Il Parlamento nella Sardegna spagnola (II) [di Pietro Maurandi]

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In Sardegna il Parlamento, le Cortes di Sardegna, fu istituito da Pietro IV d’Aragona detto il Cerimognoso il 15/02/1355, con il compito, come tutti i Parlamenti dell’epoca, di approvare il donativo. Si trattava di una Assemblea dei notabili del regno, successivamente ne verranno codificate la convocazione e lo svolgimento. Le delibere delle Cortes dovevano essere presentate al governo spagnolo, che le avrebbe esaminate e trattate secondo le proprie insindacabili decisioni. Quindi le Cortes, come rappresentanti della Sardegna, avevano potere proponente e non deliberante.

Le Cortes di Sardegna si riunirono effettivamente 66 anni dopo la loro costituzione: furono convocate il 7 gennaio del 1421 da Alfonso d’Aragona il Magnanimo che le presiedette e che, fra le altre cose, confermò la Carta de Logu dell’antico Giudicato d’Arborea come legge fondamentale del regno di Sardegna, che resterà in vigore per quattro secoli, fino al 1827, quando venne sostituita dal codice feliciano.

Nel corso del Quattrocento, il Parlamento fu convocato nuovamente il 4 febbraio 1482, sotto il regno di Ferdinando II d’Aragona. Fu convocato a Oristano, poi trasferito a Cagliari. Da allora si riunì sempre a Cagliari.

Nel Cinquecento il Parlamento fu convocato 9 volte, nel Seicento 11 volte. In totale in epoca spagnola si riunirono 22 Parlamenti. In epoca sabauda 1, convocato, come dirò più avanti, in maniera anomala.

Il Parlamento sardo era formato da tre bracci o Stamenti: militare, formato dai nobili; ecclesiastico, formato dai 3 arcivescovi, dai vescovi, dagli abati e dai priori; reale, cioè formato dai rappresentanti dalle città regie, che non facevano parte di alcun feudo e che erano 7 (Cagliari – Iglesias – Oristano – Bosa – Alghero – Sassari – Castelaragonese).

Successivamente, nel XVI secolo fu istituita la Reale Udienza, il massimo organo giudiziario della Sardegna.In questo Parlamento, come in tutti i Parlamenti medievali, i rappresentanti non erano uguali fra loro, appartenevano a classi diverse e in ogni braccio sedevano i rappresentanti di una classe. I tre bracci si riunivano e deliberavano separatamente, a parte le sedute delle cerimonie inaugurali e finali. Per le delibere di ciascun braccio si votava per testa, una testa un voto. Ma non sempre.

Spesso veniva fatto valere il voto plurimo, cioè un voto che “pesava” di più in relazione al lignaggio del votante. Quando era necessario assumere deliberazioni unitarie, prima si votava in ogni singolo braccio per testa, poi, nelle riunioni plenarie, ogni Stamento esprimeva un voto.

È evidente come l’idea di uguaglianza fosse estranea a queste Assemblee; anche al loro interno i requisiti di nascita, il lignaggio, contavano in modo determinante, come contavano nella società. Ho già detto del voto plurimo; inoltre nello Stamento nobiliare, la presidenza, o prima voce, non era elettiva ma spettava all’esponente della casata di più antico lignaggio. Anche nello Stamento ecclesiastico vi era un automatismo, che assegnava la prima voce all’arcivescovo di Cagliari. Nello Stamento reale, quello della borghesia, sedevano i sindaci delle città reali o i procuratori da essi inviati.

Durante la loro esistenza (dal 1355 al 1718/20) vi furono tentativi ricorrenti delle Cortes di assumere più ampi poteri. Come in tutta Europa, i Parlamenti lottavano contro i re/principi che invece tentavano di instaurare il loro potere assoluto.

Il caso più eclatante è quello della Camera dei comuni inglese. Nel 1628, con la Petition of Rights, approvò due principi. Il primo è l’habeas corpus, secondo cui nessuno può essere arrestato se non su mandato di un giudice e per un fatto previsto come reato. Il secondo è no taxation whithout representation, cioè che nessuna tassa può essere imposta se non dalla rappresentanza, cioè dal Parlamento. Due princìpi che provocarono un scontro durissimo con il re Carlo I Stuart, che si concluderà dopo una guerra civile con la sconfitta e la condanna a morte del re.

Episodi di lotta fra Parlamento sardo e governo spagnolo furono numerosi e ricorrenti. Il caso più eclatante fu quello del 1665, durante il Parlamento Camarassa, convocato dal viceré don Manuel Gomez de los Lobos marchese di Camarassa, spagnolo come tutti i viceré. Quel Parlamento fu caratterizzato da due personaggi di grande spessore: il marchese di Laconi don Agustin de Castelvì e l’arcivescovo di Cagliari (che era anche il capo della chiesa sarda) don Pedro Vico.

Fino a quel momento i Parlamenti, che si riunivano puntualmente ogni 10 anni per votare il donativo, avevano sollevato il problema della natura delle richieste delle Cortes, se si trattasse di condizioni alla cui accettazione era subordinata l’approvazione del donativo, quindi in una situazione di scambio, oppure di semplici richieste slegate dall’iter del donativo. Ma tutto finiva con una disputa sul piano giuridico, in cui la tesi delle Cortes si contrapponeva a quella della corona, rappresentata dal viceré: alla fine le Cortes approvavano il donativo e la discussione si chiudeva lì, rinviata al prossimo Parlamento.

Si trattava comunque di una posizione insidiosa per gli spagnoli. I sardi infatti fondavano la tesi del rapporto di scambio (noi approviamo il donativo se e quando voi approvate le richieste) su una situazione di parità fra il regno di Sardegna e il regno di Spagna. Secondo questa tesi il re di Spagna era il re di tutti ma i due regni erano distinti e ciascuno aveva una propria autonomia se non sovranità. Una posizione sempre respinta dagli spagnoli. La disputa comunque si esauriva normalmente in uno confronto di posizioni sul piano giuridico.

Nel Parlamento Camarassa non andò così. Fu il marchese di Laconi, sostenuto dall’arcivescovo di Cagliari, a convincere gli Stamenti a non approvare il donativo se non dopo l’accoglimento delle richieste da parte del governo spagnolo. Già questo atteggiamento, questa decisione di condizionare l’approvazione del donativo, veniva vista dagli spagnoli come un inizio di ribellione.

Con il mandato di spiegare la posizione del Parlamento e di convincere il governo spagnolo, il marchese di Laconi fu mandato a Madrid. Contrariamente all’uso, dell’invio di un rappresentante per ogni Stamento, don Agustin fu inviato lui solo a capo della delegazione, a riprova della fiducia che l’intero Parlamento, salvo un gruppo nettamente minoritario, riponeva in lui.

Infatti lui resistette a minacce e lusinghe per sé e per la sua casata, nel corso di un anno che passò a Madrid. Nel corso delle trattative, le 25 richieste con cui era partito le ridusse a 5, le più importanti. Una delle richieste altro non era che l’habeas corpus, cioè il principio secondo il quale nessuno può essere imprigionato senza il mandato di un giudice e sulla base di un reato definito.

Ma la richiesta più rilevante, il vero oggetto del contendere, era quella della riserva ai residenti in Sardegna di tutte le cariche, civili, religiose e militari. Non si trattava di una richiesta assimilabile all’indipendenza, semmai all’autonomia.

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