare del tutto ignorato.

In conclusione

Per le motivazioni sopraesposte si chiede di sospendere l’intera procedura di VAS in quanto incompleta e illegittima e perchè la proposta di soluzione della problematica dei rifiuti radioattivi contenuta nel Programma Nazionale è incongrua e non praticabile sotto l’aspetto economico e ambientale.

Inoltre .  Si evidenzia  la scarsa attenzione della VAS verso il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini. Scelte di tale portata che condizioneranno le tante generazioni future costrette a gestire un deposito di scorie lasciato in eredità dalle nostre discutibili scelte energetiche hanno necessità del coinvolgimento massimo di tutti gli attori e della società civile.

Si chiede pertanto di meglio approfondire gli aspetti relativi alla trasparenza e alla partecipazione dei cittadini e degli stakeholders. Il Programma dovrà specificare concretamente come sarà garantito l’accesso ai dati e alle informazioni di dettaglio, e come verrà garantita l’efficacia della partecipazione, a partire dal rispetto della convenzione di Aarhus del 1998. Da questo punto di vista, la pubblicazione del Programma a luglio, con scadenza dei termini per le osservazioni ai primi di settembre, non favorisce certo l’auspicata partecipazione dei cittadini al processo decisionale.

I Sottoscritti dichiarano di essere consapevoli che, ai sensi dell’art. 24, comma 7 e dell’art. 19 comma 13, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., le presenti osservazioni e gli eventuali allegati tecnici saranno pubblicati sul Portale delle valutazioni ambientali VAS-VIA del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (www.va.minambiente.it).

Li 13 settembre 2017

*Presidente – Delegato per le tematiche energetiche del Consiglio Regionale Sardo di ITALIA NOSTRA Onlus, Associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione

One Comment

  1. Mauro Dal Nievo

    “Le Comunità che hanno deciso ab origine di ospitare questi impianti […] ne hanno già tratto benefici economici […] Con quale motivazione e diritto si potrà chiedere ad altre Comunità che di questi benefici non hanno mai goduto, di accollarsi, senza condivisione alcuna, l’onere dell’accoglimento dei rifiuti radioattivi?
    La Sardegna fu esclusa in partenza da benefici potenziali visto che sino al 1987 il SACOI (dal 1967 unico collegamento ad alta tensione tra Sardegna e Italia via Corsica) era biterminale, ovvero era utilizzato esclusivamente per trasmettere energia dalla Sardegna alla Toscana (http://download.terna.it/terna/0000/0846/92.PDF).

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