Il Messaggero 18 dicembre 2017. Ha raccontato le avventure editoriali del capolavoro di Pasternak, ha ricostruito le sue peripezie grazie a un monumentale lavoro che per la prima volta pubblica documenti inediti, le carte segrete del Kgb e le lettere tra lo scrittore e Feltrinelli.
Paolo Mancosu, 57 anni, è un professore di filosofia con cattedra all’Università di California di Berkeley che, da oltre dieci anni, setaccia una ventina di archivi in tutto il mondo per illuminare in ogni suo aspetto il caso del Dottor Zivago. Il primo risultato è stato Zivago nella tempesta (Feltrinelli), una specie di romanzo nel romanzo sulle piste delle tante mutazioni e rimbalzi di un testo proibito che circola clandestinamente nell’Europa degli anni Cinquanta e approda in forme non del tutto chiare nelle stanze della Cia.
Poi, nel 2016, Zhivago’s Secret Journey (Hoover Press, Stanford) è un ulteriore, illuminante zoom sulla vicenda di un libro davvero incendiario che il Cremlino voleva consegnare al silenzio e che invece avrebbe dato un Nobel al suo autore. Come, e che cosa, ha trasformato un filosofo della scienza qual è Mancosu nel detective di un intrigo internazionale? Come si passa da Wittgenstein a Pasternak? «Il piacere di risolvere enigmi – risponde – accomuna le due modalità di ricerca. Il metodo in fondo rimane sempre lo stesso: applicare la logica ed il rigore metodologico per riflessione sulla scienza e per la ricostruzione di un passato storico».
Il totalitarismo con la sua logica di censure, silenzi, manipolazioni, condanne e, dall’altra parte, il coraggio di pochi intellettuali che ottengono una straordinaria vittoria: è questo lo storytelling con cui poter oggi raccontare le emozioni, i conflitti, le tensioni, i misteri del caso Zivago?
«Non si tratta solo di bianco e nero; la ricchezza umana della storia sta anche in tutte le sue modalità di grigio. Penso, ad esempio, al ruolo dei comunisti italiani: c’era chi cercava di bloccare la pubblicazione sulle direttive di Mosca, ma c’era anche chi portava Zivago fuori dalla Russia per poterlo pubblicare».
Alla luce delle ricerche d’archivio, si è fatto un’idea più precisa sulla figura di Feltrinelli?
«Sì, almeno del Feltrinelli degli Anni Cinquanta. Il periodo più fulgido, marcato da coraggiose iniziative e prese di posizione politiche ed editoriali. Un personaggio da romanzo ed un visionario che ebbe il coraggio di schierarsi contro l’Urss in un momento decisivo della storia politica del Novecento. Per questo gesto il PCI lo osteggiò e gli fece un vero e proprio processo disciplinare. Lui non rinnovò la tessera del Pci come d’altronde molti altri personaggi legati alla storia della pubblicazione del romanzo».
Come spiega il coinvolgimento dei servizi segreti russi e di quelli americani? È una vera spy-story?
«Il Kgb interviene immediatamente. È per noi difficile capire quanto il controllo sulla letteratura e le arti contasse in Unione Sovietica. Ecco perché sia il Kgb che i più alti ranghi del Pcus sono così legati alla vicenda. Quanto all’intervento della Cia, è una chiara manovra della guerra fredda: far leggere a quante più persone Zivago (censurato in patria) e fare di Pasternak l’esempio di come funzioni la censura sovietica».
Zivago nella tempesta è il diario di una ricerca ancora in progress, non conclusa. Quali sono le rivelazioni più importanti del suo nuovo libro ancora non tradotto in Italia?
«Dopo la pubblicazione del primo, la Cia ha desecretato novantanove documenti che confermavano la storia così come l’avevo ricostruita. Tuttavia i documenti sono censurati. Io parto da questi e da un ulteriore lavoro d’archivio per ricostruire quale dei dattiloscritti che Pasternak aveva inviato in Occidente arrivò alla Cia e chi glielo fornì. Contrariamente a ciò che si è sempre sostenuto, non fu il dattiloscritto di Feltrinelli ad arrivare alla Cia».
È così importante sapere chi lo abbia dato alla Cia?
«L’importanza è nella ricostruzione di quelle tonalità di grigio di cui si parlavo prima. Ci sono moltissimi attori in questa storia, ognuno motivato da finalità differenti ed è questa ricchezza che cerco di ricostruire. Restringo anche il cerchio dei sospetti. Insomma un vero poliziesco».
E c’è qualcosa di non chiarito, qualche segreto inafferrabile?
«Ci sono parecchi aspetti ancora oscuri. In connessione con il Kgb, sappiamo con certezza che ci sono ancora interi faldoni ancora inaccessibili di documenti sul caso Pasternak, e quello della sua compagna Ivinskaya. Anche nel caso della Cia mancano alcuni passaggi fondamentali. Ma i progressi degli ultimi dieci anni sono un salto quantistico rispetto alla situazione precedente».
Seguire i retroscena, le peripezie e anche le manipolazioni con cui Zivago ha circolato in quegli anni, può attrarre il lettore di oggi?
«Si, per vari motivi. Innanzitutto c’è un ritorno di interesse per le vicende della guerra fredda come si vede dal successo di film come Il ponte delle spie. Inoltre, la possibilità di guardare alla storia politica nella seconda metà del ventesimo secolo con maggiore distanza e obiettività incoraggia lo sguardo retrospettivo. Infine, alcuni temi sono universali, come il rapporto tra libero pensiero e censura politica. Un caso come questo ci porta a riflettere sulla cecità ideologico e politica».
Dopo più di sessanta anni quale l’eredità letteraria più preziosa del romanzo di Pasternak?
«L’importanza dell’individuo e della sua spiritualità,in qualunque modo si voglia poi costruire questa nozione».
Ora sta scrivendo un terzo libro, come oggetto il caso Ivinskaya, condannata a otto anni di Gulag. Una storia che non finisce ancora, quella di Zivago?
«È proprio una storia infinita. Ma noi filosofi della matematica, con l’infinito, ci andiamo a nozze».
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