Non si è salvato il soldato Gentiloni [di Lucia Annunziata]

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L’Huffpost Italia 26/10/2017. Dalla fiducia sul Rosatellum a Bankitalia e al cambio di maggioranza, il premier ha le sue responsabilità: c’era un’alternativa a dire sempre sì. L’esempio di Napolitano e Grasso.

La lettera è partita da Palazzo Chigi e contiene il nome del governatore Visco. Vuol dire che si è salvato il soldato Gentiloni? Confesso subito che mi avvio a scrivere in pieno conflitto di interesse affettivo. Conosco Gentiloni da una vita e l’ho sempre apprezzato, incluso in molti dei passaggi politici recenti. Ma tant’è: facciamo mestieri diversi e se la fine della legislatura deve essere valutata, il giudizio sul ruolo che vi ha giocato anche l’attuale premier è inevitabile.

Il quinquennio finisce come un film Western, con la classica gigantesca rissa al bar, protratta in questo caso da quello che gli sportivi chiamerebbero un triplete di ben tre questioni accavallate: la fiducia sulla legge elettorale, lo scontro intorno alla nomina del Governatore, e il voto sulla finanziaria nel cui nome si è giustificata tutta la rissa sulle prime due.

Non è una sorpresa che questa legislatura finisca in un clima da saloon. In fondo è la foto perfetta di quel che è stata: un continuo assalto alle regole, regolarmente giustificato in nome della oscillazione rinnovamento/stabilità. Una contraddizione che in politica può essere vitale, ma che per esserlo avrebbe avuto bisogno di vere leadership e di una tenuta istituzionale, politica, e non ultima emotiva, che questa intera classe dirigente non ha saputo avere.

Parliamo delle solite cose, dei nominati, delle varie campanelle passate di mano fra premier come se si suonasse per sparecchiare tavola invece che per passare il governo, di forzature come quella del referendum del 4 dicembre, e di cambi di casacca e uso ampio di fiducie come strumento di lavoro. I numeri di questi fenomeni li ho riportati in un altro blog di pochi giorni fa.

Il punto è che di fronte a tale disordine possiamo davvero solo ripetere che è tutta colpa di Renzi (che pure ha fatto la sua gigantesca parte nella storia di cui parliamo), o della sinistra che litiga (e che ha certo avuto labilità di nervi e di tattica), o del M5S (che ha navigato le falle di questa legislatura per far crescere il proprio ruolo, con minimo interesse per ogni percorso di costruzione), o della destra berlusconiana a trazione salviniana (che ha offerto cinicamente le sue spalle a chiunque volesse cavalcare questo crollo)?

Le responsabilità, come si vede, sono sempre state indicate. Per tutti. Eccetto che per Gentiloni, nei cui confronti è valsa una sorta di tenerezza istituzionale, una esenzione della critica in nome di una sua certa debolezza; al punto che persino l’austero e temibile Napolitano nel suo intervento in Senato in cui ha denunciato la forzatura sul Parlamento, ci ha tenuto a esimere dalla critica il premier, sostenendo che ha dovuto subire le pressioni.

Ma davvero non ha colpa questo Governo? Un Governo che, ricordo, quando si andrà a votare avrà guidato il Paese per almeno 14 mesi. Lunghi mesi in cui i ministri hanno mostrato una nuova vitalità, scalando il pubblico gradimento; in cui l’esecutivo si è misurato con nuovi approcci su questioni rilevanti come Ius Soli, sicurezza, immigrazione, Industria 4.0, riforma della scuola, senza nascondersi rispetto alla propria forza. Non è stato un governo debole, mi pare. Per quale ragione allora dovremo arrivare al bilancio finale e toglierlo dalla equazione della responsabilità?

Davvero Gentiloni, per rimanere in un dilemma che oggi tocca molti ambiti, di fronte alle “pressioni” non poteva che dire sì? La domanda non irrilevante che l’operato del premier pone alla politica oggi è se davvero non ci siano state alternative al tipo di avvitarsi della crisi finale, cioè alle molte forzature messe in atto.

Ovviamente una alternativa c’era, ed era quella, certo più difficile, di dire No.

I vari casi sono chiari. Gentiloni poteva evitare che venisse messa la fiducia alla legge elettorale? No, si dice, perché visto l’orientamento a grande maggioranza nel Parlamento, si sarebbe presa la responsabilità che non venisse approvata nessuna legge. D’accordo: ma poteva prendere le distanze. Se le ha prese il Presidente Emerito Napolitano, come pure il presidente del Senato Pietro Grasso, forse un cenno del premier (nonché una piccola battaglia di merito) sarebbe stato parte del diritto all’informazione dei cittadini. Che oggi conoscono solo la protesta “estremista” contro l’uso della fiducia.

Per quel che riguarda la rinomina di Visco, appena confermata da Palazzo Chigi, il premier sembra oggi aver tenuto il punto contro le pressioni. In verità il metodo della dilazione scelto da Gentiloni ha fatto molto danno. Non è stata per nulla una mossa abile, come si dice: mettere in mora il percorso, e aspettare, ha fatto sì che ogni minuto di attesa sia stato un minuto di più sulla graticola per Bankitalia.

Con il risultato che la nomina di Visco arriva segnata da una debolezza che verrà scontata. Poteva confermarla subito, Gentiloni. O poteva per lo meno, anche in questo caso, inviare un segnale al Paese: spiegare ad esempio se e quando ha saputo e/o condiviso la mozione del Pd. O davvero pensa il premier che nessuno di noi meritasse una spiegazione? Insieme alla riconferma di Visco, questo suo silenzio è prova solo di un suo indebolimento.

Infine, il voto sulla finanziaria in arrivo. La costruzione del consenso intorno alla legge di Bilancio è forse il più alto compito del Governo. Ma se questo consenso lo si voleva ottenere cedendo alle pressioni su legge elettorale e Visco, non mi pare che i risultati siano brillanti.

Proprio a causa di queste due questioni, da ieri è cambiata la maggioranza, che conta ora un nuovo socio forte, il capitan di ventura Verdini, che si vanta oggi del suo ruolo. Sarebbe forse troppo chiedere a Gentiloni di salire al Colle per questa fine di un equilibrio nei fatti già logorato. Ma che la nuova situazione non venga nemmeno riconosciuta, a me pare inaccettabile.

Si è vero, dalla finanziaria ci giudicheranno in Europa, e non ci si può permettere bocciature. Ma tutti sappiamo che in verità la stabilità per cui l’Italia è sempre sotto osservazioe è quella politica in generale, quella di capacità di governo innazitutto: e il modo migliore per far passare bene il Def era evitare che il documento diventasse ostaggio, come è successo, delle forzature incrociate sulla legge elettorale e su Bankitalia.

C’è una differenza fra leadership e gestione. Purtroppo il Governo Gentiloni ha scelto la strada della seconda piuttosto che della prima. E questo vale, in questa fine legislatura, anche per tutti i suoi ministri – eccetto Calenda e Orlando – che hanno saputo flettere i propri muscoli quando il gioco era possibile, ma si sono rifugiati nel silenzio quando sono arrivate le difficoltà.

Non ci sarà, cari amici editorialisti, un secondo governo Gentiloni. Scommettiamo? E non mi fa neanche piacere dirlo.

 

 

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