Il mondo mantenuto dai poveri [di Furio Colombo]
il Fatto Quotidiano, 12 novembre 2017. Le cifre immense di ricchezze immense poste al sicuro nei “paradisi fiscali” con una vasta collaborazione tecnica, politica, economica, da coloro che consideriamo leader o classe dirigente, sono la prova che il mondo è sostenuto dai poveri. Apparentemente i sistemi di tassazione sono in vari tipi di proporzione al reddito, più pesanti per alcuni e più lievi per altri. Ma la realtà è rovesciata. Sui medi, i piccoli e i modesti compensi di lavoro la tassa è un peso sociale, un buco nella lotta per sopravvivere, che diventa più insopportabile per i lavoratori più poveri. Ma un sistema inesorabile di controllo non lascia scampo all’intero universo del lavoro subordinato. Le Forze armate. Le scuole, gli ospedali, le autostrade, sono finanziate dalla parte povera del mondo, ciascuno con i pochi soldi che sarebbero indispensabili per finire il mese, o con la metà di un salario che consentirebbe una modesta agiatezza. Fuori di questi confini, comincia il trucco della tassazione della ricchezza, sia essa di impresa, o di scambio o di rendita, che dispone di numerose e fantasiose piazzole di sosta dove può attendere mentre si studiano vie di fuga, disponendo di tempo e di libertà che non sarebbero mai concessi al reddito da lavoro. Ci hanno spiegato la strategia. Un atteggiamento benevolo e relativamente tollerante verso il capitale, incoraggia una parte dei grandi pagamenti che, altrimenti, potrebbero non avvenire mai. In questa fase (che sembra la battaglia finale di difesa della ricchezza, ma riguarda invece una serie di espedienti per tenere impegnata e dividere la politica fino a quando più o meno tutti, salvo pochi fuori gioco, si convincono che, con le buone, qualcosa si ottiene sempre, e che qualcosa è meglio di niente) cambiano i ruoli dei protagonisti della scena sociale. Gli operai diventano ostaggi. “Spiacenti, ma dovremo chiudere e licenziare tutti se non accettate le nostre richieste”. Ma anche: “È necessario un taglio di una certa parte del personale, altrimenti non potremo rilanciare l’impresa e non saremo in grado di pagare”. Si parla di tasse, e dunque i governi si fanno attenti. Accade che i ministri del Lavoro partecipino (a volte con i sindacati) a preparare le liste degli ostaggi da offrire, qualche migliaio di vittime per il bene di tutti, un rito sacrificale che si ripete infinite volte. I politici diventano gabellieri. E devono essere gabellieri inesorabili con il lavoro, da cui bisogna esigere l’ultimo centesimo, e aggiungono le tasse nascoste dei ticket e degli improvvisi aumenti di tariffe (elettricità, treni), ma rispettosi con le imprese, altrimenti collezionano dati e valutazioni economiche che non favoriscono le rielezioni. Alcuni intellettuali (specialisti di sociologia e di lavoro) assumono spontaneamente il ruolo dei prigionieri che facevano i comici nei campi di sterminio: ti spiegano che sono arrivati in massa i robot e non c’è più bisogno di operai. Ti dicono che bisogna imparare l’uso proficuo delle ore libere, che non sono poi così male. Ti suggeriscono uno slogan popolare in tempi completamente diversi: “Lavorare meno per lavorare tutti”. Gli economisti contano in piccolo e, se possono, non alzano gli occhi per vedere dove si nascondono le grandi ricchezze. Sono medici militari che si prestano a dichiarare “abili al servizio” uomini e donne per compensi sempre più bassi. Intanto arrivano le cifre della ricchezza dislocata in un altrove che non fa più parte di ciò che chiamiamo “gli Stati” o “la società”. Ti dicono che è evaporato il 10 per cento, il 20 per cento, il 30 per cento dei Pil del mondo. Devi per forza trarre alcune conseguenze. La prima è che si tratta, in realtà, di cifre molto più alte, perché, se questo sistema di separazione dei mondi funziona, non è ragionevole pensare che vi sia continenza e una propensione a dire “adesso basta”. Sottrarre tutto sembra un progetto possibile. La seconda conseguenza è che tutti i conti del mondo sono falsi e che adesso si spiega, in modo antico, quasi da favola, la frase che precede tanti sacrifici: “Sono finiti i soldi” oppure “una volta si poteva ma adesso non si può più”. La terza conseguenza è che, dopo un simile furto, non rimediabile e non punibile, se con gravi giudizi morali, non può continuare la politica come prima. E gli economisti devono smettere di non vedere l’immenso scarabocchio che cambia il senso dei loro trattati. Tutto, in condizioni immensamente difficili, deve ricominciare da capo. Deducendo le enormi perdite, ma smettendo di metterle a carico dei poveri.
|