Vi racconto il mio Chiapas [di Francesco Deidda]
Vivo e lavoro a San Cristobal de Las Casas (Chiapas-Messico) da quasi sei anni. Le differenze tra il Messico e l’Italia (socio-economiche, culturali e demografiche) sono certamente profonde. In termini di benessere della popolazione, nonostante il Messico sia un paese in progressiva crescita economica, l’Italia si trova sicuramente in una condizione migliore. Anche se nel nostro paese il 6,8% delle famiglie non può permettersi l’acquisto dei beni e servizi di base trovandosi in una condizione di povertà assoluta. In Sardegna, poi, questa percentuale sale drammaticamente al 13,6 % (dati ISTAT 2012). Si tratta di dati impressionanti e poco conforta gli italiani poveri sapere che altrove c’è chi sta peggio. Nel mondo, però, così è. In Chiapas, lo Stato più povero del Messico, il 32,8% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà (“pobreza extrema”). Quella condizione di povertà nella quale non si dispone, o si dispone con grande difficoltà o intermittenza, delle primarie risorse per il sostentamento umano. Il dato interessante è che questa percentuale, in controtendenza rispetto all’Italia, è in diminuzione, passata dal 35,8 del 2008 al 32,8% del 2010. In Chiapas, come pure in Italia e in Sardegna, abbondano gli impieghi malpagati e inoltre le discriminazioni in base alla razza (la metà della popolazione del Chiapas è di origine maya) e al sesso sono ancora molto radicate. La precarietà, soprattutto nei lavori manuali e a più basso contenuto professionale, è strutturale. Favorita soprattutto dalla carenza di regole e di controlli da parte delle istituzioni e dall’abbondanza di offerta di manodopera. Il Chiapas non è comunque l’Africa, né uno dei paesi più poveri dell’America Centrale. Quasi tutti i giovani riescono a trovare un impiego una volta terminati gli studi e la maggior parte delle persone, grazie anche alle reti solidali delle famiglie estese (che costituiscono un’importante istituzione per la redistribuzione dei beni), riescono a condurre un’esistenza con condizioni di vita sufficientemente dignitose. La citta dove vivo è il capoluogo della regione “Los Altos de Chiapas” (Le Alte Terre del Chiapas), regione in cui ho svolto interventi di ricerca sul campo e partecipato a progetti di sviluppo. Ho così potuto rilevare quali differenze sociali ed economiche sussistano fra il Chiapas e l’Italia e, più specificamente, fra il Chiapas e la Sardegna. Alcuni particolari aspetti, apparirà forse singolare, risultano più positivi in questa regione messicana che nella nostra realtà nazionale e isolana. Occorre innanzitutto dire che in Chiapas hanno tutti un lavoro. Chi non ce l’ha, oppure lo perde, se lo inventa. San Cristobal de las Casas straripa di venditori di artigianato locale, di giochi per bambini, di oggetti vari, di pannocchie di mais bollite, di dolci, di “tacos”, “tamales”, “ocotes”. Da questi lavori tantissime persone ricavano la totalità, o parte considerevole, del proprio reddito. Fra i giovani non sono pochi coloro che svolgono queste attività per finanziarsi gli studi. Non sono solo gli indigeni a lavorare come venditori ambulanti, ma anche tantissimi giovani provenienti da ogni parte del Messico e del mondo che si dedicano inoltre all’arte, alla musica e al teatro. Impieghi forse poco remunerativi, tuttavia utili a finanziare progetti di vita “alternativi” come quelli degli eterni viaggiatori. La presenza di un considerevole turismo nazionale e internazionale sicuramente favorisce il proliferare di questi mestieri, tuttavia la situazione è simile anche in molte altre città e paesi con una presenza turistica meno rilevante. Un’altra significativa differenza sta nell’approccio alla perdita del lavoro. Se un chiapaneco, anche istruito e professionalizzato, si trovasse suo malgrado in una condizione di disoccupato, si adatterebbe immediatamente a vendere oggetti o beni autoprodotti, oppure ad aiutare familiari e amici nelle loro attività. Questo si rende possibile grazie alla presenza di tantissimi negozi e servizi di ogni tipo. In una strada di 3 isolati, pur non trafficata, possono essere presenti anche più di dieci negozietti ricavati all’interno di strutture abitative, per lo più case di uno o due piani. In base al quartiere la frequenza dei negozi può essere di uno ogni 10 o 20 famiglie. Bazar, frutta e verdura, macellerie, salumerie, ferramenta, calzolai, piccoli ristoranti casalinghi, camere in affitto per studenti o impiegati si trovano ad ogni angolo di strada. Riparatori e venditori di ogni genere bussano in continuazione alle porte delle case. A San Cristóbal è difficile trovare un abitante storico del quartiere la cui famiglia non abbia mai commercializzato qualche bene o servizio. La differenza più evidente fra il Chiapas e la Sardegna credo sia, riguardandomi direttamente, il futuro dei