La giostra a pedali [di Franco Mannoni]
Aveva ultimato con il diploma il triennio dell’università, poi aveva praticato uno stage in un incubatore per startup. Nello stesso tempo coltivava la sua piccola passione per i lavori meccanici, non solo adoperandosi ad aggiustare gli apparecchi domestici della famiglia e del vicinato, ma soprattutto trafficando nella cantina di casa fra ruote, perni, trapani e cacciaviti. Da quando era scomparso il nonno, si era anzi di fatto appropriato del locale, immettendovi sempre nuove attrezzature e materiali di recupero. Aveva cominciato sui quindici anni con il mettere insieme, in collaborazione con alcuni coetanei, un carrettino per le gare in discesa. Altre volte si era cimentato nel riconvertire motorini elettrici con i quali far ruotare poi grandi girandole sulla terrazza o far muovere una zattera nella vasca dell’orto. Poi era giunto il tempo del lavoro, di cimentarsi in esso utilizzando il suo titolo d’informatico, in ambienti dinamici e all’avanguardia. Di tanto in tanto, però, si ritirava nella sua officina nel magazzino sotto il livello della strada, fra vecchie bici, ruote, catene, telai. Durante un fine settimana più noioso degli altri, ispirato forse da alcuni parti meccaniche disponibili, architettò una giostra, a pedali però. Adoperò come modello una piccola giostra giocattolo di lamierino che il nonno , quando ancora c’era, aveva recuperato, rimettendo in funzione il propulsore a molla e restaurando i colori logorati. Tracciò degli schizzi, disegnò degli schemi di massima. Poi cominciò a verificare il materiale disponibile. Costatate le mancanze, decise di rimediare alcune parti presso qualche meccanico o fabbro amico, cercando fra ciò che era destinato alla demolizione. Mise insieme una piattaforma di base, costruita a settori giustapposti e collegati, al centro della quale stava un’area rotante attivata attraverso opportune trasmissioni, dal sistema a pedali, imperniato sul telaio di una vecchia bici. Costruì una sorta di grande e robusto ombrellone da innalzare al centro della piattaforma rotante suddetta, dal quale pendevano cinque o sei cavalcature stilizzate, ciascuna delle quali destinata a sostenere un cavaliere-bambino. Le parti della giostra andavano definendosi gradualmente, ma attendevano l’assemblaggio finale e il collaudo. Che avvenne, in un fine settimana di primavera, quando, utilizzando il furgone Ape del fruttivendolo vicino di casa, trasportò tutto l’insieme in uno spiazzo dietro il campo di calcio del quartiere. Montò tutto con grande impegno, seguendo lo schema preparato con trepidazione e cura. Certo, vi erano ancora particolari da definire, soprattutto per le parti, come dire, di arredo e di copertura. Quando si mise ai pedali, circondato dall’ironica curiosità del vicinato, il marchingegno rispose alla spinta e piattaforma e incastellatura presero a ruotare con regolarità. Come per un sistema che si autoalimenta, il felice risultato stimolò la fantasia di Gianluigi, questo era il suo nome, che si mise a disegnare i particolari, a riunire copertura, decorazioni e seggiolini a misura dei futuri utilizzatori. Tutto si svolse in maniera piuttosto riservata. Non ne parlò con i colleghi di lavoro, non ne rese partecipe, se non vagamente, che qualche amico. Il lavoro all’incubatore d’imprese non andava per il meglio. Passò dal tempo pieno a un rapporto di lavoro parziale ed ebbe così, bon gré mal gré, maggiore possibilità di dedicarsi al suo progetto. In breve volger di tempo raggiunse il traguardo della funzionalità. Cominciò a metter in campo la giostra in qualche festa di quartiere, dove ricevette un’entusiastica accoglienza dai bambini e dai genitori. Per rendere possibili i trasferimenti si dotò di un rimorchio da trainare con la sua utilitaria. La giostra così poteva girare, oltre che su se stessa, tra i centri della provincia. Comparve a maggio nella piazza assolata. Era giorno di festa, il primo maggio, anche se molti ne hanno dimenticato il significato. Festa del Lavoro, piuttosto sempre più vacanza anticipatrice dell’estate che occasione di celebrazione delle lotte per il lavoro. Però c’era un gran sole e tanta gente in giro. Montò la giostra sgargiante di colori al centro della piazza. Strano oggetto, una giostra a pedali in un mondo di giochi elettronici e playstation! La avviò e subito i bambini si fecero intorno. Dopo un po’ ci fu ressa per conquistarsi il proprio giro. Un grande successo! Fu costretto a spiegare che, poiché la giostra si muoveva grazie all’esclusiva energia fornita dalle sue gambe, non poteva funzionare di continuo, anzi, abbisognava, di tanto in tanto, di una sosta corredata dall’immancabile birretta. I bambini, assistiti dai genitori, facevano a gara per inforcare le cavalcature e gli strani sedili ricavati dai più impensati materiali, dalla plastica alla gomma al cuoio. La rotazione attivava i campanelli attaccati ai raggi della copertura e faceva vibrare nel vento nastri e bandierine. Un trionfo! Gianluigi restò egli stesso stupito del fatto che un’idea così semplice e una costruzione messa su alla buona potessero incontrare tanta simpatia. O forse era l’espediente del movimento a pedali a suscitare curiosità. Per il giorno successivo, domenica, pensò di ricorrere a un suo amico giocoliere esperto nella produzione di bolle di sapone di ogni tipo e dimensione, così da procurarsi l’occasione d’intervalli fra una pedalata e l’altra. Si misero insieme a un giovane sassofonista di strada e il gioco partì. Negli stacchi di riposo del pedalatore, il produttore di bolle intratteneva bambini e adulti in una fantasmagoria di sfere piccole e grandi, che riflettevano i colori, prendevano il filo del vento e si diffondevano nell’aria, fino a scomparire o esplodere. Nel mentre la giostra, scampanellando, riprendeva a ruotare sospinta dai pedali, incoraggiata dalla musica del sassofono. Una festa, un tripudio di voci fresche, gridolini e risate. Continue richieste di replica alle quali il giostraio non poteva corrispondere per ovvi limiti fisici. Fu necessario perciò distrarre la clientela. Il produttore di bolle intensificò la sua attività muovendosi in circuito lungo il perimetro della piazza. Il sassofonista lo seguì e una scia di ragazzini fece altrettanto. La piazza fu così animata da un festante corteo, da una sorta di girotondo imperniato al centro sulla giostra e, tutto intorno, formato un allegro codazzo che si muoveva a suon di musica. La gente, quella non coinvolta nel corteo, seguiva tutto questo fantastico movimento con sorpresa e ammirazione, trovandosi, di fatto, partecipe di quel tanto di gioia spontanea sprigionato da cose molto semplici. Una svolta irrituale aveva dato un senso imprevisto quanto coinvolgente , alla festa del Primo Maggio. Fra giostra a pedali, bolle di sapone e musica di strada.
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