giovani laureati. In Chiapas infatti le persone riescono normalmente a trovare il lavoro per cui hanno studiato. Gli ingeneri fanno gli ingegneri, gli avvocati fanno gli avvocati. Anche i sociologi e gli antropologi riescono a svolgere lavori di ricerca o comunque a lavorare nel campo delle scienze sociali. La laurea semplice, che in Messico si consegue dopo 5 anni di università, già consente di svolgere la professione per cui si è studiato. I docenti sono forse meno esigenti rispetto a quelli italiani, ma le facoltà messicane sono sicuramente più orientate al “learning by doing”. La maggior parte dei corsi universitari prevede almeno una fase di campo o di ricerca e inoltre lo studente è tenuto a partecipare ad almeno due o tre stage che gli permettono di fare esperienza e ad iniziare a relazionarsi con il contesto lavorativo in cui andrà ad operare. Non è raro che molti laureati trovino il loro primo lavoro presso organizzazioni nelle quali hanno svolto uno di questi tirocini. In tutte le sei organizzazioni in cui ho finora lavorato, almeno una persona ha ottenuto l’impiego grazie alla sua precedente esperienza come stagista. Nell’organizzazione in cui opero attualmente e che si occupa di progetti di formazione per disabili, si è recentemente inserito un ragazzo indigeno di lingua tsotsil (una delle lingue maya del Chiapas) che sta svolgendo il suo “servicio civil”. Ruve sta studiando Sviluppo Sostenibile presso la “Universidad Intercultural de Chiapas” e all’interno dell’organizzazione sta realizzando progetti di agricoltura sostenibile. Ha dimostrato sinora entusiasmo e competenza e probabilmente sarà contrattualizzato come coordinatore dell’area ancora prima che finisca gli studi. Nonostante “la piena occupazione” e le possibilità di carriera per i laureati, il livello di povertà ed il cattivo funzionamento di alcuni servizi non rendono il Chiapas un paese particolarmente appetibile per viverci, per lo meno se lo si valuta attraverso gli standard europei. Ciò che però lo rende interessante e stimolante è la possibilità di integrazione al tessuto sociale ed economico locale, pur trattandosi di un paese complessivamente povero, afflitto da numerosi problemi e contraddizioni. Soprattutto non presenta le conseguenze, anche non economiche, della disoccupazione che colpisce le periferie europee: il disagio sociale e un rallentamento della maturazione psicologica che ritarda la completa integrazione sociale dei giovani e non giovani disoccupati. *Laurea in Sociologia a Trento, Laurea specialistica a Bruxelles in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo. Attualmente responsabile dei progetti di sviluppo e coordinamento generale nell’Organizzazione Non Governativa “Talleres para personas con discapacidad Asociacion Civil” di San Cristobal de las Casas. |
Molto interessante, davvero. Sono stato da turista anni fa a San Cristobal e l’ho trovata una cittadina deliziosa. Non ho potuto cogliere ovviamente tutte le particolarità che Francesco Deidda ci ha raccontato e grazie a lui ora mi è molto più chiaro il contesto sociale di quel bellissimo posto che si chiama Chiapas. Uno territorio povero ma ricco di grande umanità.
Grazie a Francesco Deidda. Una testimonianza da osservatore competente e sensibile. Oltre al piacevole elemento narrativo e informativo ci regala un parallelismo unico fra la Sardegna e il Chiapas che solo una professionalità e una conoscenza di campo possono produrre. Mi pare di individuare un altro esempio di giovane sardo che con le scelte pratiche sul sociale indica strade che molti modelli della politica forse nemmeno immaginano.
Scegliendo il racconto come modulo narrativo, l’autore ci offre un quadro socio-economico e culturale di un paese a noi quasi sconosciuto, di una realtà sociale povera, ma tanto dignitosa e industriosa tanto da rendere appetibile la vita tra quella gente. Con padronanza di linguaggio e competenze di studi nonché con forti esempi umani sa sapientemente tracciare un parallelismo tra il Chiapas e la nostra realtà sarda che, nonostante il grande divario sociale tra i due paesi, ci appare meno solida e meno appagante e per certi versi alienante soprattutto nei confronti dei nostri giovani che si trovano imbottigliati in un tunnel senza via d’uscita. Grazie a Francesco Deidda per questa sua unica e preziosa testimonianza.
Per motivi famigliari vado a San Cristobal ogni anno e magari 2 volte all’anno. E una Città stupenda ed è cambiata in meglio da quando ci andai la prima volta 14 anni fa. Condivido quanto scritto dal Signor Franco Deidda. A San Cristobal c’è una bella comunità di italiani tutti molto attivi che si comportano molto bene. Sono proprietari di ristoranti, bar, negozi di artigianato locale o di ambra. Ne conosco molti ed ogni volta che ci ritorno passiamo dei bei momenti. Andateci e vedrete che sarete contenti.